Il Sole 24 Ore contro la Fondazione Carima

La testata economica punta il dito sull'operato dell'istituzione maceratese. Ripercorriamo le vicende che hanno portato alla richiesta dell'azione di responsabilità

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La sede della Fondazione Carima

La sede della Fondazione Carima

di Marco Ricci

L’intera storia recente di Banca delle Marche è intrisa di “non detti.” Ricoperta di “non spiegato”, di “non chiesto” e di “non risposto.” Tanto che il silenzio è più la prassi che l’eccezione. Così il Sole 24 Ore di Ferragosto ha riservato alla Fondazione Carima un articolo piuttosto duro a firma Roberto Perotti, professore universitario alla Bocconi di Milano, appunto sui “non detti” della fondazione maceratese (leggi qui). Un attacco alla Fondazione di Macerata da parte di un giornalista che da molti anni si occupa di  fondazione bancarie, spesso in modo piuttosto critico. Nell’articolo di ieri Perotti sottolinea l’incoerenza maceratese. Ad esempio nell’aver chiesto l’azione di responsabilità da una parte e aver sottoscritto poco prima l’ennesimo aumento di capitale di Bdm, andando ulteriormente ad esporre  il patrimonio dell’istituzione maceratese. Oltre a sollevare la critica dell’essersela fatta fare “sotto il naso”, “senza esercitare quel minimo di controllo che ci si aspetterebbe da un’azionista di maggioranza.”

Lauro Costa, ex-presidente di Banca Marche, con Massimo Bianconi

Lauro Costa, ex-presidente di Banca Marche, con Massimo Bianconi

Sebbene non tutte le ricostruzioni di Perotti sembrino completamente rispondenti a ciò che è accaduto nelle Marche, l’articolo è uno spunto per fare alcune considerazioni che – per stare al passo con la cronaca – sono rimaste sul taccuino. Elementi per tentare di costruire un quadro più completo dell’accaduto. Partiamo da un’ovvietà. Che in compagnia delle altre fondazioni azioniste, Fondazione Carima non può essere esente da responsabilità su quanto successo. Quanto meno per aver scelto uomini che spesso è difficile annoverare come esperti banchieri. E alcune delle domande poste dal Sole 24 Ore ce le siamo poste anche noi, come con ogni probabilità se le sono poste molti lettori. Domande a cui  se ne possono aggiungere delle altre. Come ad esempio chi, tra le Fondazioni di Pesaro, Macerata e Jesi, volle Massimo Bianconi alla guida della banca. E se la sua nomina a Direttore generale fu la risposta a qualche input nazionale piuttosto che una scelta autonoma degli azionisti. Come è sorprendente chiedersi perché vennero ignorate quelle notizie apparse sulla stampa nazionale che in qualche maniera dovevano creare attenzione sull’ex dg. O se è vero, una volta esplosa la situazione in tutta la sua gravità, che all’interno del Cda di Banca delle Marche non si reagì nei tempi e nei modi forse auspicabili. Ma torniamo alle domande di Perotti. Possibile che nessuno si sia mai accorto di niente? Possibile che le Fondazioni, tra cui quella maceratese, non sapessero nulla?

