Il Consiglio di Amministrazione di ieri. Dalla sinistra i vicepresidenti Pirro e Tardioli, il presidente Masera, il dg Goffi.
di Marco Ricci
Da ieri due commissari sono alla guida di Banca delle Marche (leggi l’articolo). Affiancheranno al vertice dell’istituto l’attuale direttore generale Luciano Goffi che continua ad operare a capo della direzione. Sospesi in via temporanea invece gli organi amministrativi e di controllo. Dunque Giuseppe Feliziani e Federico Terrinoni avranno il compito di gestire provvisoriamente Bdm per un periodo non superiore a due mesi, con i poteri propri degli organi amministrativi e dei pubblici ufficiali. L’ordinamento attribuisce inoltre alla Banca d’Italia funzioni di generale supervisione del loro incarico. Ricordiamo di passaggio che, sempre secondo le linee guida stilate da Palazzo Koch, quando la complessità della situazione lo richiede non viene nominato uno ma due o più commissari. Di norma vengono scelti uomini con caratteristiche professionali diverse.
CHI SONO I COMMISSARI – Giuseppe Feliziani, romano, inizia la sua carriera nel 1976 all’Istituto San Paolo di Torino a Roma, finché dal 1992 è direttore per lo stesso istituto di vari filiali tra cui quella di Civitanova Marche. Dopo un passaggio a Bologna come responsabile del Corporate, a Napoli in occasione dell’acquisizione del Banco, nel 2009 è nominato Direttore Regionale del Gruppo Intesa SanPaolo dell’Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Molise dalla quale Direzione dipendono la Carisbo, la Cassa dei Risparmi di Forlì e della Romagna e la Banca dell’Adriatico per un totale di 550 filiali e 4.900 dipendenti. Federico Terrinoni è invece un ex ispettore di Vigilanza di Banca d’Italia. Ha già svolto le funzioni di commissario straordinario in altre banche, tra cui il Banco del Veneziano.
I NUMERI DI IERI – L’operatività di Banca delle Marche in ogni caso procederà immutata. La giornata molto pesante di ieri, con una semestrale in passivo per 232 milioni di euro e ulteriori rettifiche per 450 milioni, non ha messo in luce altro che una situazione in qualche modo inevitabile che sarebbe prima o poi emersa. E di cui, con il passare dei mesi, quasi tutti cominciavano a percepirne sempre più la gravità, immaginiamo in primis la Vigilanza. Parliamo adesso di 1.2 miliardi di euro di rettifiche in dodici mesi. E di perdite superiori agli 800 milioni in un anno. Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire.
LA GESTIONE PROVVISORIA – In quest’ottica va sottolineato come la banca non sia di fronte né a commissari straordinari né a commissari liquidatori e neppure all’esplosione di una situazione totalmente imprevista. Se solo a fine luglio le nuove rettifiche già si stimavano tra i 200 e i 250 milioni di euro, è noto che con il procedere dell’ispezione della Vigilanza e con la nuova valutazione dei rischi da parte della direzione di Banca Marche, il numero di crediti deteriorati stava progressivamente crescendo. E che l’analisi, condotta dai crediti peggiori a quelli teoricamente migliori, continuava a rilevare nuove criticità e dunque a condurre a nuove rettifiche. Siamo quindi di fronte ad un “commissariamento soft.” Tecnicamente definito “gestione provvisoria”, avrà appunto una durata massima di due mesi, come stabilisce il Testo Unico Bancario. Una garanzia, secondo quanto trapela da Banca delle Marche, sia per i dipendenti che per i clienti. L’attività della banca infatti procederà immutata. Né i commissari, durante le loro funzioni, potranno sciogliere gli organi amministrativi. Tale funzione spetta eventualmente al Ministero dell’Economia e delle Finanze su proposta di Banca d’Italia. Gli organi quali ad esempio il Cda, lo ricordiamo, sono stati sospesi come prevede per l’appunto la gestione provvisoria.
L’AUMENTO DI CAPITALE – Nonostante tutto questo, è evidente che le cose cambieranno all’interno di Banca delle Marche. Già con le dimissioni dal Cda di Francesco Cesarini e Giuseppe Grassano, i due uomini che più di altri spingevano per un rapido cambiamento all’interno dell’istituto di credito e per l’emergere delle responsabilità, Banca d’Italia aveva presumibilmente perso degli importanti punti di riferimento in Consiglio di Amministrazione. Ma trapela da più parti anche l’irritazione di Bankitalia per la vacuità della cosiddetta “cordata locale” in un momento campale per la vita dell’istituto marchigiano. Un’irritazione già percepibile per un impegno che fino a ieri non aveva portato né a nomi né a cifre certe. Non è stato dunque un caso leggere nel comunicato diramato ieri da Bdm che i due commissari, tra i diversi compiti loro assegnati, avranno quello di “individuare le necessarie iniziative di rafforzamento patrimoniale, alfine di completare l’azione di risanamento già avviata dalla banca.” Saranno adesso presumibilmente Feliziani e Terrinoni, con la supervisione di Bankitalia, a dover raccogliere la cifra necessaria. Quei 300 milioni di euro necessari per l’aumento di capitale e sufficienti a riportare alcuni parametri di patrimonializzazione di Banca delle Marche sopra le soglie di vigilanza. Ieri, lo ricordiamo, Banca delle Marche ha dichiarato che il Total Capital Ratio dell’istituto è sceso ben sotto il limite di vigilanza dell’8%, attestandosi al 6,64%, con un calo di quasi due punti in soli sei mesi. E la presa in carico del problema della capitalizzazione dell’istituto da parte dei due commissari potrebbe aprire scenari diversi e forse anche lontani dalle Marche.
