di Marco Ricci
La tavola rotonda che si è svolta oggi a Jesi, organizzata dall’associazione di azionisti e dipendenti dell’istituto di credito DiPendiamo Banca Marche aveva come tema principale il futuro dell’istituto. Ma in alcuni degli interventi il passato e le responsabilità su chi ha condotto la banca nello stato attuale hanno pesato come macigni. Seduti allo stesso tavolo Sandro Forlani, dipendente BM e presidente dell’associazione, il sindaco di Jesi Massimo Bacci, il professor Giorgio Galeazzi, docente dell’università di Macerata e Bruno Stronati, presidente dell’associazione azionisti privati di Jesi. A coordinare Simona Marini, giornalista di Ansa Marche.
E’ stata proprio Simona Marini a ripercorre in modo chiaro la storia recente e meno dell’istituto di credito. “Dopo vent’anni di utili è arrivata la doccia fredda. Qualcosa di grave stava succedendo e ora banca Marche ha a rischio tra i quattro e cinque miliardi di crediti. E ingiusto dire che è tutta colpa della crisi”, ha proseguito prima di rivolgere ai presenti la domanda per cui tutti erano riuniti intorno allo stesso tavolo. “Quale futuro si va profilando per questa banca?”
Il primo a rispondere è stato Massimo Bacci, sindaco di Jesi, in passato già particolarmente critico non solo nei confronti della fondazione jesina esposta ormai quasi al 90% del suo patrimonio tra azioni e obbligazioni Banca Marche. E il suo intervento è stato durissimo. “La domanda andrebbe estesa non solo al futuro di Banca Marche ma di questo territorio in generale”, ha esordito, “Perché la vicenda Banca Marche rappresenta quella che è la gestione della cosa pubblica e delle amministrazioni. Chi ha gestito Banca Marche”, ha proseguito, “ha fatto cose inenarrabili. Sono riusciti a mettere in crisi un istituto che è stato fondamentale per il territorio”. Accuse non troppo velate non solo ai poteri che controllano la fondazione di Jesi ma che in generale condizionano la realtà politica ed economica della regione. Un attacco che si ripeterà alla fine dell’incontro parlando di sanità e del possibile spostamento del reparto di neurologia da Jesi a Senigallia. “E’ ora che alcuni poteri che hanno gestito la sanità di Jesi, la fondazione e alcuni partiti in particolare se ne vadano, facciano un passo indietro. Non distruggano quello che è rimasto”, ha concluso con tono forte, “A distruggere la banca già ci sono riusciti.”
Raggiunto al margine dell’assemblea, alla domanda su come lui sia uno dei pochi amministratori e politici ad aver puntato il dito sulle reponsabilità di chi ha guidato l’istituto, Bacci ha risposto semplicemente di essere “un uomo libero senza legami con alcun potere”. E al successivo appunto su come mai la fondazione di Jesi non abbia voluto appoggiare Fondazione Carima nella rischiesta di un’azione di responsabilità, il sindaco – tenendosi a fatica – ha preferito trincerarsi dietro un “non mi faccia dire quello che penso, per cortesia.” E se Bacci riterrebbe importante un’azione di responsabilità portata avanti dai commissari nei confronti degli ex amministratori dell’istituto di credito , allo stesso tempo ha mostrato un certo scetticismo sul fatto che ciò possa accadere. Nelle sue parole la circostanza che Terrinoni, uno dei due commissari, fu l’ispettore che guidò l’ispezione in Banca Marche del 2010. Un’ispezione che condusse a qualche sanzione e poco altro. Una perplessità, quella dell’esito del passato intervento della Vigilanza, che più d’uno condivide con il sindaco di Jesi. Poi il riconoscimento ai dipendenti. “La parte migliore della banca che ieri spingeva i clienti a sottoscrivere un aumento di capitale e che oggi si trova a difendere in prima linea le posizioni. Segno di un fortissimo attaccamento al loro lavoro e all’istituto”. Per il futuro il sindaco però non si sbilancia. “E’ impossibile sapere quello che sarà perché forse neppure i commissari hanno chiara quella che è la situazione di Banca Marche.”
