Una (e mezzo) su dieci ce la fa. “E noi ce l’abbiamo fatta”. Il riferimento è per la Banca della Provincia di Macerata, che ‘ha aperto’ il 15 maggio di sette anni fa. “Tanto scetticismo all’inizio, prima di partire. C’era chi ci diceva: andate avanti poi vediamo e chi stava alla finestra pessimista. Si capisce: anche allora l’immobilismo era una peculiarità di Macerata”. “Invece, adesso siamo l’avvenire, il sarto su misura per le esigenze dell’economia del territorio, dove non è stata mai fatta una scelta strategica. In nessun campo, dico, a cominciare dal credito. Il sistema non è riuscito negli ultimi 15 anni ad offrire un benché minimo sostegno alle attività del Maceratese. I nostri operatori economici sono stati lasciati con il cappello in mano, in luccicanti sale d’attesa, per mesi. E quando qualcosa magari arrivava, non serviva più…”. “Una dozzina d’anni fa distribuimmo al mercato un foglietto con alcune proposte per Macerata, spogliato di tutto: indicavamo ascensori per il centro storico sul modello di Perugia e la copertura dello Sferisterio. Eravamo un gruppo di amici animati dall’amore per la nostra città: con me, Aldo (Canovari), Ugo (Bellesi), Lucio (del Gobbo) ed altri ancora. Tante telefonate di stima, anche da parte di Adriano (Ciaffi). Pasqualetti, l’assessore provinciale alla Cultura ci rispose sul giornale: giusto pensare ad uno spazio teatrale in più, grande. Ma in pianura: a Piediripa, alla Pieve… Capimmo l’aria e lasciammo perdere: non avevamo ambizioni politiche.”.
Settantanove anni benissimo portati, uno studio commerciale con venti dipendenti, mezzo secolo nel ‘settore’, la presidenza di una banca (“del territorio, siamo in quattro con le tre BCC, ma noi siamo una SPA” puntualizza), modi low profile, Loris Tartuferi ricorda anni passati eppure presenti. Premette: “Auguro a Banca Marche di risolvere i suoi problemi”. Poi, allusivo: “Senza raschiature, però…”. Il riferimento, sotteso, è ai tassi d’interesse molto attrattivi per i grandi capitali che infatti stanno lasciando le altre banche (il “grido d’allarme’ è stato lanciato dieci giorni fa a Recanati all’assemblea della Bcc dal dg Canella). “La regola commerciale del territorio -afferma Tartuferi- non si può permettere una simile strategia. La salvezza di Banca Marche resta comunque prioritaria e non ci sono dubbi circa il successo finale. La salvezza dell’Istituto -del quale le ultime news, in ordine di tempo, danno per possibile il passaggio ad Unicredit o a Bnl-Pnb Paribas ndr – sarà anche la salvezza del territorio. Per il quale sarebbe un bene se BdM perdesse la propria autonomia, così come non è più autonoma la Carifac ora definitivamente in Veneto Banca. La diversità di mission dell’Istituto, a quel punto, potrebbe fornire un sostegno forte e diretto al territorio”.
Sono passati appena 18 anni dalla nascita di Banca Marche. La maggiore età ha coinciso con il momento peggiore della sua vita. Ricorda ancora Tartuferi. “A metà degli anni 90 subentrai su indicazione di Assindustria, a Giuseppe Sposetti nel CDA della Banca Carima. Eravamo alla vigilia della costituzione di BdM. Eravamo in tre a sostenere in proposito la centralità della ‘Cassa’, la migliore del Centritalia: con me, Goffredo Binni, l’avv. Pietro Delle Fave, il vicepresidente. Fummo tutti tagliati fuori al momento dell’incipit: cooptati dal nuovo Cda furono Alfredo Cesarini e Lauro Costa”.