Non sembra comunque scoraggiato dalla gestione straordinaria l’avvocato Paolo Tanoni, coordinatore della cordata di imprenditori che intenderebbero sottoscrivere una parte cospicua dell’aumento di capitale di Bdm. ”Dal nostro punto di vista – ha spiegato all’Ansa – il quadro di riferimento non cambia. Anzi, la gestione interinale è un indubbio vantaggio per il conto economico e il piano di rifinanziamento a lungo termine di Bdm”. La preoccupazione dell’avvocato riguarderebbe ”l’eventuale lievitazione dell’aumento di capitale”.
COSA CAMBIERA’ – E’ anche chiaro da quanto trapela per ora che si procederà più spediti su molti fronti. Erano infatti ben note le resistenze e le pressioni sia interne che esterne a cui era sottoposta la nuova direzione di Banca delle Marche nell’attuare non solo il risanamento ma anche la riorganizzazione dell’istituto. Ad esempio da parte di uomini legati in passato all’ex-dg Bianconi o ancora oggi alle Fondazioni. E quanti dubbi solo qualche settimana fa ancora giravano sulle valutazioni dei crediti a rischio, valutazioni da più parti ancora considerate esagerate ed eccessivamente rigorose. Così come non erano pochi i tentativi di temporeggiamento nella ricerca delle responsabilità. Ricerca che adesso potrebbe avere maggiore impulso. Una situazione insomma molto difficile per Banca delle Marche. Ma non più difficile di quanto lo fosse dieci o venti giorni fa. Anche se da ieri, questo è sicuro, quasi niente sarà più come prima.
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Dall’articolo del bravo Marco Ricci emergono due o tre questioni che,se pur segnalate, andrebbero approfondite: la prima ,che se Banca d’Italia è intervenuta è perchè la situazione è più grave di quanto fino ad oggi le voci ufficiali tendevano a dire; la seconda è che l’attuale Consiglio di Amministrazione non veniva più considerato all’altezza della situazione, soprattutto dopo le dimissioni dei due autorevoli esperti (Cesarini e Grassano) che già lo scorso anno , inascoltati da tutti gli altri consiglieri, segnalavano l’assurdità di una semestrale (licenziata dalla vecchia gestione di Bianconi e compagni) con 40 mln di utile fittizio; la terza è che finalmente ci si è accorti che la presunta cordata dell’Avv. Tanoni altro non era che una “bufala” con tutti altri scopi (elettoralistici, d’immagine , fuorvianti) che non quelli di vera raccolta di fondi fra l’imprenditoria marchigiana. Imprenditoria che sappiamo tutti essere ben impegnata a chiedere denaro , più che a darlo! D’altronde bastava che qualsiasi nostro collega fosse andato alle riunioni dell’avv. Tanoni per accorgersi che molti degli imprenditori presenti erano gli stessi affidati dalla nostra banca; la quarta è cheal di là delle dichiarazioni del direttore Goffi ,il consiglio di amministrazione ,supportato dalle Fondazioni non spingeva nella ricerca delle responsabilità di chi ha portato la nostra banca a questo punto. DUNQUE BEN VENGANO I COMMISSARI SE DA LORO POTRA’ VENIRE UNA SVOLTA CHE CI PORTERA’ AD AVERE GIUSTIZIA E RILANCIO !
Sembra un agonia….!!!!!!!!!!!!!!
Le buone notizie sono che banca d’Italia e’ riuscita in un colpo solo ad eliminare,se pur a tempo,cda,consiglieri,politicanti,anestesisti,fornai e tutti coloro che senza averne titolo gestivano nel modo che sappiamo la ns mitica banca del territorio.Finalmente Tardioli potrà’ dormire sonni tranquilli e noi con lui sapendo lo finalmente a casa.Riguardo alla cordata dell’Avv.Tanoni,quando scende in campo viene bollata come cordata di speculatori ecc.,se si defila viene criticata per le ragioni opposte,forse e’ arrivato il momento che qualcuno( i commissari) dica chiaramente a questi signori se sono graditi o meno o se ci sono altre alternative.Fatto ciò’ è di fronte ad un atteggiamento meno ostile e critico,vediamo effettivamente chi partecipa e con che cifre.Basta con i continui processi alle intenzioni,le prese di posizione populiste e demagogiche e cominciamo a fare sul serio.Non c’è’ più’ tempo da perdere!!