“E’ certo che Banca d’Italia ha contestato addebiti al management e ai componenti del Cda per le diffuse irregolarità e l’ultimo aumento di capitale è stato deliberato su basi non veritiere. Questo non può essere frutto di una sola persona, ma di un clima di irregolarità e di clientelismo diffuso a vari livelli.” Non le ha mandate a dire neppure il presidente dei piccoli azionisti jesini Bruno Stronati. Che prima di pensare al futuro ha lasciato indendere possibili azioni civili e penali da parte dell’associazione. Ma quale il futuro per Banca Marche secondo Stronati, preoccupato delle cospicue perdite degli azionisti? “L’ascolto delle minoranze” e la salvaguardia degli interessi dei piccoli azionisti che “non si tireranno indietro al momento del prossimo aumento di capitale.”
Chiaro in ciò che vorrebbero per il futuro dell’istituto il presidente di DiPendiamo Banca Marche, Sandro Forlani. “Un’alleanza stretta tra dipendenti e piccoli azionisti, la creazione di una public company ad azionariato diffuso che abbia al proprio interno coloro che più sono legati alla banca”. Appunto gli azionisti e i dipendenti che , ha poi affermato, “pagheranno un prezzo da quello che è successo. L’idea che Banca Marche possa essere assorbita da un altro gruppo la considero irricevibile per noi dipendenti-azionisti. Sono convinto che all’interno del nostro territorio”, ha aggiunto, “ci sono forze in grado di salvare la banca. Chi dobbiamo chiamare al nostro fianco?”, si è domandato. “Gli amministratori locali, anche se molti sono intervenuti fuori tempo massimo. E poi le associazioni di categoria.” Per quanto riguarda le responsabilità, secondo Forlani “la crisi è una scusa su cui si arrampicano gli ex amministratori” ha affermato prima di invitare i commissari a maggiore fermezza e a tempi più rapidi nel ricambio del management e nel riassetto gestionale della banca.
Su un possibile intervento pubblico e sulla necessità di mantenere un controllo locale per avere una banca del territorio anche il professor Galeazzi. Che ha apprezzato la proposta della public company, così come farà poi Stronati e più tardi faranno Maurizio Santini e Averino Di Marcantonio. Il primo sindacalista della Fiba-Cisl e il secondo della Fisac-Cgil che in questa occasione si sono però espressi a titolo personale come piccoli azionisti. “Ci sono quattro possibilità”, ha spiegato il professor Galeazzi, “un investitore privato che intervenga ma che in questo momento è difficile vederne; altri istituti di credito italiani i quali però versano nella quasi totalità in condizioni difficili; le banche estere o infine un intervento dello stato.” Critico, molto critico su una possibile acquisizione estera di Banca Marche il professore. Perchè “l’acquisizione da parte di una di quelle banche che solo ieri l’Unione Europea ha provveduto a salvare con 45 miliardi di euro di soldi pubblici sarebbe paradossale. E allora perché non aiutare Banca Marche con prestiti statali?”
“Un prestito condizionato da rimborsare quando la situazione si stabilizzerà”, ha spiegato ancora Galeazzi, “Dopo di che entrerebbero capitali privati.” Qualcosa che non costerebbe nulla ai cittadini, secondo il professore di Unimc. E che assomiglia tanto a quegli ipotetici Letta Bond di cui Cgil, Cisl e Dicredito si erano fatti promotori solo qualche mese fa (leggi qui). “Ci vuole poi maggiore responsabilità dal lato politico”, ha concluso Galeazzi mettendo in luce uno scenario grigio non solo per Banca Marche ma per l’intera economia nazionale e regionale. “Il sistema politico si deve impegnare di più oppure da questa crisi non ci sarà via di uscita.”