“Che Carima avesse maggiore valore di Caripesaro venne testimoniato dal conguaglio di 39 miliardi di lire, nel 1995, versati nelle casse della Fondazione Carima. Invece l’anno dopo andammo a Fontedamo, il centro direzionale di Carisj”. L’ombra di un sorriso brilla fugace solo al ricordo di uno dei protagonisti della fondazione di Banca Marche: “l’ambasciatore Giorgio Pagnanelli”. “Con quel curriculum straordinario all’Onu, era stato nominato senza problemi presidente della Fondazione Carima. Degli istituti di credito italiani tuttavia colui che era stato quasi sempre al Palazzo di Vetro di New York, non poteva avere approfondita conoscenza. Pagnanelli mi chiese un report al riguardo. Quasi gli scrissi un manuale…. Che lui. naturalmente, divorò”.
Macerata perse così la ‘sua’ Fiat mentre la Cassa di Pesaro faceva valere un maggior peso nel nuovo organigramma pur tracciato con il Manuale Cencelli.
Tempi duri adesso per il capoluogo, sferzato dalla crisi. “Macché! niente ad un certo punto Macerata aveva più, e niente ha potuto perdere, né può perdere… A Piediripa non si vede movimento, Valleverde non decolla. E’ chiaro che il capoluogo soffre molto più della provincia. Il settore trainante dell’edilizia è fermo, spiragli non se ne vedono. A Macerata inoltre si è costruito molto più del necessario, alcune imprese hanno chiuso, altre sono in difficoltà. Eppure sarebbe il momento di acquistare, perché i prezzi sono accettabili”.
E’ un sabato quasi leopardiano, quello del primo giorno di giugno. Il centro si rianima con il ritorno del sereno dopo una giornata di pioggerella fredda, in piazza Battisti i bar espongono i tavolini per l’atteso defileè di moda. Tanta gente per strada, finalmente. “Ma vedi?! -dice Stefano, tipografo- nessuno ha un pur minimo pacchetto in mano, nessuno in realtà acquista…”. Un’occhiata nei negozi di maggior prestigio rivela la fondatezza dell’intuizione. La sera, i caffè con musica si affollano. “Tutti ragazzi -sospira Corrado, mobiliere di successo- ma non trovi ormai più un locale che s’arrischia a fornire l’accoglienza di alto profilo perché già manca la clientela di quel tipo, anche venerdì e sabato”. “Il problema -puntualizza Sonia, orafa del centro storico- è che la crisi ha intaccato anche la classe medio-alta che finora aveva tenuto. La clientela è così diventata la fascia giovanile, con quel che ne consegue. I genitori sono ancora piuttosto generosi con i figli…I sacrifici preferiscono, per il momento, sopportarli per intero loro. Come sempre. Quando durerà?”.
Voci e testimonianze all’epoca della crisi, sperando che finisca davvero. Anche se ‘chi è vicino agli dei’, come il coordinatore regionale del Pdl, Remigio Ceroni, scoraggia ogni ottimismo. “Non si risolverà certo in pochi mesi, è questione di qualche anno ancora” si lascia sfuggire il senatore, a Macerata, alla presentazione dei nuovi ‘quadri’ del Partito usciti un po’ scossi dalla tempesta di febbraio.
Il caso Banca Marche, nel contesto della crisi generale, preoccupa a sopratutto Macerata anche se tutto appare attenuato, come sospeso. Jesi appare al di là delle colline… Altri ‘rumors’, ad esempio, si sollevarono quando nell’ 85 esplose nel seno di quella che ‘Il Resto del Carlino’ definì superbanca (definizione peraltro molto fondata) il buco di 13 miliardi di lire, così come furono faticosamente conteggiati. Molti di quei protagonisti, per la quale pagarono alla fine sopratutto dipendenti ‘fiduciosi’ e sull’attenti, non ci sono più e il loro nome, preso spesso a prestito ma risuonante in quegli anni dappertutto, è nel dimenticatoio. Anche di chi si tolse la vita all’interno della sua utilitaria dopo una vita di risparmi. Certo: la perdita di ‘appena’ 13 miliardi di lire fa quasi sorridere alla luce degli eventi attuali.
