Banca Marche,
un altro mese per il salvataggio
Maccarone: “Il piano dopo l’estate”

Mentre è in corso la verifica con i commissari sulle necessità dell'istituto, per i dettagli ci sarà da aspettare fino a settembre. Il presidente del Fondo Interbancario: "Auspicabile che l'intervento venga fatto con altri." Il parallelo con Carife e la fine dell'epoca della Fondazioni
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Il quartier generale di Banca Marche a Jesi

Il quartier generale di Banca Marche a Jesi

di Marco Ricci

Se è certo l’intervento del Fondo Interbancario per la Tutela dei Depositi (Fitd) nel salvataggio e rilancio di Banca Marche, l’istituto commissariato ad ottobre del 2013 dal ministero dell’Economia, per i dettagli del piano ci sarà da aspettare settembre. E’ quanto ha dichiarato oggi il presidente del Fondo Interbancario, l’avvocato Salvatore Maccarone, il quale ha escluso sia novità dell’ultima ora sia che la riunione del comitato di gestione del Fitd, tenutasi ieri a Milano, abbia avuto all’ordine del giorno Banca Marche. “Il Fondo ha un proprio ruolo istituzionale che assolverà – ha spiegato Maccarone – ma per i dettagli dell’azione ci sarà da attendere la ripresa dei lavori”, ovvero settembre. Impegnato negli ultimi passaggi del salvataggio di Carife – ieri si è svolta l’assemblea dei soci che ha ratificato l’aumento di capitale riservato al Fitd – il Fondo ha avviato da una quindicina di giorni una due diligence in Banca Marche per verificare assieme, ai commissari le esigenze della banca, condizione necessaria per rimodulare l’intervento già deliberato lo scorso anno. E’ probabile che la prossima settima lo stesso direttore del Fondo Interbancario, Giuseppe Boccuzzi, incontri Feliziani, Terrinoni e Inzitari per fare un punto più preciso.

Se il piano originario prevedeva un intervento del Fondo di 800 milioni di euro a garanzia della cessione di circa quattro miliardi di euro di crediti deteriorati e una partecipazione nel capitale della banca di massimo cento milioni, è più che probabile – come aveva spiegato il direttore Boccuzzi – una maggiore partecipazione del Fitd direttamente nel patrimonio dell’istituto. Una partecipazione che, a differenza di quanto avvenuto per Carife, potrebbe non essere esclusiva. “L’intervento in Banca Marche è senza dubbio importante dal punto di vista dell’importo – ha detto a questo proposito il presidente Maccarone – e sarebbe auspicabile che avvenga in concorso con altri anche per non avere problemi con la Bce e con le normative sugli aiuti di stato.” L’esigenza di un partner per il Fondo sarebbe dunque duplice, da una parte dettata dall’entità dell’aumento di capitale necessario all’istituto marchigiano, dall’altra dalla necessità di non violare le direttive europee e di rischiare di incorrere, come nel Tercas, in una procedura di infrazione. In ogni caso, sebbene i tempi della soluzione non possano andare oltre l’estate e non si chiaro se Fonspa sia ancora della partita, la determinazione del Fondo a chiudere il dossier Banca Marche rimane immutata. Allo stesso modo, solo pochi giorni fa, il governatore delle Marche, Luca Ceriscioli, aveva espresso soddisfazione dopo l’incontro avuto a Roma con Ignazio Visco per l’analoga intenzione della Banca d’Italia. A tutti gli attori in campo risulta chiaro come l’istituto di credito sia un cardine centrale non solo del sistema creditizio ma dell’intera economia delle Marche.

Se al momento dunque la modalità esatta del salvataggio di Banca Marche è ancora allo studio, il caso Carife può in qualche misura indicare già adesso alcune prospettive forse non troppo lontane anche nel futuro dell’istituto marchigiano. Commissariata dal Mef, la Cassa di Risparmio di Ferrara ha visto al termine dei due anni di amministrazione straordinaria il prolungarsi di due mesi del commissariamento per l’adempimento dei passaggi necessari all’ingresso del Fitd. Deliberato ieri dall’assemblea dei soci l’aumento di capitale, con imminente una nuova assemblea per la nomina di un nuovo Cda, le azioni Carife hanno visto un drastico ridimensionamento del loro valore passando da circa 3 euro a 0,27 euro, con la contestuale emissione di warrant – cioè di diritti di acquisto di future azioni – destinati ai vecchi soci i quali potranno far valere l’opzione fino al termine del 2018. Un tentativo, questo, di far recuperare agli azionisti parte di quanto perduto. Per Banca Marche non è difficile immaginare un percorso troppo diverso, con il valore dell’azione ridotta al lumicino e la certezza che l’epoca delle Fondazioni sia di fatto terminata. Ridotto il valore della loro partecipazione di diverse centinaia di milioni di euro, sostanzialmente impossibilitate a sottoscrivere nuove azioni, il loro ruolo nel futuro dell’istituto marchigiano è destinato ormai alla marginalità.

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