Futuro e accuse al passato, dunque. E la proposta di arrivare ad una public company ad azionariato diffuso in grado di non far perdere la propria autonomia a Banca Marche. Magari con l’intervento pubblico. Una soluzione forse fattibile ma che dovrà fare i conti con Banca d’Italia. Il vero convitato di pietra al tavolo di oggi e che, piaccia o non piaccia, ha puntellato l’istituto marchigiano in questo momento assai critico. Promettendo di traghettarlo verso lidi migliori. Ma è probabile che a questo punto, essendosene sassunta la responsabilità, il lido lo scelga proprio Via Nazionale.
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Nel disinteresse generale ebbi a scrivere, lo scorso 8 settembre, (commento 6) di azionariato popolare per BdM.
al di la di tante belle parole poi ci vogliono i soldi…abbiamo già visto che fine hanno fatto i capitani coraggiosi….se la banca si fosse accasata a marzo con un grande gruppo bancario oggi non sarebbe commissariata..e la vicenda Masera è una delle più tristi del sistema bancario nazionale…
Adesso si comincia a sparare anche sui commissari…. magari ci faranno vedere anche quanto spendono di benzina….
Bisogna prima di tutto affidare la banca a manager capaci, non orientati a gestire l’emergenza ma a ristrutturare le posizioni dove possibile. Ricordo che ci sono 4 o 5 posizioni da cui la banca esce con le ossa rotte in ogni caso ma poi ci sono miliardi di crediti che se non gestiti in ottica di ristrutturazione rischiano di trasformarsi in perdite secche. E’ il momento di abbandonare l’accetta e cominciare a fare la banca, evitare ogni tipo di rischio è dannoso per gli azionisti cosi come prenderne troppi, senza crediti non ci sono gli interessi attivi e le commissioni, questo significa perdite e ulteriori necessità di capitali….ci vogliono manager adeguati che gestiscano il credito senza isterismi, oramai quella fase necessaria è passata. Ma poi c’è qualche pazzo disposto a vendere le azioni a 0,2??? ma non hanno ancora bloccato quel ridicolo mercato che oggi è ancora più ridicolo?? in ogni caso alla fine le azioni varranno di più. Poi è ovvio che il compratore lo sceglie la Banca d’Italia, chi dovrebbe sceglierlo?? quelli che non sapevano, non vedevano e si fidavano??
I numeri non giocano a favore della proposta.
Servono 500 mil, ipotizzando di raccogliere 5000 € da ogni azionista vecchio e nuovo servirebbero 100.000 nuovi soci, difficile ipotizzarli per una banca che è arrivata a 40.000 in tempi di vacche grasse.
Non capisco, proprio non ci riesco, chi verserebbe poi 5000 € senza sapere quali iniziative vengono prese per evitare di perdere tutto entro i prossimi 12-24 mesi. Qualcuno ha il coraggio di dire che essendosi ridotti i crediti in bonis ed essendo difficile e rischioso pensare di effettuare nuovi affidamenti per 4-5 miliardi il personale è in eccesso. Nessuno dice che la banca perde di competitività ogni giorno, quindi sarà più difficile tornare a fare utili. Tutti pensano a salvare lo status quo e poi chi vivrà…vedrà!
@ Claudio Voltolini
Nel breve periodo, chiunque proponga un piano serio di salvataggio, dovrebbe innanzitutto essere piuttosto chiaro: bambole non c’è una lira
Quindi chi entra, tra gli azionisti, lo fa con spirito di sacrificio ben sapendo che probabilmente per anni le azioni non frutteranno, ed anzi quasi sicuramente, in un futuro nemmneno troppo lontano, ci sarà da intervenire ancora con ulteriore aumenti di capitale.
Poi c’è a fare un serioso piano di gestione oculata dei crediti, per cercare il più possibile i rientri, sperando di chiudere le troppe esposizioni verso alcuni soggetti senza catastrofiche perdite.
