di Alessandra Pierini
Nuvoloni all’orizzonte per Banca delle Marche. In questi giorni Giuliano Bianchi, presidente della Camera di Commercio di Macerata, e membro del CdA dell’istituto bancario espresso dalla lista presentata dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata (era stato eletto il 27 aprile), ha dato le dimissioni. Bianchi aveva lasciato per motivi personali anche il CdA dell’associazione Sferisterio ma questa volta le ragioni che lo hanno spinto ad abbandonare l’ente in cui rappresentava un punto di riferimento e di equilibrio per il territorio maceratese sarebbero tutt’altro che personali. In particolare Bianchi avrebbe avuto dei contrasti con Francesco Cesarini (indipendente) e Giuseppe Grassano, anche questi espressione della Fondazione Carima, per troppa rigidità nella gestione del credito.
Nel corso dell’estate Banca delle Marche aveva ufficializzato il divorzio dal direttore generale Massimo Bianconi (leggi l’articolo) su pressione di Bankitalia che aveva anche chiesto la sostituzione del vice presidente Federico Tardioli (leggi l’articolo). Le dimissioni di Bianchi rappresentano l’ennesima tegola e lascerebbero un vuoto pesante, non semplice da ricoprire. Il presidente Lauro Costa è corso ai ripari e sta facendo di tutto per far cambiare idea al presidente della Camera di Commercio e potrebbe riuscirci in vista della riunione del consiglio convocata per domani. Sono queste ore di grande fermento, decisive per l’assetto della governance di banca delle Marche.
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Morto un papa se ne fa un altro.
Ma postà ( per in non maceratesi : può essere) che non c’è altro manager maceratese più competente e con molti meno conflitti d’interesse?
Il Dr. Giuliano Bianchi è stato nominato membro del Consiglio di Amministrazione della Banca delle Marche dalla Fondazione CARIMA.
A tale riguardo è interessante per i cittadini maceratesi conoscere in che stato versa la nostra fondazione (prima che ci pensi l’ Avv. Bommarito) visto il recente articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore di Tito Boeri, Luigi Guiso, Roberto Perotti e Luigi Zingales
“……….. le fondazioni sono tutto tranne che un esempio di oculata gestione e di risparmio.
In sei anni le fondazioni bancarie hanno ridotto il valore del loro patrimonio del 41%.
Si tratta di circa 17 miliardi di perdita, più di un punto del Pil dell’Italia.
Le fondazioni sono formalmente enti di diritto privato (come i loro dirigenti non perdono occasione di rimarcare), ma questo non significa che chi le gestisce abbia il diritto di dilapidare il patrimonio loro affidato. Innanzitutto, in quanto associazioni a scopo benefico le fondazioni sono regolate dal governo e sotto la sua supervisione, come accade anche in America. Quindi il governo è in ultima istanza responsabile per la loro cattiva gestione.
In secondo luogo, perché le fondazioni bancarie sono un patrimonio delle comunità locali che fu privatizzato per far passare la privatizzazione delle casse di risparmio all’inizio degli anni Novanta. Moralmente questi soldi appartengono a tutti i cittadini delle comunità di origine. Il principale motivo delle nostre critiche non riguarda lo scopo (lodevole) delle fondazioni, né il modo in cui queste erogazioni vengono effettuate (anche se per parecchie fondazioni ci sarebbe molto da ridire e lo abbiamo fatto in modo circostanziato, dati alla mano), ma il modo in cui il loro patrimonio viene gestito. Proprio perché riteniamo le funzioni benefiche da loro svolte molto importanti, vorremmo che le fondazioni fossero nelle condizioni di poter continuare a svolgerle nel futuro. Perché questo avvenga è necessaria un’oculata gestione del patrimonio. La più elementare regola di gestione di qualsiasi portafoglio è quella della diversificazione del rischio.
Nella maggior parte dei casi le fondazioni hanno violato questo principio per mantenere posizioni di potere nelle banche di origine. Così, ad esempio la Compagnia di Sanpaolo ha la metà della propria dotazione in azioni di Banca Intesa, la Fondazione Cariverona il 46% in Unicredit e la Fondazione Banco di Sardegna il 49% investito nel Banco di Sardegna. Questo investimento è stato giustificato con l’esigenza di mantenere le banche legate al territorio. Ma questo obiettivo non rientra tra gli scopi benefici delle fondazioni, a meno che non si consideri come atto di beneficenza quello di regalare ai notabili locali alcuni posti nei consigli delle banche. Cosi come non vi rientra un’altra giustificazione spesso usata, la difesa dell’italianità delle banche; difesa che diventa assurda quando ci si atteggia ad europeisti ma poi si vuole impedire l’accesso in Italia di imprese europee.
