di Marco Ricci
La ricostruzione del dissesto Banca Marche presentata dai legali del gruppo Lanari al tribunale di Ancona, e di cui avevamo riportato il contenuto (leggi l’articolo), non è piaciuta alla Fondazione Carima e al suo presidente Franco Gazzani. Dopo aver interpellato i legali e dopo una decisione assunta nel mese di febbraio dal Cda dell’istituzione maceratese, la fondazione ha dato mandato all’avvocato Gabriele Cofanelli il quale, nei giorni scorsi, ha presentato al tribunale di Macerata una denuncia-querela per diffamazione a firma del presidente Gazzani, intendendo così difendere il comportamento e l’onorabilità della Fondazione e del suo presidente.
Fondazione Carima ritiene infatti diffamante la ricostruzione dei fatti presentata dal gruppo edile che lascia intendere come motivi personali tra il presidente Gazzani e l’ex direttore generale di Banca Marche, Massimo Bianconi, possano aver volutamente creato una situazione tale da nuocere non solo alla banca ma anche ai suoi clienti e ai suoi azionisti.
Nell’atto, presentato dal gruppo al tribunale di Ancona e di cui avevamo riportato ampi stralci, veniva infatti proposta la tesi che la nomina da parte dell’istituzione maceratese di due consiglieri di amministrazione, Giuseppe Grassano e Francesco Maria Cesarini, avesse lo scopo di “fare le pulci a tutte le pratiche di finanziamento al fine di trovare errori, omissioni, cavilli da segnalare alla Banca d’Italia affinché il direttore generale Bianconi venisse sollevato dall’incarico. Da quel momento – proseguiva la ricostruzione – è iniziato un controllo assillante, ossessivo delle pratiche di finanziamento con le successive segnalazioni alla Banca d’Italia. E subito dopo si sono evidenziati gli effetti”.
L’atto presentato dallo studio Camiciola era stato depositato alla cancelleria del tribunale di Ancona nel novembre scorso, a seguito della decisione assunta dal gruppo edile di ricorrere contro Banca Marche e Tercas per le linee di credito che, sempre secondo il gruppo, sarebbero state prima concesse e poi revocate, creando alle società del gruppo un danno “grave e irreparabile”. Il giudice Francesca Ercoli, dopo l’udienza del 18 febbraio scorso, si è riservata ogni decisione sulla questione, con i legali di Banca Marche e Tercas che avevano invitato il tribunale a respingere il ricorso.
“Vista la diffamazione di cui ci sentiamo vittima – ha dichiarato Franco Gazzani – ci è sembrato normale rivolgerci alla magistratura. Ribadiamo il concetto che la Fondazione è parte lesa nella vicenda di Banca Marche e che tutti coloro che sono stati artefici e attori principali dovranno risponderne. Noi crediamo principalmente nella magistratura, visto che a nostro parere vi sono in tutta la vicenda reati macroscopici che dovranno essere perseguiti e sanzionati. Anticipo che nei prossimi giorni avvieremo, insieme ad altri, procedimenti in sede civile per il risarcimento di tutti i danni subiti dalla Fondazione. Venendo alla ricostruzione del gruppo Lanari – ha concluso il presidente di Fondazione Carima – chi vuole davvero sapere quello che è successo in Banca Marche dovrebbe semplicemente leggere i numerosi e dettagliati articoli che proprio Cronache Maceratesi ha scritto in questi anni”.
L’interesse principale della Fondazione, ribadito anche con questa azione al tribunale di Macerata e dalle parole di Franco Gazzani, sarebbe dunque quello di puntualizzare come l’istituzione maceratese si sia sempre mossa per tutelare gli interessi propri e della banca, anche tramite il ricorso all’autorità giudiziaria. A giorni lo studio milanese dell’avvocato Pozzi depositerà a nome di Fondazione Carima e di altri azionisti la propria azione contro la PricewaterhouseCoopers (leggi l’articolo), la società di revisione che si era favorevolmente espressa in relazione alle stime sugli utili della banca contenute nei prospetti informativi che avevano accompagnato l’ultimo aumento di capitale dei primi mesi del 2012. Lo stesso avvocato Cofanelli (leggi l’articolo) era stato in precedenza incaricato dalla Fondazione di seguire gli eventuali aspetti penali che potrebbero riguardare la vicenda Banca Marche, dopo l’apertura di un’indagine ancora in corso da parte della procura di Ancona.