“Cosa cambierà”? Arriverà Intesasanpaolo la quale, indotta da Bankitalia ad operare il savataggio ma costretta dalle norme antitrust, procederà con lo ‘spacchettamento’ e la cessione degli assets non compatibili. Addio banca del territorio? Piuttosto Addio società dei magnaccioni! La cordata di ‘millantatori’, i ‘salvatori della patria’ Merloni e Masera, ma di chi è stata la ‘regia’ di tutta questa pagliacciata? E con quale obiettivo? Forse allungare il brodo della persecuzione delle responsabilità? Forse la malagestione non è soltanto tale? Forse c’è anche molto di peggio sotto la polvere del tappeto? Forse…è ora (anzi è passata da un pezzo) di fare completa chiarezza su cosa è accaduto e sui miserabili che hanno condotto la banca a cotanto sfascio. Ci piacerebbe vedere crollare il ‘sistema’ di potere che ha impoverito azionisti e cittadini (dei quali sono i denari delle Fondazioni), ci piacerebbe che in questo Paese martoriato dal malaffare una vota tanto si ricercasse la giustizia, sennò…chi potrà salvarsi?
PER NON DIMENTICARE: QUANDO BANCA MARCHE ERA PREDA AMBITA DA DIVERSE BANCHE,NON ULTIMA BANCA INTESA,GAZZANI DICEVA CHE…GUARDATE SU YOUTUBE IL VIDEO : INTERVENTO GAZZANI ASSEMBLEA CARIMA.PAROLA DI PRESIDENTE DI UNA FONDAZIONE GRANDE ED IMPORTANTE
Ci sarà chi penserà di congelare i patrimoni delle fondazioni a difesa di chi ha investito e creduto in BM oppure queste continueranno a fare “donazioni” con i soldi dei clienti/investitori?
SULLA DIATRIBA TRA GLI EX E NUOVI VERTICI DELLA BANCA DELLE MARCHE viene spontanea una riflessione .Ma bisogna premettere qualcosa .
L’introduzione dell’IMU ,tassa che di per se stessa non significherebbe nulla, nella realtà del momento storico- economico dell’Italia è stata la goccia che ha fatto travasare il vaso del declino: è stata il contraltare dello strambazzo insensato, esso stesso con forte valenza depressiva ,che vi era una pericolosa crisi dei conti pubblici mai dimostrata e mai dimostrabile : non poteva essere vero in quel momento perchè il debito pubblico è passato solo successivamente e con lo stesso governo ( e dopo tanto stridore di freni sui pericoli prima minacciati ) da 1950 ml controllabile a 2.050 ml. e via via sempre meno controllabile e con il beneplacito della Commissione Europea del superamento della procedura di infrazione ! Non so se ridere o imprecare pensando a quando le cose si faranno seriamente ; La spesa pubblica è stata lasciata fuori controllo . Mi si consenta la divagazione : le amministrazioni pubbliche hanno ragionato almeno da oltre venti anni ( dacchè si sono visti tanti soldi..) per realizzare di tutto e di più ad ogni costo e senza le cautele economico-finanziarie e soprattutto temporali necessarie per cautelare la parte corrente dei bilanci e, spesso, si è speso solamente per visibilità elettorali ed è accaduto come se tante famiglie fossero riuscite con prestiti a comprarsi tante Auto Ferrari senza mai preoccuparsi di come poi mantenerle . Adesso come ieri manteniamole quelle Ferrari con altri mutui e manteniamo anche tutti coloro che sono stati ammessi a godere di quei lauti stipendi per avvicendarsi alla loro guida .( Insensato il patto di stabilità ,ma quanti finanziamenti europei sono stati utilizzati giustappunto -( quando pur sono stati utilizzati) e ti pareva- per incrementare tante soddisfazioni e con esse la spesa corrente ? .
Mi domando inoltre : quale imprenditore o Governante può rendersi così sciocco di enunciare la sua crisi addirittura anche quando in realtà le cose sono superabili – Berlusconi era un irresponsabile che nascondeva la crisi ?..Deficientemente è stato criticato su questo dico io ..;perchè.. se lo avesse ammesso ? che cosa sarebbe migliorato !Anzi tutto sarebbe peggiorato o precipitato prima e forse questo si voleva ?Diciamola tutta : le ragioni elettoralistiche erano più importanti per coloro che sono adusi a far credere senza far capire i danni di tante parole – .