banca_marcheA questo riguardo sfogliare una rassegna stampa di qualche anno fa su Banca delle Marche fa amaramente sorridere. Un tripudio di dichiarazioni a festa, di localismo e autonomismo, di utili che volano, di semestri d’oro, un coro per l’autonomia a cui si aggiunse nel 2007 – stando alla stampa locale – anche la voce dello stesso Rainer Masera e di quelle del professor Alessandrini. Ovviamente in compagnia dei sindacati, della politica a tutti i livelli, del Presidente della Regione Spacca, della Provincia Silenzi, del  segretario Provinciale Ds, delle Associazioni di categoria e anche di Moody’s che nel 2007, buon ultima, alza il rating dell’istituto di credito. Ma non finisce qui. Perchè nel 2011 Banca delle Marche – udite, udite – riceve il premio “Creatori di Valore” come migliore Banca di dimensioni regionali al “Milano Finanza Global Awards 2011”. Secondo il premio della prestigiosissima rivista economica Bdm è la migliore banca di dimensioni regionali con le migliori performance patrimoniali e di efficienza. Una banca che – secondo un comunicato della stessa Bdm in riferimento al premio – “ha saputo coniugare allo sviluppo della massa amministrata la capacità di fare cassa e generare profitti”. Nel frattempo – se non sbagliamo più o meno tra il 2010 e il 2011 – interviene anche un’ispezione di Banca d’Italia. Pochi spiccioli di multa, qualche avvertimento e niente più. I guai dovevano essere nascosti bene o non si vanno a cercare. Molto bene se anche la prestigiosissima società di revisione dei conti sembra notare poco o niente. Che in mezzo a questo trionfalismo spunti un trafiletto sul caso Coppola è forse un incidente di percorso. Come suscita l’ennesimo amaro sorriso scovare in questa rassegna un riferimento alla grande crescita della Tercas di Di Matteo. Cassa di Risparmio di Teramo appunto recentemente commissariata da Banca d’Italia.

Che gli uomini nel Cda non fossero nella maggioranza dei casi esperti banchieri fino ad allora non lo nota quasi nessuno. E allora spunta fuori un altro “non detto” che forse è una delle concause  di quanto accaduto. Come venivano scelti questi uomini? E da chi? Perché parlare genericamente di Fondazioni, come fa Perotti che già dal 2007 aveva puntato profeticamente  il dito sul sistema delle fondazioni bancarie, non aiuta a diradare la nebbia. E non è certo una questione di persone simpatiche o antipatiche che non abbiamo neppure mai visto in vita nostra. E’ una questione che una Formula 1 o la si sa guidare o alla prima curva si finisce fuori. E Banca delle Marche dal momento della sua costituzione non è più una piccola Cassa di Risparmio.  Dunque – al di là della buona volontà e della correttezza morale di chi ha operato, qualità che a fino a prova contraria non abbiamo motivi per mettere in dubbio – le competenze necessarie a guidare la banca erano presumibilmente altre.

Franco Gazzani

Franco Gazzani

Con gli occhi di chi è costretto a osservare con distanza i fatti, nella sua analisi il giornalista del Sole 24 Ore  sottintende in qualche modo che le Fondazioni bancarie  siano al loro interno dei blocchi monolitici. Ci sarebbe invece da chiedersi chi comanda veramente all’interno delle Fondazioni bancarie e chi di conseguenza sceglie effettivamente gli uomini. Venendo a Macerata, il “non detto” è di fatto sapere chi ha orientato all’interno di Fondazione Carima le scelte su chi doveva sedere nel Cda della banca. Quali uomini, quali associazioni rappresentate, quali soci. Un parallelismo con la politica rende forse più semplice il concetto. Proviamo a domandarci chi guida le scelte del Partito Democratico. Il Segretario Epifani? Letta? D’Alema? Bersani? Renzi? Probabilmente nessuno dei tanti. Però è vero che all’interno del Pd varie anime si scontrano e alcune temporaneamente si appoggiano tra loro per arrivare in qualche modo a una decisione. Dinamiche simili si suppone siano avvenute anche all’interno della Fondazione Carima. Da questo punto di vista il silenzio totale impostosi dal Presidente Gazzani oggettivamente non aiuta, pure se l’indirizzo della Fondazione è piuttosto chiaro. Non sappiamo dunque quali posizioni abbiano assunto i membri rappresentanti delle diverse categorie o delle istituzioni presenti nell’Organo di Indirizzo e nel Cda della Fondazione in merito a Banca delle Marche. Ma dalla periferia traspare la tensione che ha attraversato l’istituzione maceratese e che ha diviso alcuni uomini che sedettero nel Cda di Banca delle Marche da altri che osservavano più da lontano l’andamento dell’istituto di credito. Non è un punto da poco questo. Una divisione che pare esplosa quando cominciano ad apparire i primi segnali che in Bdm qualcosa non va per il verso giusto.