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Lanari-Camiciola: ma non erano soci in affari? Bianconi-Di Matteo: ma non erano soci in affari?
Andrea Enria, presidente EBA, non capisce che Bankitalia e governo sono troppo deboli per fare valere le ragioni nazionali a Bruxelles.
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Andrea Enria, a capo dell’Eba, sembra non rendersi conto che da tre anni penalizza l’Italia.
ROMA (WSI) – C’è un banchiere centrale europeo che da tre anni sta emettendo norme che hanno indotto gli istituti finanziari italiani a scelte draconiane con ripercussioni drammatiche su cittadini e imprese. L’ironia è che non è tedesco. O olandese. No, è di nazionalità italiana e proviene dalla nostra banca centrale, quindi dovrebbe essere consapevole dell’impatto che le sue scelte stanno avendo sulle nostre banche e ancor più sulle nostre imprese. Stiamo parlando di Andrea Enria, il presidente dell’Eba, la European banking authority, organo di vigilanza bancaria dell’area euro.
Poco più di due anni fa, praticamente dalla sera alla mattina, l’Eba ha imposto alle banche dell’area euro di più che raddoppiare il proprio patrimonio liquido mettendo in moto un meccanismo che ha strozzato l’erogazione del credito nel nostro Paese come mai prima nella storia (si veda il box qui sotto).
Adesso l’authority presieduta da Andrea Enria, che ha il compito di emanare i principi-guida della futura vigilanza europea, sta per dare una stretta ulteriore che non solo rischia di mettere in grave difficoltà molte banche italiane ma anche di chiudere definitivamente i rubinetti del credito alle imprese. E ancora una volta con pochissimo preavviso.
«È roba da allarme rosso», commenta un banchiere che chiede l’anonimato. L’impatto potenzialmente più devastante lo avranno due regole che rischiano di aumentare drammaticamente il numero di clienti in default, congelando l’erogazione del credito e portando l’economia reale del Paese alla paralisi. La regola numero 179 di fatto impedisce a un istituto di intervenire a supporto di un cliente in difficoltà più di una singola volta. Altrimenti lo dovrà automaticamente classificare come non-performing, quindi dichiarare il suo credito in default e prevedere nuovi accantonamenti.
Altrettanto devastante è la regola 155 che introduce norme egualmente inflessibili sugli sconfinamenti dei fidi. Fino a oggi lo sconfinamento per oltre 90 giorni generava il default solo se superava una certa soglia, detta «soglia di materialità», che è pari al 5% del totale delle linee di credito del cliente. Da adesso invece un qualsiasi sconfinamento oltre i 90 giorni, anche se di un singolo euro, nel caso riguardi una linea di credito uguale o superiore al 20% del totale degli affidamenti, costringerà la banca a dichiararlo in default su tutte le sue linee di credito. Insieme, queste due misure hanno il potenziale per fare scempio dei bilanci delle banche e conseguentemente spingerle a un’ulteriore stretta creditizia.
Ma come può essere possibile che in una congiuntura economica in cui si sente disperatamente il bisogno di maggior offerta di stimoli finanziari (stile Bernanke), l’autorità europea stia di fatto al
imentando un’ulteriore contrazione economica su tutto il continente? «Enria sembra non rendersi conto o preoccuparsi delle ripercussioni delle sue misure sul nostro Paese, la Banca d’Italia e il governo sono troppo deboli – e hanno troppe responsabilità passate – per far valere le ragioni italiane a Francoforte o Bruxelles, e l’Europa “forte” non ha né l’interesse immediato né la lungimiranza per accoglierle», risponde il solito banchiere.