Questa commistione tra beneficenza e scopi di potere ha causato gravi danni alle banche, alla collettività, e, più in generale, all’economia italiana. Il caso più eclatante è sicuramente quello della fondazione Montepaschi, che è riuscita contemporaneamente a portare sull’orlo del fallimento la terza banca del paese (salvata con i soldi dei contribuenti) e a deprivare la città di Siena di importanti flussi di beneficienza. A questi danni si aggiunge l’ingessamento della classe dirigenziale in un settore chiave dell’economia; a questo ha contribuito non poco l’autoreferenzialità delle stesse fondazioni. Quando Bazoli è stato costretto da una legge a dimettersi dal consiglio dell’Ubi in quanto banca concorrente, poco dopo sua figlia è entrata nel consiglio della stessa banca. Se qualcuno nelle banche coinvolte si è posto un problema di immagine, non ha ritenuto di esternare le proprie perplessità.
Le fondazioni si presentano spesso come un baluardo contro l’invasione della politica. Ma la realtà è esattamente l’opposto. Per statuto, in molte se non in tutte le fondazioni la maggioranza dei consiglieri possono diventare tali solo se designati dai poteri politici o economici locali. E nessuna persona in buona fede può negare la sottomissione pressoché totale della Fondazione Montepaschi alla politica locale. Nè si può negare che molti dei presidenti delle fondazioni sono politici della prima repubblica, che si sono rifugiati nelle fondazioni e dopo vent’anni sono ancora lì, da Giuseppe Guzzetti di Cariplo a Giuliano Segre della Fondazione di Venezia a Dino De Poli di Cassamarca.
Noi non chiediamo l’abolizione delle fondazioni, ma quattro regole di trasparenza e buona gestione.
Primo, che le fondazioni siano costrette a cedere le partecipazioni nelle banche di origine e investirle in un portafoglio diversificato, pena la perdita dei diritti di voto nelle azioni detenute e la perdita dell’esenzione fiscale di cui godono. Se l’obiezione è che solo le fondazioni possono dare stabilità all’azionariato delle banche, si noti che in Italia i fondi comuni hanno 7 volte il patrimonio delle fondazioni.
Secondo, un limite massimo di due mandati a tutti i consiglieri e presidenti delle fondazioni, con un massimo comunque di dieci anni di carica.
Terzo, bilanci chiari e trasparenti che rendano pubblici tutti i compensi che i consiglieri delle fondazioni ricevono da tutte le società controllate direttamente ed indirettamente dalle fondazioni.
Quarto, il diritto ai cittadini che dovrebbero ricevere la beneficenza di far causa agli amministratori delle fondazioni se sprecano il loro patrimonio o lo gestiscono male. Il governo guidato da un’europeista convinto come Mario Monti non può sottrarrsi a questa urgente riforma, che noi riteniamo di gran lunga piu’ importante di quella dell’art 18 dello Statuto dei Lavoratori. Non si può chiedere flessibilità ai lavoratori e poi non imporla anche ai vertici.”
Sono d’accordo con Gabor Bonifazi. Non sono per la rottamazione “tour court” ma nessuno e’ indispensabile e un certo rinnovamento e’ dovuto .
Premesso che condivido le analisi di Boeri e Zingales sulla “evoluzione” negativa delle Fondazioni bancarie in genere ( non conosco esattamente i dati riguardanti la Fondazione Carima), nello specifico, mi piacerebbe sapere le motivazioni delle dimissioni di Bianchi e cosa significa “divergenze sulla politica del credito”.
Suppongo ( ma posso essere smentito di brutto) che il dissenso possa consistere nel fatto che la banca non sia, diciamo così, sufficientemente attenta al credito verso le imprese in difficoltà ( visto che Bianchi è Presidente della locale CCIAA). Se queste fossero le motivazioni sarebbe bene che diventassero oggetto di pubblica discussione.
I buoi sono scappati. Trippa non ne rimane più’ ed anche i gatti scappano.
@Vassallone: Giuliano BIanchi manager maceratese!!!! …… Piano con le parole. Direi meglio “burocrate coagulato re dei soliti interessi maceratesi”.