Francesco Maria Cesarini, Consigliere indicato da Fondazione Carima dimessosi recentemente dal Cda di Bdm

Francesco Maria Cesarini, Consigliere indicato da Fondazione Carima dimessosi recentemente dal Cda di Bdm

Da questo punto di vista la ricostruzione di Perotti di come si pervenne alla richiesta di azione di responsabilità non è esatta. Ma è senza dubbio l’occasione per tentare di spiegare cosa avvenne o almeno per disegnare un quadro purtoppo ancora condizionato da un “non detto” complessivo. “Dopo oltre un anno, svegliatasi finalmente dal proprio torpore”, scrive Perotti, “la Fondazione comunicava agli altri azionisti di Banca delle Marche di voler indire un’azione di responsabilità nei confronti del Cda di Banca Marche”. Questa ricostruzione, come detto, non è completamente corretta. Perché all’interno della Fondazione maceratese ci si era cominciati ad accorgere che qualcosa potesse non quadrare, già al momento della vendita degli immobili e della costituzione del Fondo Conero. Si fecero allora – forse con ritardo – i primi conti della serva. Domandandosi alla fine se i ripetuti aumenti di capitale di Bdm non servissero alla fin fine solo per pagare i lauti dividendi o poco più. Macerata – siamo più o meno alla fine del 2011, inizio del 2012 – si affida a un consulente che dopo uno studio comparativo con altri istituti di credito delle stesse dimensioni conferma molto dei timori che cominciavano a prospettarsi. Così nell’aprile del 2012, prima dell’ultima semestrale chiusa in attivo, Fondazione Carima inserisce nel Cda della banca Giuseppe Grassano e l’indipendente Francesco Maria Cesarini, quest’ultimo tra le altre cose ex vicepresidente di Mediobanca. Uomini di grande competenza e esperienza, fuori dai giri locali e di altissimo profilo tecnico. Uomini che avevano presumibilmente l’incarico di guardar bene la banca dall’interno e che non voteranno l’ultima semestrale chiusa in attivo.

Giuseppe Grassano

Giuseppe Grassano, anch’egli dimessosi recentemente dal Cda di Bdm

Da questo momento in poi Cesarini e Grassano saranno i punti di riferimento per la Fondazione Carima. E quando si dimetteranno, solo poche settimane fa, depositeranno due memoriali che sarebbero durissimi con la vecchia dirigenza e i Cda di Banca delle Marche. Non sappiamo ovviamente se le relazioni e l’opinioni dei due Consiglieri furono una spinta alla richiesta di azione di responsabilità. Ma indubbiamente non è pensabile che i loro giudizi non abbiano pesato nelle decisioni prese da Franco Gazzani. L’impressione dunque è che a Macerata una parte della Fondazione Carima abbia avuto una lenta presa di coscienza dei problemi anche precedentemente all’emergere della drammatica situazione attuale. E che da un certo momento in poi – giusta o meno che fosse la scelta – sembrerebbe essere stata imboccata una direzione precisa senza troppi tentennamenti. Dalla svalutazione delle azioni Bdm in portafoglio nell’ultimo bilancio, alla scelta nel Cda di figure con notevole caratura tecnica, alla richiesta dell’azione di responsabilità, alla non sottoscrizione del prestito obbligazionario subordinato di luglio. Certo, rimane come nota Perotti la costatazione che molti guai erano già stati prodotti e forse alcuni accorgimenti andavano attuati prima. Come è indubbio che  le scelte passate furono onestamente rischiose. Ma quanto meno, dal momento in cui si ruppero le uova, Macerata non ha certo nascosto i gusci sotto il tappeto.

L’articolo del Sole 24 Ore si conclude con una affermazione molto dura. “Più che un’azione di responsabilità della Fondazione nei confronti di Banca delle Marche, sarebbe opportuna un’azione di responsabilità dei cittadini marchigiani nei confronti della Fondazione”. Sempre che le responsabilità non siano da ricercarsi in un panorama molto più ampio di soggetti che hanno operato intorno alla banca.

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