La realtà è che appena introdotta l’IMU tanti notai , chi già a Novembre del 2011 chi qualche mese dopo, hanno dovuto mettere in cassa integrazione degli impiegati e non pochi . Nello stesso periodo anche molte Banche ed imprenditori che avevano investito soprattutto nel mattone con finanziamenti bancari sono andati in crisi .. Questa è la sacrosanta realtà . Poi non mancano gestioni Bancarie allegre ,superficiali i cui CDA sono legati mani e piedi e testa-dipendenti al Direttore Generale e alla dirigenza quasi sempre immessa dall’esterno con lauti stipendi o, secondo molti osservatori, con assurde prebende – come se fosse sempre necessario sottostare ad una consuetudine spesso assurda e paradossale -.Ho conosciuto raramente Consigli di Amm.ne di Banche intenti a creare una dirigenza dal suo interno con idonei attributi e con giusti stipendi e giusti riconoscimenti e , soprattutto ,una dirigenza costantemente controllabile da un Cda ovviamente più preparato e capace dei suoi stessi dirigenti .
Per la BdM mi limito a constatare solamente che ha avuto sempre i soliti protagonisti e che tutto è andato bene finchè tutto andava bene .
Una domanda mi viene spontanea : ” Ma la Bdm ,soprattutto negli ultimi anni, aveva un collegio sindacale ?” In ogni caso alcune scelte di sostegno alle imprese andavano valutate andando al di là di coloro che lo chiedevano e quindi scendendo nel merito e nella validazione minuziosa delle stesse operazioni imprenditoriali . Accertare e accordare con criterio imprenditoriale la sostanziale validità di molte operazioni ( senza considerare alcune storture che si notano a volte anche dall’esterno, seppur con giudizio soggettivo ma.. ) è il lato debole di molte Banche soprattutto con specificità operative localistiche . Comunque parliamo di un mal comune che ha radici ben più lontane e ben più complesse di cui i cittadini difficilmente si rendono conto .
Avv. Giuseppe Pigliapoco – Macerata
in mezzo a tutto questo casino viene da farsi qualche domanda:
1) vi siete chiesti cosa succederebbe ad altre banche di medie dimensioni se venissero applicate tutte le nuove policy di banca marche? perchè BDM deve essere la banca con le % di svalutazione dei crediti maggiore di tutte?
2) siamo sicuri che tutti i manager di primo e secondo livello siano ben coordinati ed orientati al bene della banca e dei suoi azionisti? perchè nel rispetto doveroso delle norme si applicano i criteri più restrittivi di tutta l’Europa?? perchè arrivano tutti dall’esterno e dalle banche dirette concorrenti?
3) perchè la banca d’Italia interviene solo ora con la sospensione degli organi sociali dopo un anno di confusione assoluta? è da mesi che si conosce l’impossibilità delle fondazioni di gestire l’aumento di capitale, perchè non sono intervenuti prima evitando tutto questo stillicidio di colpi di scena e ritardi vari?
4) perchè tutta la stampa si è accanita con la banca nel momento in cui bisognava trovare nuovi capitali?
Un medico che per curare una brutta febbre utilizza una overdose di medicinali rischia di ammazzare il malato, complimenti..missione compiuta. Quando scopriremo il cavaliere bianco che si prenderà gratis la banca allora forse le cose saranno più chiare…
Non voglio parlare di responsabilità, di lobby, di colpe. Se ne occuperà chi di dovere.
Vorrei parlare di futuro, un futuro in cui per BDM, al di là di questi 2 mesi di gestione “sana e corretta” assicurata dai commissari, si dovrà sicuramente derimere il nodo aumento di capitale.
Parliamo un pò di numeri..
Salvo “imprevisti”, le “probabilità” di trovare sul mercato 300 milioni di euro in 3 mesi e altri 100 nei successivi 24 fanno pensare al MONOPOLI……
Da fonte ANSA, 29 imprenditori hanno messo per iscritto la loro disponibilità a investire nell’aumento di capitale: non conosciamo i nomi, sono poche le voci del mondo politico ed economico marchigiano disposte ad uscire allo scoperto, ma se la matematica non e’ un opinione, ognuno di loro dovrebbe versare CASH per poco più di 5 milioni di euro per raggiungere la meta’ della sottoscrizione, come avevavo inizialmente dichiarato i proponenti la cordata.
Pensiamo poi che un imprenditore leader ne possa tirare fuori 20… 30….. e arriviamo a 180, ma il fatto è che non credo che i vecchi azionisti feriri nell’orgoglio, nelle loro certezze e sopratutto nel portafoglio abbiano la voglia e sopratutto la forza visto il contesto di mercato particolarmente critico, per dirla on le prole di BDM,di supportare i restanti 120 milioni, solo per arrivare alla prima tranche assolutamente necessaria per il 31.12.2013.
Ecco quindi che ritengo molto probabile che un Istituto nazionale o europeo, ci metterà il naso….