Inoltre bloccare/ridurre benefit, consulenze esterne, scatti, premi di produzione, ecc. ecc. ecc. ecc. nonchè (boccone amaro) riformulare i contratti dei dipendenti (tagliare compensi posizioni apicali, ridurre stipendi a garanzia del posto di lavoro, ecc.) e razionalizzare gli uffici (centralizzarne alcuni, quindi chiuderne altri nelle filiali)
Dopodichè c’è, purtroppo (inutile fingere – altro boccone amaro- e prospettare soluzioni immaginarie ed irrealizzabili), da razionalizzare gli sportelli e provvedere agli esuberi.
Nel breve periodo così sopravvivi.
Nel medio-lungo periodo c’è da formulare un piano industriale di assestamento/crescita (credo molto complesso) i cui contorni sono, a mio avviso, ancora piuttosto vaghi e sfumati e dove, per riuscire al rilancio, servono dei bravi amministratori…
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(per questa breve consulenza mi accontento anche di una Audi A4 usata -non più di 20.000 chilometri reali sul contachilometri-) 🙂
Te la darei anche l’A4, premesso che secondo me sei anche tu troppo fiducioso, di sicuro non sapresti far peggio di chi ti ha preceduto.
Bene,ora possiamo stare tutti piu’ tranquilli,c’e’ stato un bel convegno,ognuno ha detto la sua,difendendo( inutilmente in quanto e’ troppo tardi) il proprio orticello/ interessi e che cosa e’ scaturito dal convegno: l’idea di un azionariato diffuso?..una public?…company?…di un accordo dipendenti azionisti?…e dulcis in fundus magari un intervento dello stato.Bingo! Era tutto cosi semplice e nessuno ci aveva pensato.Peccato la conclusione dell’articolo di Marco Ricci: la strada da seguire la delineera’ la banca d’Italia.Invece di scervellarsi in proclami altisonanti,le varie associazioni dovrebbero organizzare un incontro con i commissari e capire in che modo questi signori pensano di traghettere la banca.Sara’ possibile e quando sapere a quanto ammontano una volta per tutte incagli,sofferenze ecc?Cosi magari capiamo anche quanto valgono le ceneri della ns banca del territorio,quanto serve per un a.c.risolutivo ed allora magari qualcuno interessato verra’ pure fuori( aspettando qualcun’altro che lo impallina come speculatore),salvo poi rimpiangere che a marzo si poteva evitare il commissariamento.Sara’ altrsi possibile sapere quando i superstiti nascosti a Fonteadamo vengono mandati a casa e a che punto sono le indagini della magistratura?.Nel frattempo parliamo di azionariato diffuso,di amministrazioni locali che dovrebbero aiutare chi e cosa,e consideriamo irricevibile l’ipotesi che la banca venga assorbita.Tutti tranquilli,non c’e’ nessuno che ad oggi la vuole,neanche per regalo visto quanto vale 0,260 centesimi ad azione)Aspettiamo fiduciosi e mi raccomando buoni e tranquilli public ompany,azionariati diffusi,amministrazioni locali ed un bell’aiuto dello stato e tutto si risolvera’ per il meglio,ovvero una catastrofe.
Con tutto il rispetto per il sindaco di Jesi, vorrei ancora una volta ribadire che la politica deve star fuori da BDM.
Cerchiamo di capire che una cosa è l’ economia – cito da nota enciclopedia – dal greco οἴκος, oikos, ovvero “casa” inteso anche come “beni di famiglia“, e νόμος (nomos), “norma” o “legge” , mentre agli antipodi di tale concetto sta la politica, – sempre dalla stessa enciclopedia – dal greco “πόλις”, polis, che significa città, lemma che è generalmente applicato all’attività di coloro che si trovano a governare masse e comunità di cittadini, non i loro beni
o i loro risparmi, o le loro scelte imprenditoriali intese come lavoro diretto o indiretto.
