“Pescecani”, nella rete di Mario Giordano
anche Massimo Bianconi

Uscita oggi in libreria l'ultima fatica del direttore del Tg4. Le storie di chi si è arricchito ai tempi della crisi. Tra finanzieri, imprenditori impuniti, Rolls Royce, diamanti, evasioni fiscali e fatture false, anche l'ex dg di Banca Marche e il dissesto dell'istituto

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Mario Giordano

Mario Giordano

di Marco Ricci

«Con la crisi solo i poveri diventano più poveri», è il motto dei Rich Kids, i figli di papà che si accendono un sigaro con una banconota o ostentano su facebook la paghetta da 30mila euro al mese. C’è poi l’imprenditore trevisano che – possedendo solo 163 motociclette, 155 bici da corsa, 70 tra yacht e motoscafi, oltre a 493 auto – ha denunciato al fisco ben 177 euro. Sono quelli che l’ex direttore di Studio Aperto e attuale direttore del Tg4, Mario Giordano, definisce nel suo ultimo libro uscito oggi i “pescecani”, coloro che si sono arricchiti alle spalle dei tanti italiani che chiedono un prestito per pagare l’Imu e la Tasi o, come accaduto due giorni fa proprio nelle Marche, si accampano decine di ore per sperare in una borsa lavoro (leggi l’articolo). Tra questi “pescecani” le cui storie fanno ribollire il sangue nelle vene,   Mario Giordano inserisce, in un capitolo intitolato Gli strani affari della Banda delle Marche, anche quel direttore generale che, almeno in regione, è ormai senza dubbio il banchiere più famoso dall’unità d’Italia ad oggi. Ovvero l’ex dg di Banca Marche, Massimo Bianconi.

«Avete comprato casa? State pagando il mutuo? Siete ossessionati dalla rata mensile? Peggio per voi. Se aveste fatto come lui, la casa ce l’avreste avuta senza sborsare un euro», inizia così la carrellata di aneddoti che Giordano dedica a Massimo Bianconi, partendo dalla vicenda della ben nota palazzina di Via Archimede, 96 a Roma (leggi l’articolo). Il mutuo stipulato in Banca Tercas da una società riconducibile a un familiare dell’ex dg, l’immobile affittato a un prezzo maggiore della rata del mutuo, infine venditore e affittuario che risultano essere società riferibili alla stessa persona, Vittorio Casale, l’immobiliarista bolognese ben sovvenzionato sia da Banca Marche che da Banca Tercas, indagato assieme a Bianconi dalla Procura di Ancona e sulle cui spalle pende un rinvio a giudizio della Procura di Roma proprio per le vicende dell’istituto teramano.

Massimo Bianconi allo Sferisterio nel 2012

Massimo Bianconi allo Sferisterio nel 2012

«Bianconi nella Banca delle Marche ha fatto il bello e il cattivo tempo per quasi un decennio – scrive Mario Giordano – Controllava tutto, sapeva tutto, i maligni dicono che usasse pure delle spie. È arrivato nel 2004 con la fama dell’alieno, sceso dallo spazio creditizio per portare l’istituto locale nell’empireo mondiale. Se n’è andato nel settembre 2012, lasciando un buco da far paura e un istituto sull’orlo del collasso. Però è riuscito a prendersi, nel giro di pochi mesi, non una ma ben due liquidazioni.» E dunque giù con la buonuscita per l’interruzione di una ventina di giorni del contratto di lavoro nel 2011 (leggi l’articolo) e con la seconda buonuscita, a metà del 2012, accompagnata dalla famosa lettera che, plaudente, riconosce a Bianconi come «con il contributo della sua alta direzione, il nostro istituto ha avuto un notevole sviluppo organizzativo e operativo. […] Lei ha agito in costante sintonia con gli indirizzi stabiliti…» (leggi l’articolo).

«Massimo Bianconi, da queste parti, lo conoscevano tutti come un uomo di buona presenza, gemelli d’oro al polso, qualche volta pure di diamanti, sorriso sicuro, volto sempre abbronzato di chi ama la barca», prosegue Giordano prima di ricordare, a proposito di barche, la storia dello yacht dei Riva finito attraverso Medioleasing all’ex direttore generale, o la vicenda che lo vede alla guida di un’Aston Martin finita fuori strada durante il giro di prova, o ancora l’aneddoto  dei due autisti che andavano a prendere Bianconi a Roma, «uno per accompagnarlo con la berlina, l’altro dietro con la moto [di Bianconi, NdA] al seguito». E c’è anche la famosa Audi A5, la coupè concessa al direttore generale ma che gironzolava sempre dalle parti di Milano facendo pagare a Banca Marche i rifornimenti a Cortina o l’autostrada per Rapallo (leggi l’articolo). Non poteva poi mancare anche una vicenda prettamente maceratese, gli epici capannoni fantasma del gruppo Calamante (leggi l’articolo), finanziati a stato avanzamento lavori da Medioleasing e mai costruiti.

Se Giordano elenca tanti aneddotti e circostanze non tutte ancora note ai lettori, è una domanda che si pone l’ex direttore di Studio Aperto a far profondamente riflettere. Dopo aver ricordato la famosa lettera di commiato rilasciata a Massimo Bianconi nel 2012 e ai tanti figli di assunti in Banca Marche negli anni, Giordano si lancia prima in una riflessione sugli intrecci locali e dunque pone la domanda. «Siamo nelle Marche. E quest’epilogo surreale non si capisce se non si parte da qui, dal sistema di potere locale, dagli intrecci, dalle connivenze, da una regione diventata di colpo fin troppo ricca, una terra che rigurgita grandi industriali e lussi paesani, istinti provinciali che vanno a braccetto con sogni globali. […] Chi aveva interesse a sollevare le polemiche? Chi aveva interesse ad ascoltare i primi scricchiolii del sistema?» Mario Giordano coglie bene nel segno il silenzio e l’omertà, presente e passata, che avvolge ancora tutta la vicenda Banca Marche. Una domanda che in Regione si sono posti ben pochi esponenti politici e delle istituzionali locali. Più facile, in fin dei conti, prendersela con la crisi o con la cattiveria di Banca d’Italia. Fortuna, almeno, che a porsi il quesito ci abbia pensato qualcuno che dall’esterno riesce a cogliere la vicenda in modo più lucido.

I brani sono tratti da – “Pescecani” di Mario Giordano – Frecce Mondadori



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