Primo punto a cui guardare addio banca del territorio….. Infatti le condizioni le detteranno loro…..
Va da se, chi paga comanda !!
Lontani quindi da ideologie che premiano il localismo ( inteso come attenzione per gli stakeholder locali), aborrito il sistema di “potere” che vigeva, ( ovvio !!!!), cancellato poi il dumping sulla raccolta, non ultimo rinnovate le figure apicali, forti di teorie imparate da McKinsey&Company, cominceranno a pensare al MOL, al cost/income ratio, alle quote di mercato da presidiare, ma a prezzi value added e – banalizzo – un pò meno alle tasche dei clienti, e daranno avvio al processo che farà a fette quanto rimane di BDM.
In uno scenario che non oso definire, ma sarà un futuro possibile, : il CED saluterà Piediripa, le agenzie CARILO parleranno veneto, si creeranno filiali HUB che accorperanno i conti dei clienti delle filaili più piccole che sarano irrimediabilmente chiuse per ottemperare al piano industriale che vede la parola costi come corda in casa dell’impiccato…..
Il tempo si dice e’ un medico e cura tutti i mali, ma qui il tempo mi sembra invece un conto alla rovescia... Ma arrivati allo zero che succederà ???
Ecco che parlare di futuro (leggi certezze) dopo i due mesi di comissariamento diventa molto difficile…… I dati negativi che hanno portato Via Nazionale ad intervenire non erano più sostenibili e potrebbe sorgere anche un problema non di poco conto: si teme che la Vigilanza possa alzare “l’asticella” oltre i 300 milioni (più 100 entro 24 mesi) come detto sopra, inizialmente necessari, magari scoraggiando qualcuno tra gli industriali più liquidi e volonterosi…….
L’attenzione di tutti è per le prime mosse dei commissari di Bankitalia !!
Ad ogni modo, buon lavoro ai commissari, buon lavoro ai dipendenti, fieri e proattivi come sempre, unica forza certa, ma destinata a essere decurtata nel nome del risparmio……e buon lavoro anche alle Poste Italiane che dovranno smistare diverse raccomandate di chiusura conti……..
Banca Marche e quei crediti “inaciditi” dalle ispezioni della Banca d’Italia
Il caso di Banca Marche è singolare: la sua crisi è scoppiata all’improvviso dopo un devastante intervento della Banca d’Italia sui principi di valutazione dei crediti – Ma, oltre che per le responsabilità di Via Nazionale, la governance è andata in tilt per l’inefficacia dei controlli interni e per i limiti dei revisori, del cda e delle Fondazioni azioniste
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Banca delle Marche
Le banche rappresentano imprese tutt’affatto particolari. Funzionano con mezzi che risparmiatori e corrispondenti affidano loro, finanziano iniziative degli imprenditori da cui dipende lo sviluppo di un territorio, concedono alle famiglie il credito al consumo e i mutui ipotecari, creano esse stesse il credito. In tutto ciò è fondamentale la fiducia che riescono a guadagnarsi nel tempo. Il caso che mi propongo di esaminare riguarda la Banca delle Marche: ha sede nella mia città natale, me ne parlano spesso gli amici, è al centro di numerosi articoli comparsi in questi giorni sulla stampa nazionale. É nata nel 1994 dalla fusione di tre casse di risparmio (Pesaro, Macerata e Jesi) che iniziarono a lavorare 150 anni fa nella regione, un territorio denso di imprese e imprenditori di grande tenacia e capacità. La banca ha presentato nel giugno scorso il primo bilancio in rosso della sua storia; una perdita consistente (526 milioni a livello consolidato, coperti dalle riserve precedentemente accantonate) che ha ridotto il patrimonio in misura tale da richiedere, stanti i requisiti di vigilanza, il versamento di nuovo capitale di rischio.