Pertanto un’intervento statale o regionale che preveda al solito un carrozzone di controllori non controllati, una pletora di personaggi che non per conclamata esperienza che nascxe da specifici studi, ma per logiche di spartizione venga ancora a contatto con BDm è da rifuggire come la peste !!
Chi cita l’impossibilità di arrivare a 100.000 azionisti di piccolo taglio vede lontano, in quanto non ci saranno masse disposte a intervenire, sia per la crisi, sia perché feriti nei loro portafogli, ma anche per il fumoso futuro, e non ultimo perché la distanza dal paese reale dalle vicende di BdM si sta sempre più allargando: non vedo alleanze strette da piccoli azionisti e dipendenti, a meno che queste due caratteristiche si riuniscano nella stessa persona…..
Non credo che quanto discusso nella sede citata dall’articolo abbia portato chiarezza, ma aver espresso idee ed opinioni diverse e’ sempre sintomo di ottima democrazia, così come è vero che sarà molto difficile accontentare tutti, o una categoria rispetto ad un’altra o ancora arrivare ad un coacervato di situazioni più o meno esplosive.
Servono soldi, tanti soldi, come in tutte le iniziative imprenditoriali, e tale è la gestione (corretta) di una banca,
soldi che devono essere utilizzati per dare impulso agli asset remunerativi e impiegati anche per tagliare rami secchi.
E servono manager capaci, uomini liberi da lacci e lacciouli, che sappiano stare sul mercato, fare mercato ma soprattutto fare banca, raccogliere risparmi ed erogare credito, sic et simpliciter.
E’ la legge del mercato, non si può prescindere dal mercato, ma qui nessuno sembra ricordarlo, se non gli indefessi dipendenti che ogni mattina cercano di arginare la sfiducia dei clienti verso la loro banca, che cercano di dare risposte concrete alle esigenze dei clienti impauriti e accerchiati dalla concorrenza.
Poi, per il resto sono parole, tante parole, troppe parole che vengono da tante persone che orbitano intorno all’universo BdM e che frastornati dalla situazione, incerti sul loro stesso futuro, cercano di salvare il loro piccolo giardinetto dalla piena del disastro.
Conclude bene Ricci: Bankitalia ha preso le redini, Bankitalia deciderà.
Gianfranco Cerasi,condivido pienamente la seconda parte del suo intervento.Finalmente qualcuno che ha il coraggio di parlare di tagli del personale,chiusure di filiali,gestione manageriale e non contadina della banca,gli unici rimedi che possono consentire a bmarche di risollevare la testa.Esattamente il contrario di quanto emerso ieri al convegno.Riguardo invece all’intervento al buio da parte di un non ben identificato azionariato diffuso non credo possa realizzarsi ed essere fattibile,cosi come credo che trattandosi di guerra tra poveri gli interessi degli azionisti e quelli dei dipendenti non potranno coincidere ,anzi purtroppo gli uni saranno contrari agli altri.Grazie anche per avere toccato il problema della quotazione e del valore del titolo.Se nessuno ferma l’emorragia oggi esclusivamente emotiva e consentita da un sistema demenziale di contrattazione,altro che public company,azionariato diffuso ed altre amenita’ emerse dal papocchio di personaggi riunitisi ieri: politici,sindacati,professori,un sindaco ed il nostro presidente della associazione azionisti privati,troppo ottimista sul concetto che gli azionisti faranno la loro parte nel prossimo a.c. se nessuno continuera’ ad occuparsi di loro se non quando ci sara’ da battere cassa.E’ gia’ successo,ma non succedera’ piu’,quindi qualcuno si ricordi di noi a fontadamo,risponda alle lettere ed alle istanze della ns associazione,ci rceva e ci dia la stessa dignita’,attenzione e tempo concessi a sindacati,politici,filosofi,ecc.Grazie
Per passare il tempo alle tavole rotonde si portassero il monopoli che si divertono di più.