Dottor Tartuferi, i maceratesi hanno perduto la loro propensione al risparmio?
“I tempi sono cambiati, certo. Ma alla fine il territorio, se aiutato, ce la farà a risollevarsi. Ci sono tante eccellenze. Tuttavia la ripresa ci dovrà vedere più autonomi, più imprenditori. Guardiamo il comparto calzaturiero. L’area dei terzisti è il 60% del totale: se saltano quei tre/quattro grandi nomi, salta quasi tutto il resto. Qui ci si deve rimboccare le mani. Nessuno garantisce. Ed offre certezze. Inoltre occorrerà avere più rapporti possibili con l’estero. Il caso della Nuova Simonelli deve essere d’esempio: la ditta di Belforte lavora per circa l’80% con Paesi stranieri dove il prodotto è molto apprezzato. La qualità dei lavoratori marchigiani è fuori discussione in ogni campo”.
Già, l’internazionalizzazione. C’è un’icona tutta maceratese in questo senso: Enrico Mattei. Leggiamo in proposito un dispaccio AGI del 29 maggio. “Gli imprenditori italiani devono investire in Africa, cogliendo le enormi opportunità’ che il continente offre, e in questo senso possono ispirarsi all’esempio di Enrico Mattei: lo ha detto Samia Nkrumah, presidente del Kwame Nkrumah Pan-African Center, figlia del leggendario primo presidente ghanese, padre del panafricanismo. ‘L’Africa ha tanto da offrire’ ha sottolineato la Nkrumah, a margine delle celebrazioni per la Giornata dell’Africa, alla Farnesina; e ricordando ‘la meravigliosa figura di Enrico Mattei’, un imprenditore che ‘con coraggio venne negli anni ’60 in Ghana per aiutare in campo infrastrutturale’, ha invitato gli imprenditori italiani a raccogliere ‘la sua eredità’. Ricorda in proposito l’ex AD di Agip e presidente della Scuola Mattei, Giuseppe Accorinti: “Il presidente Kwane Nkrumah, che la popolazione chiamava ‘Lo Sageto’ (il saggio) era un amico fraterno di Mattei. Grazie a questo legame noi italiani eravamo molto bene accetti dalla popolazione. In Ghana costruimmo una raffineria, che fu la ricchezza dell’intera Nazione, un impianto costiero e 60 stazioni di servizio. La morte di Mattei provocò un’ondata di commozione nel Paese, come ebbe modo di ricordare nel suo libro il prof. Marcello Boldrini che del grande Matelicese (lo era anche lui!) raccolse l’eredità alla presidenza dell’Eni”.
Mattei era “l’imprenditorialità assoluta” per l’ing. Francesco Merloni, ma ora quella spinta, alla base del miracolo economico marchigiano, appare perduta. Ci ha detto l’ex ministro fabrianese: “C’è un episodio che illustra bene la variazione di un modo collettivo di sentire. Quando un anno dopo la morte di Mattei (1962) chiude la più importante fabbrica di Fabriano, la ‘Fiorentini’, che occupava 350 operai, ben 40 di quegli ex dipendenti si mettono in proprio ed avviano altrettante aziende sul territorio che daranno lavoro a migliaia di persone. Una rinascita incredibile! Adesso, davanti ad una crisi del genere, si pensa in genere agli ammortizzatori sociali, alla cassa integrazione, alle pensioni anticipate, agli esodi e via elencando. La gente si è adeguata al benessere, si è seduta, non intraprende più. Negli anni 70 l’Italia era al 1. posto per spirito imprenditoriale nell’area del Mediterraneo, ora viene dopo la Grecia. La colpa? Invariabilmente ‘degli altri’”.