Analizziamo punto per punto. Cominciando da Enria: pur provenendo dalla nostra banca centrale, il presidente dell’Eba è un Marx più che un Lenin, ha cioè studiato i problemi ma non li ha mai affrontati sul campo lavorando con clienti.
Per quel che riguarda poi le grandissime responsabilità dei banchieri e le inadaguatezze della vigilanza passata, a renderle evidenti sono casi come quello del Monte dei Paschi di Siena o di Carige. Oppure quello meno noto della Banca delle Marche, dove per anni gli amministratori hanno erogato crediti insensati senza che fosse mai presa alcuna contromisura di vigilanza. Finché non è scoppiato il bubbone e l’istituto è stato costretto da Banca d’Italia a portare alla luce svalutazioni su crediti deteriorati per 1.041 milioni nel bilancio annuale del 2012 e altri 500 e rotti in quello semestrale del 2013.
«È indubbio che in Italia, per via anche delle commistioni con il mondo politico ed economico locale e nazionale, si sono fatti più rattoppi ex post che vigilanza. Ben venga quindi la vigilianza di Francoforte», continua il nostro interlocutore. «Ma qui non si stanno creando le premesse per una vigilanza più severa e distaccata. Si stanno introducendo meccanicamente regole che penalizzano i crediti e di fatto incoraggiano le banche a fare ancor di più quello di cui tutti le accusano: comprare titoli di Stato». Al Sole 24 Ore risulta che Banca d’Italia abbia cercato di porre qualche resistenza, ma non ha avuto la forza per farsi ascoltare. Il governo è stato invece assente.
Ma le “raccomandazioni” restrittive dell’Eba valgono per tutti, non solo per l’Italia. Come mai dunque gli altri Paesi tacciono? La ragione principale è che l’impatto di queste regole è diverso a seconda dal contesto. E si fa sentire di più nella fascia sud dell’area euro, quella più debole sia economicamente sia politicamente a cui appartiene l’Italia.
«Con clienti considerati buoni nel medio-lungo termine ma in temporanea difficoltà, in Italia è nella normalità rinegoziare linee di credito due, tre anche quattro volte. Così come è frequente lo sconfinamento oltre i 90 giorni, soprattutto in questo momento con le amministrazioni pubbliche che non pagano», ci spiega il banchiere.
«In Paesi come la Germania questo invece è sempre stato molto raro, indipendentemente dallo stato dell’economia che è certamente migliore. In Italia gli affidamenti sono in parte significativa a revoca, e cioè senza scadenza, mentre in Germania, e nei Paesi nord europei in generale, c’è sempre una scadenza. E le scadenze sono rispettate anche per norma sociale. Se non lo fai diventi un paria». Insomma, siamo davanti a una nuova potenziale tempesta perfetta: chi emana le regole è troppo rigido, chi ne subisce le conseguenze più devastanti non conta e chi conta, non essendo danneggiato, pensa solo ai propri interessi immediati.
«Qui parliamo di misure indiscriminate che non ti aiutano a fare una vigilanza sana, cioè a distinguere chi fa bene e chi fa male. Si introducono automatismi che costuiscono di fatto una forma di rinuncia alla vigilanza», si infervora il banchiere. «È vero che in Italia la vigilanza non è stata fatta in modo stringente, ma siccome abbiamo finora dato prova di minore affidabilità possiamo adesso accettare il suicidio finanziario ed economico?».
Dal dicembre scorso, attraverso le banche centrali nazionali, la Bce sta acquisendo dati sul portafoglio credito classificati in base a questi nuovi criteri. E a metà marzo partiranno ispezioni congiunte Banca d’Italia-Bce per la cosiddetta Asset Quality Review, o Aqr, cioè una due diligence intesa ad analizzare il valore degli attivi nei bilanci. E per chi non dovesse rispettare i coefficienti patrimoniali richiesti sulla base delle nuove classificazioni si prospetteranno pesanti provvedimenti.