La vicenda è assai singolare perché la perdita di cui si parla si è “manifestata” in un periodo relativamente breve (non più di sei mesi) senza che in tale lasso di tempo, pur notoriamente critico, siano accaduti fatti in qualche modo definibili eccezionali. Salvo l’inizio, nel novembre scorso, di un’ispezione della Banca d’Italia (non ancora conclusa) il cui intervento sui principi di valutazione dei crediti usati per la compilazione del bilancio 2012 è stato, parrebbe, devastante. In tale bilancio sono state appostate svalutazioni di prestiti a clienti per oltre un miliardo di euro; conseguentemente, il risultato d’esercizio, dichiarato attivo sino al primo semestre 2012, ha cambiato di segno nella misura sopra citata. Dunque, nel portafoglio vi erano crediti cosiddetti “inaciditi” che le valutazioni più recenti commisurano al 19,7% del totale delle esposizioni in essere. Crediti che in una precedente ispezione del 2011 non erano stati considerati così tanto potenzialmente pericolosi. Il 19,7% è una percentuale decisamente elevata, dato che la media in tempi normali non dovrebbe superare l’1% e in questa fase critica (dati R&S-Mediobanca riferiti ai nostri 5 gruppi maggiori, crème del sistema italiano) dovrebbe essere al di sotto del 10%. Una buona quota degli attivi deteriorati della banca di Jesi riguarda gli “incagli” e cioè le esposizioni verso affidati in temporanea situazione di obiettiva difficoltà che si ritiene possa essere superata in un congruo periodo di tempo. Ebbene, queste partite sono esplose nel 2012 a 3 volte il valore dell’anno precedente, al netto dei giri a sofferenze: pare quindi che stia qui la principale diversità di valutazione rispetto a quanto dichiarato nel 2011 e nel giugno 2012 quando peraltro v’era un direttore generale oggi ritenuto da molti poco adeguato; su di lui il giudizio è ora sospeso, ma non erano state espresse riserve nelle precedenti ispezioni, cadute nel 2006, nel 2008 e nel 2010/11 e nemmeno in una comunicazione del 2003 nella quale – per quanto amia conoscenza – la Banca d’Italia si dichiarava soddisfatta delle azioni poste in essere per rimuovere tutte le criticità segnalate in precedenza.
La Banca d’Italia sembra dunque avere disposto una “cura da cavallo” che si stenta ad attribuire alla sfavorevole congiuntura locale. Non è dato conoscerne le motivazioni, ma è ovvio che qui il detto “meglio tardi che mai” non si può applicare: se tale cura fosse stata imposta negli anni precedenti, insieme con un più appropriato richiamo alla prudenza sulla concessione dei crediti, il 2013 non si sarebbe chiuso in perdita e la politica degli affidamenti sarebbe stata più prudente. Ma ormai è fatta e tra le conseguenze vi è stato un leakage sulla stampa alimentato probabilmente da chi è stato danneggiato dal “ripulisti” attuato nell’ultimo anno. L’attenzione del pubblico viene oggi attirata su fatti, sovente deformati, che ormai dovrebbero ritenersi risolti. Ma anche questo leakage potrebbe finire per essere positivo perché non fa che rimarcare l’avvenuta (eccessiva?) “pulizia”; la “prudenza” delle ultime valutazioni dovrebbe essere vista con favore da coloro che conferiranno il nuovo capitale di rischio volto a riportare il patrimonio al livello stabilito dalle regole di Basilea.
Ci si deve chiedere perché e come ciò di cui parliamo possa essere accaduto. Il “come” ha a che vedere con la politica di concessione del credito. Eccessiva la concentrazione nel settore immobiliare e delle costruzioni (il 30% degli impieghi contro una media dell’intero sistema bancario pari al 19%) e forse nei primi 50 clienti (7% del portafoglio). É il frutto della ricerca del profitto che, prima della grande crisi, era assicurato soprattutto dagli affari edilizi. Ma si tratta di un orientamento che distingue la banca da lungo tempo (e già distingueva le stesse Casse di risparmio dalla cui unione essa è nata); come pure i principali affidati che in buona misura sono costituiti da clienti di lunga data, la maggior parte dei quali – ovviamente in bonis -contribuisce ai proventi della gestione. I crediti cosiddetti deteriorati (sofferenze, incagli, scaduti e ristrutturati) risultano coperti da garanzie (in massima parte reali) per un valore di oltre quattro volte (per i cinque maggiori gruppi nazionali che usiamo come benchmark tale indice è pari a meno di due volte), il che riduce pur senza eliminarla la probabilità di perdita. In ogni caso, già a partire dalla seconda metà del 2012 la banca ha deciso di mutare strategia e tale linea è stata rafforzata dalla nuova direzione puntando sulla manifattura e le piccole e medie imprese, cioè su quelle attività che costituiscono i motori di sviluppo delle Marche.
L’aspetto più rilevante, a mio parere, riguarda però il “come” il guaio sia potuto accadere. Vedo almeno cinque “fallimenti” di governance: in ordine inverso di rilevanza, l’inefficacia dei controlli interni sulle azioni del direttore generale, il ruolo non del tutto comprensibile dei revisori, il malfunzionamento del Consiglio di amministrazione, l’incapacità delle Fondazioni azioniste di verificare la correttezza della gestione. Aggiungo la Banca d’Italia la cui vigilanza, calata a Jesi ogni due anni, avrebbe dovuto rilevare per tempo i malfunzionamenti in una delle prime 20 banche del paese che, per giunta, meritava ancor più attenzione avendo raddoppiato gli attivi nell’ultimo decennio.