Invece lei (ed altri) vi siete mossi, dottor Tartuferi, avete intrapreso nel settore del credito…
“Già, dopo che il centro delle decisioni e del potere era emigrato da Macerata con il trasferimento del ‘cervello’ di Banca Marche a Jesi. La complessità di gestione di una banca, non più media ma neppure grande davvero, rendeva la possibilità d’ascolto per i nostri operatori molto più difficile”.
Ed allora…?
“Mi dimisi nel febbraio 2003 da membro del Cda della sede maceratese di Bankitalia -dove avevo conosciuto il dottor Ferdinando Cavallini, nostro attuale dg, dopo la tragica scomparsa di Franco Tardi nel 2009. Ero infatti incompatibile con un progetto di una nuova banca che si sarebbe dovuta sottoporre al controllo dell’Organo di Vigilanza e costituimmo con altri cento il comitato promotore per la costituzione di BPrM. Primo capitale sociale: sette milioni e mezzo. Adesso siamo a 24 milioni, centoquarantamila euro, 850 soci. Il 70% è nel sindacato di controllo, frastagliato il resto. 36 dipendenti, tutti giovani, forte è la presenza femminile. A questi si aggiungono stagisti e promotori finanziari: in tuttpo siamo 60. Stiamo adesso formando 10 giovani, per la vendita di prodotti assicurativi. A Macerata c’è la direzione generale. Tre sono le filiali: a Macerata, Civitanova e Tolentino. Poi i punti-servizio a Piediripa, Camerino e presto a Porto Recanati (in questi giorni), Porto San Giorgio e Sarnano”.
Punto servizio…?
“E’ una filiale ridotta, senza costi fissi, ed insieme un negozio finanziario ampliato. Con ‘dentro’ una struttura telematica avanzatissima e la sede degli operatori finanziari. C’è un bancomat di ultima generazione che ‘lavora’ 24 ore su 24. Fa in pratica qualsiasi operazione bancaria ad eccezione del rilascio di carnet”.
Dica tutta la verità, dottor Tartuferi: come siete messi?
“Vorrei ricorrere ad un ossimoro: siamo solidi e liquidi. I nostri parametri sono così come richiesti dall’Organo di vigilanza, in linea con ‘Basilea3’ la cui applicazione è posticipata al 2019. La sana e prudente gestione ci ha evitato perdite di gestione e l’erosione del capitale. Di 7 anni di vita, 5 sono stati in crescita. Siamo inoltre rispettosi del rapporto impieghi/raccolta così previsto da Bankitalia, per cui i primi non devono superare il 90% del totale in cassa. Non so se altri possono dire la stessa cosa e procedere così sulla strada dei prestiti alla clientela”.
Il vostro core tier 1?
“L’indice che fotografa la solidità delle banche è lusinghiero: siamo all’8%. La BdM è al 4,5%. E’ solo un termine di paragone. Alcuni nostri dati a bilancio. Gli impieghi sono pari a 170mln. Per quanto riguarda la raccolta: diretta, 190 mln: indiretta, 90 mln; interbancaria, 50 mln. In tutto 500 milioni. Non è poco per chi è nato nel 2006, dopo aver avuto l’anno prima l’autorizzazione. Le statistiche dicono che realtà creditizie locali cadono nello spazio di 3-4 anni, ‘resistendo’ solo nella misura del 10-15%. Ne abbiamo avuto pure un esempio, qui, nel Maceratese”.
Progetti futuri?
“Il nostro motto, che deve essere una stella polare per tutti, è il frazionamento e dunque la riduzione del rischio. Liquidità costante, crescita continua, tutela dei depositanti. A questo proposito lanceremo dal 20 prossimo l’aumento di capitale sociale che intendiamo portare in tre mesi a 35 milioni. Stiamo inoltre cercando di dare una mano all’edilizia con mutui per giovani coppie e il 27 prossimo BPrM organizza con Ance, Banca d’Italia, l’Ordine degli Ingegneri e degli Architetti, Tecnocasa/Kiron, un convegno sul comparto. Vogliamo la ripresa a tutti i costi. E i nostri ultimi prodotti portano questo termine che inseguiamo da cinque anni ormai: Ripresa. Tuttavia alla maniera della nostra gente: con prudenza e realismo. E senza debiti da coprire”.