Il problema è che, da quel che risulta al Sole 24 Ore, le banche italiane non hanno affatto rivisto in modo stringente la classificazione dei loro crediti in base ai nuovi criteri di valutazione. «Le nostre banche non hanno metodi di flagging, o segnalazione, delle caratteristiche volute da Enria: i sistemi italiani non rilevano gli sconfinamenti sotto la soglia di materialità, né le concessioni ripetute. Quindi non è affatto facile riclassificare gli impieghi con quelle caratteristiche. E non so quanto e come questo sia stato fatto».
Ciò vuol dire che nel giro di un paio di mesi, quando gli ispettori completeranno la loro due diligence, alcune banche potrebbero essere costrette a riclassificare come non-performing molti crediti ritenuti in bonis. Con conseguente esigenza di ulteriori aumenti degli accantonamenti. Insomma, agli sbagli e ai danni del passato si rischia di rispondere con altri sbagli che potrebbero causare conseguenze ancora peggiori. E ancora una volta, questi non saranno circoscritti alle banche ma all’intero mondo produttivo italiano.
Quereliamo anche Andrea Enria , e poi…..
l’articolo su Enria di regionemarche fa capire che è cambiato il mondo in poco tempo, non so quanto le azioni legali avranno successo… staremo a vedere. Ma a proposito: ma non era da ottobre che Carima aveva depositato gli atti per la causa civile?? è Ricci che si sbaglia o è stata annunciata più volte e mai fatta? ci saranno almeno sei articoli di CM che parlano della causa come già intentata… aspettiamo. Comunque andate a vedere sul sito BM la relazione pwc di cui si parla, c’è scritto grande come una casa che si tratta di dati previsionali e ci sono mille distinguo e limitazioni di responsabilità, chi di voi l’ha letta prima di sottoscrivere le azioni? io no, non sapevo neanche che ci fosse…
Con queste premesse e queste teste (bravo regionemarche), si ritorna direttamente indietro di sessant’anni. Buon per Costa che ci ha il Landini……
Magari rivolgersi alla magistratura affinchè si possa finalmente comprendere (ed eventualmente punire) chi, come è quando si è permesso alla BdM di sporfondare e di ricoprirsi di debitri, no??
PERCHE’ IL GRUPPO LANARI POTREBBE AVERE RAGIONE ???
CHIARISCO MEGLIO IL MIO PENSIERO AFFINCHE’ TUTTI POSSANO COMPRENDERE COME LE BANCHE, AL PARI DEGLI ALTRI CITTADINI, SONO TENUTE AL RISPETTO DELLA LEGGE:
” Recenti pronunce della Corte di Cassazione, infatti, hanno sancito l’illegittimità della revoca laddove questa abbia, nel suo concreto esplicarsi, i caratteri dell’arbitrarietà e della imprevedibilità. Tali caratteri sarebbero rinvenibili, sempre secondo la sentenza menzionata, quando la revoca del fido contrasti “con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai comportamenti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista creditizia per il tempo previsto, e non potrebbe perciò pretendersi sia pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate, se non a patto di svuotare le ragioni stesse per le quali un’apertura di credito viene normalmente convenuta”.
PER QUANTO RIGUARDA GLI EVENTUALI ILLECITI COMPIUTI DALLA BANCA MARCHE SULLA VALUTAZIONE E L’ASSUNZIONE DI RISCHI ECCESSIVI E’ AUSPICABILE CHE, OLTRE ALLA MAGISTRATURA, LA SOCIETA’ CIVILE ( SINDACI DEI COMUNI INTERESSATI IN TESTA ) RICHIEDA CHE TUTTE LE FONDAZIONI INTERVENGANO CON AZIONI DI RESPONSABILITA’ IN CAPO AL VECCHIO CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE.
NON E’ GIUSTO CHE A PAGARE SIANO SEMPRE E SOLAMENTE LE IMPRESE !!!