Quanto detto ci porta diritti ad una questione più generale, ovvero al sistema dei controlli che vige sulle banche, non solo a livello italiano. L’unificazione della vigilanza in Europa non deve generare illusioni. La banca è un organismo complesso, difficile da vigilare di per sé e tanto più quando le dimensioni sono grandi e sotto questo angolo visuale la Bce non vanta alcuna competenza carismatica. Ritengo poi che i minori peccati delle banche italiane rispetto a quelle straniere nell’insorgere della grande crisi che tuttora ci perseguita siano riconducibili a pura fortuna. Tempo un anno e l’immondizia che i gruppi finanziari anglosassoni stavano riversando sugli investitori dei paesi nordici sarebbe arrivata anche nella penisola, con buona pace della nostra ingenua politica tendente a favorire, tramite fusioni indorate da costose consulenze di agenzie anglo-americane, la costituzione di organismi bancari sempre più grandi. Non mi dilungo sugli effetti di tale politica (puro “catoblepismo”; v. mio scritto sul Rapporto Unioncamere 2013, pp.199 e ss.), ma ricordo che è stata deleteria riguardo alle prospettive di sostegno e crescita dei territori. Ora occorre un deciso cambiamento di rotta, preservando gli istituti che sui territori resistono e “riaggiustando” in senso inverso i gruppi troppo grandi. Basilea III punta fondamentalmente ad aumentare il patrimonio delle banche, ma i casi sono due: o quel patrimonio sta ai debiti (depositi i risparmiatori e corrispondenti) nel rapporto ideale di 1:1, e allora è garantita la solidità, ma non siamo più in presenza di una banca, bensì di una società commerciale-finanziaria; oppure la banca lavora con la fiducia di clienti e corrispondenti e trasferisce all’economia reale il grosso della raccolta. É la fiducia il vero patrimonio della banca, la quale “deve” lavorare con i soldi degli altri per assolvere alla propria funzione. Chi non applica questo concetto (penso ai banchieri centrali riuniti a Basilea) frena lo sviluppo, senza rendersi conto che una crisi di fiducia spazza via in poco tempo qualunque istituto, quale che sia la misura del suo, comunque modesto, patrimonio.
Ma come assicurare il corretto funzionamento in un’impresa che lavora tipicamente ad alta leva, per giunta con principi di direzione legati alla massimizzazione della ricchezza di azionisti che di norma rischiano meno di un ventesimo del suo capitale? Il punto di partenza sono proprio gli azionisti; nel caso della banca di Jesi esiste un gruppo di controllo (tre fondazioni) che però si è rivelato incapace di selezionare amministratori competenti e professionalmente severi e non ha saputo seguire la gestione. Di fatto, esso ha dimenticato il proprio interesse (e quello del territorio) a che il bene posseduto (le azioni della Banca) fosse gestito al meglio. Il Consiglio di amministrazione che tale gruppo ha nominato, dal canto suo, ha “dimenticato” di esercitare quei controlli interni sulla direzione generale che avrebbero impedito l’inappropriata politica del credito. Queste relazioni conducono alla società locale e ai meccanismi della sua rappresentanza nelle fondazioni.
Ma nel caso Banca Marche vi sono apparenti malfunzionamenti anche nei sindaci e nella società di revisione: i principi di valutazione sono assai soggettivi, ma un miliardo di euro di rettifiche in soli sei mesi (o, forse, in meno di due mesi e cioè dall’arrivo degli ultimi ispettori di Via Nazionale nel novembre scorso) vanno ben oltre le valutazioni personali; d’altro canto, i criteri usati sino ad allora sugli stessi affari erano venuti dal consolidarsi delle precedenti ispezioni, tanto è vero che non risulta siano state sollevate riserve sull’operato dei revisori esterni. I quali, dando clear opinion su tutti i bilanci, non hanno sanzionato come imprudenti quelle valutazioni (sempre che i principi imposti dalla vigilanza nel 2012 siano ragionevoli e adeguati per una going concern). Non va trascurato che il grosso di queste rettifiche riguarda gli “incagli” che costituiscono il 52% dei crediti deteriorati contro una media del 37% nei cinque gruppi maggiori; incagli che potrebbero risolversi positivamente in un “congruo periodo di tempo” salvo che la banca, pressata dalle forze esterne, non adotti politiche più decisive che potrebbero finire per trasformarli in sofferenze tout court. V’è da preoccuparsi pensando a cosa succederebbe se queste politiche e queste valutazioni à la Banca Marche fossero applicate ai gruppi bancari maggiori e all’utilità di tali direttive per l’economia italiana e per le imprese (finanziarie e non finanziarie) sulle quali quei gruppi appaiono oggi inchiodati. É un momento, questo, nel quale le banche debbono tentare quanto possono per recuperare i clienti sui quali hanno lavorato con profitto per lungo tempo; se quei clienti fossero puniti e costretti alla sparizione verrebbero meno sia il motore della ripresa economica sia la funzionalità futura delle stesse banche.