Adelante con juicio, Loris.
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BUENO! AGE QUOD AGIS!
Ho apprezzato la capacità del signor Verdenelli, e perciò lo ringrazio, di sintetizzare abbastanza adeguatamente il contenuto della lunga chiacchierata fatta insieme.
Tuttavia non possono esimermi dal fare alcune precisazioniintese a rappresentare meglio il mio pensiero e, soprattutto, lo scopo del mio intervento.
1). A chi mi conosce è anche noto il mio carattere che ha sempre dettato il mio stile di vita. Di conseguenza avrei molto gradito, forse ingenuamente, che i fatti e le notizie relative alle mie trascorse esperienze professionali, del resto poco attinenti al contenuto del messaggio che volevo divulgare, fossero realmente utilizzate al solo scopo di permettere al signor Verdenelli di capire il personaggio che aveva di fronte (mai prima ci eravamo conosciuti), infatti poi definito “modi low profile”.
2). Essendo un esperto di banche e di finanza, il signor Verdenelli vanta importanti esperienze sulle quali ha scritto spesso, anche di recente. Nel commentare insieme un suo intervento circa il “ tramonto del modello di autonomia del credito di Banca Marche”, ho espresso il mio parere al riguardo facendo presente che l’ipotesi è forse una delle alternative in corso, ma mai affermato che per il territorio ciò sarebbe un bene.
3). Da vecchio professionista profondo conoscitore del territorio e da maceratese doc, mi sono sempre state e mi stanno molto a cuore le vicissitudini , le situazioni e le prospettive di rinascita del nostro Territorio. In tale veste, e quindi non tanto quale presidente della Banca della Provincia di Macerata, intendevo esporre e divulgare la mia personale convinzione sulle dette situazioni e prospettive. Al riguardo sono fermamente convinto che, in vista della tanto auspicata ripresa, che al momento sembra ormai veramente possibile, il Territorio, tenuto conto delle particolari caratteristiche delle proprie frastagliatissime e multiformi attività economiche, abbia assoluto bisogno di una diversa e migliore struttura del sistema bancario provinciale che possa consentire di sostenere di più e meglio la nostra economia e di rispettare il principio del frazionamento del rischio, regola fondamentale di ogni attività economica. Di conseguenza, a mio avviso, il Territorio dovrebbeesercitare una verae propria scelta strategica orientata ad un maggiore sostegno e ad un più rapido sviluppo delle piccole banche locali in regola con ogni parametro di vigilanza legato al rispetto del principio basilare della “sana e prudente gestione”. Esse sono infatti certamente più adeguate alla copertura dei bisogni della preponderante frazionata e minuta parte della nostra economia, specialmente in considerazione della crisi che investe il nostro maggiore istituto di credito e non solo.
4). Da ultimo desidero correggere le seguenti imprecisioni:
– i collaboratori dello Studio Associato non sono tutti dipendenti ma sono composti da professionisti, praticanti e dipendenti;
– l’attuale capitale sociale della Banca della Provincia di Macerata è di € 25,140 milioni e non di € 24,140 milioni;
– sui complessivi sette anni dall’avvio della sua attività, la Banca è rimasta in vita ed è molto cresciuta nonostante che più di cinque di tali anni siano trascorsi nel pieno della devastante crisi ancora in atto;
– il cor tier 1 dell’8% rappresenta il limite richiesto dalle norme di vigilanza. Al 31.12.2012 quello della Banca della Provincia di Macerata era del 12% e quello di Banca Marche era del 6,46%;
– l’esempio di una nuova iniziativa bancaria non riuscita non è della nostra provincia ma di quella di Ancona.
Ringrazio per l’ospitalità.
Loris Tartuferi