…per chi vuole approfondire…
http://www.finanzaonline.com/forum/small-cap/1391015-bancamarche-atto-settimo-80.html#post34807496
..su bancamarche ci vuole un’interrogazione regionale…..le fondazioni hanno impoverito il territorio, i presidenti delle fondazioni hanno danneggiato in modo irreparabile la banca e il territorio , dicevano che l’autonomia avrebbe portato credito al territorio, invece e’ vero il contrario…..non si puo’ mettere chi impasta panini , anestesisti, e quant’ altro a prendere decisioni prettamente tecniche e fuori da ogni politica, speriamo che almeno si salvi il salvabile e in carcere chi a speculato sopra la banca!!!!
Ma penso di non sbagliarmi, chi è Bianchi?..a parte quanto scritto sopra..guarda caso nella sua vita è cominciato ad essere qualcuno dopo aver sposato la figlia di Tambroni.
Favorevole alla sua dimissione a patto che venga sostituito da una persona non appartenente alla massoneria. (http://www.rotarymacerata.it/index.php?option=com_content&view=article&id=85&Itemid=200)
La massoneria e’ responsabile dei peggiori crimini avvenuti in Italia almeno negli ultimi 2 secoli.
Sicuramente se lascia è perchè ha qualche altro intrallazzo (più allettante) fra le mani!
Come ha scritto Saben, la cosa più interessante sarebbe conoscere i reali motivi di contrasto all’interno del c.d.a. Banca Marche.
L’ho scritto in varie occasioni e in più salse…..tutto nasce dalla mancata vendita della banca quando le quotazioni erano tali da rendere conveniente per gli azionisti privati realizzare.
In quel caso l’attuale Presidente Costa, la politica regionale e la Confindustria, ritennero sconveniente perdere il potere decisionale a favore di una gestione + professionale dell’istituto.
I risultati oggi sono sotto gli occhi di tutti, una banca piena di sofferenze non è ne sarà in grado di aiutare nessuno e in più distrugge continuamente valore per gli azionisti privati e per le fondazioni.
Le dimissioni di Bianchi potrebbero favorire una discussione sulle politiche da perseguire, ma da sole non possono smuovere gli equilibri….
Ho paura che per far cambiare qualcosa sia necessario perdere ancora valore…
….e intanto sempre piu giu’!!!!!
Fa benissimo il Dr. Giuliano Bianchi a lavarsene le mani.
C’è rimasta la sola Camera di Commercio in questa provincia, che ancora funziona, è bene che
della gentaglia non metta le mani (ed il deretano in poltrona) anche nella CCIAA.
Ripeto a fatto benissimo il dr. Giuliano Bianchi, forse era meglio non accettare proprio questa carica.
E poi il conflitto di interessi?
Quando qualcuno ha scritto sui giornali, che nelle Marche c’è un MPS in piccolo, forse non sapeva
ancora la realtà. Certo in piccolo se parliamo del buco, che in proporzione poi è sicuramente mag
giore di quello del MPS. Poitica all’interno della Banca, ci sono tutti una spartizione equa, per la
quale spartizione tutti ci sono dentro e senza scusanti di sorta, tutti hanno grufolato nella greppia.
Dirigenti, dei provinciali che si sono atteggiati a supermanager, ed assicurato il tracollo della Banca
e la grande fregatura per i clienti. Ora come prima medicina si limitano a ridurre i premi ai dipendenti, infatti lo fanno a rate, ora riducono premi, poi ridurranno il personale, poi venderanno
degli sportelli, ed alla fine del percorso se lo stato non interviene, la b anca passerà in mano
ad un finanziere che se la prende con quattro soldi. Ma i tromboni che fino ad oggi si sono riempite
le tasche, se la passerranno liscia. I partiti referenti dei trromboni, non hanno proprio nulla da
farsi perdonare. E’ possibile che sia sempre il popolo bue a dover rispondere e pagare per le
malefatte di questa gentaglia, a livello provinciale, regionale, nazionale. Ma i che vengano presi
per la cravatta i veri responsabili.
FATEVI UNA RISATA:
illuminati economisti consigliano: vendete le azioni banca delle Marche, c’è proprio da scompisciarsi
dal ridere, chi aveva in mano azioni per 50.000 euro se ora le vende, riesce si e non a recuperare
malapena 2.500. Certo che per prendere per il culo i risparmiatori si scomodano anche i pezzi da
novanta. Ma a f……………….non ce li manda mai nessuno?