Tornando al punto, occorre ora pensare a restituire vitalità ad una banca che nella sua regione resta la principale “autoctona” e deve ritrovare la sua “fiducia”. La merita? L’istituto ha rinnovato gli amministratori, ha sostituito i responsabili della direzione generale, ha perfezionato i controlli interni, ha designato un nuovo autorevole Presidente, ha approvato un nuovo piano industriale e sono in molti a ritenere che abbia il bilancio fin troppo in regola; è anche condotto con efficienza se si guarda al rapporto cost/income pari al 52% contro il 68,5% dei maggiori gruppi. Sono coinvolti 3.200 qualificati dipendenti, 550 mila clienti, 40 mila azionisti, un territorio pieno di idee e di iniziative: a mio giudizio, deve esserci una forte motivazione di tutti a rilanciare un’impresa necessaria allo sviluppo della regione. Solo una banca che mantenga radici locali potrà garantire il sostegno alle imprese marchigiane che quello sviluppo debbono produrre.
Occorre dire che per completare il lavoro manca poco e allo stesso tempo molto. Il poco riguarda le azioni dovute, ma già messe in atto per la maggior parte (come detto sopra), sulla conduzione della banca. Il molto riguarda i nuovi capitali da reperire il cui arrivo ridurrà, giustamente, il peso delle fondazioni “colpevoli” di mancata vigilanza. L’Italia è un paese che gli investitori esteri giudicano a rischio; ma non ci mancano i capitali da investire in affari promettenti e questo pare un momento favorevole per cogliere il turnaround di un’impresa che può tornare rapidamente al profitto. Tuttavia, le motivazioni speculative non debbono essere quelle che fanno decidere (anche se aiuteranno, soprattutto i piccoli azionisti); concordando con Piero Alessandrini (10 agosto scorso, su questo stesso giornale) ritengo che i principali interessati siano gli imprenditori locali che, difatti, si stanno attivando allo scopo. La perdita di autonomia della “loro” banca li priverebbe del rapporto privilegiato nell’acquisizione dei finanziamenti e depaupererebbe la regione delle risorse finanziarie generate dalla comunità; risorse di cui l’industria locale (la cui dipendenza dal credito bancario è tradizionalmente elevata) avrà certo bisogno nella prospettiva del 2020. Il tutto a patto che la Banca d’Italia conceda agli eventi di maturare con le giuste scadenze. Un’immissione di capitale di 300-400 milioni (questo sembra l’ordine di grandezza dei mezzi freschi richiesti) non è enorme, ma richiede qualche tempo in una fase economica critica. E non è il caso di ripetere l’errore del precedente governo di voler essere i primi della classe, qui in una corsa verso una presunta migliore patrimonializzazione che non può che rivelarsi deleteria per i nostri interessi. Non è in gioco la trasparenza, ma l’ingenuità. Basta guardare alla maggiore banca tedesca: il suo patrimonio, pressoché interamente assorbito da attivi inconsistenti (c.d. level 3), copre appena il 2% dell’attivo tangibile contro il 4% della bistrattata Banca delle Marche e il 3,6% dei 20 principali istituti europei (dati R&S-Mediobanca); eppure, sono diversi anni che il suo vigilante se ne sta tranquillo ad attendere una più che necessaria ricapitalizzazione.
Il 25 novembre 1857 la Banca d’Inghilterra concesse alla ditta di George Peabody un prestito di 800 mila sterline assistito come collaterale da titoli e dalla firma di 13 garanti. Quel banchiere sarebbe altrimenti fallito perché a quel tempo una “grande” crisi impediva ai suoi clienti americani di rimborsare i finanziamenti che aveva loro concesso. Il prestito della banca centrale venne restituito perché la ripresa economica consentì a quasi tutti i crediti “inaciditi” di tornare in bonis. Quella banca divenne la J.P.Morgan & Co, oggi la più importante degli Stati Uniti.
cmq anche in bankitalia c’e’ del marcio!!!
http://www.firstonline.info/a/2013/08/17/banca-marche-e-quei-crediti-inaciditi-dalle-ispezi/933f7ce6-39f6-4132-ad8c-c9834065c891
Caro regionemarche,
la ringrazio per l’intervento esaustivo e competente. Mi rivolgo a Lei con il suo pseudonimo – scritto in lettere minuscole a dimostrazione che per serietà e competenza non è nescessario adornarsi di tanti titoli accademici -, anche se mi verrebbe di citare il suo nome e cognome per accostarlo ai tanti peracottari tronfi e pieni di se che in questi anni hanno popolato le austere stanze delle Fondazioni e della Direzione Generale. Ogni volta che passo davanti alla sede della Fondazione di Macerata vengo colto da un irrefrenabile tentazione di vergare il portone con un epitaffio in dialetto maceratese: “un po’ de capisciotti s’ha sputtantato tutta sta robba che era stata fatta da tutti quilli che, per li stessi capisciotti, non capia un c… e portava le scarpe nderrate”.