Banca Marche, la pessima figura
della politica regionale

Le improbabili domande ai commissari e quelle verità cercate a metà

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Ricci Marcodi Marco Ricci

Quando si parla del dissesto dell’istituto di credito sfugge spesso come Banca Marche sia stata una banca di sistema per l’intera regione. Di più, Banca Marche è stata una banca di sistema controllata dal sistema e che viveva in un sistema, un sistema imprenditoriale, finanziario, sociale e politico. Un sistema che, direttamente o indirettamente, ha influito nelle scelte della banca, sia attraverso gli amministratori e i sindaci nominati dalle Fondazioni (e dunque dal sistema), sia attraverso quella “moral suation” di cui la politica, quando vuole, non è mai avara. Non si può a questo proposito non riflettere su come Banca Marche abbia – a torto o ragione – finanziato negli anni alcune delle più brillanti iniziative regionali, iniziative sfociate spesso in pozzi di san Patrizio di bilanci malandati e in qualche occasione in fascicoli giudiziari.

Ridurre quindi quel miliardo di perdite fino ad ora emerse a una decina di possibili mariuoli, significa non aver compreso – o non voler comprendere – l’aspetto più saliente, quella valenza di sistema di quanto accaduto, il primo aspetto con cui ragionevolmente la politica avrebbe dovuto confrontarsi. Sulle responsabilità e sulle ipotesi giudiziarie il comportamento della politica regionale è stato istituzionalmente impeccabile, con l’attenersi a una rigorosa divisione di ruoli che è però sfociata in un imbarazzante silenzio tombale. O meglio, se la politica in tutta questa storia si fosse limitata al silenzio avrebbe fatto senz’altro una figura migliore, a partire dal Consiglio Regionale che intenderebbe adesso ergersi a interlocutore della Banca d’Italia e a grand commis dell’opzione di salvataggio locale.  

Il consiglio regionale

Il consiglio regionale

Durante l’incontro è stato sottolineato come il nuovo management dell’istituto stia operando la scelta di ridurre progressivamente il credito in favore delle piccole e medie imprese marchigiane, privando nei fatti di ossigeno un tessuto produttivo la cui ripresa passa necessariamente su un rapporto stabile e di fiducia con il sistema del credito. Il Presidente Badiali ha stigmatizzato fortemente questo atteggiamento trovando il consenso unanime di tutte le Associazioni presenti”. Questo è quanto si legge nel comunicato rilasciato pochi giorni fa dalla Regione dopo un incontro con le rappresentanze sindacali avvenuto in terza commissione per discutere ovviamente di Banca Marche.

Il comunicato parla però come parlerebbe della vicenda un marziano appena sceso sul Monte Conero. Alla terza commissione e al presidente Badiali evidentemente non salta in mente che Banca Marche non è commissariata per futili motivi quanto perché alcuni parametri patrimoniali sono scesi sotto i livelli di vigilanza. Così i consiglieri regionali sembrano non voler intendere come la banca, data la situazione attuale, tutto questo credito non lo possa proprio erogare. A cosa servirebbe, secondo la Regione Marche, un aumento di capitale molto consistente se non per  permettere all’istituto di riprendere ad operare? Sentirsi invece propinare la solfa che Banca Marche stia togliendo “ossigeno al sistema produttivo” per sadico atteggiamento di Feliziani e Terrinoni non solo è sconcertante ma tende a nascondere un’altra grave verità. Quella che il sistema produttivo marchigiano è in parte franato nonostante tutta la quantità di denaro che negli anni è stata dirottata dal sistema sul sistema, un sistema che ha ceduto anche per la propria inadeguatezza e per le politiche industriali della regione. Ma la Regione, come molti, sembra invertire la causa con l’effetto scaricando tutto sulla Banca d’Italia.

La terza commissione potrebbe ad esempio riflettere su dove sia finito il miliardo di euro di perdite se non in un sistema produttivo debole e su quella bolla immobiliare da cui anche la politica ha attinto a piene mani per un decennio, ricavandone lautissimi oneri di urbanizzazione, consumando il territorio con varianti su varianti e lasciando che centinaia di capannoni vuoti spuntassero in mezzo al nulla. E’ probabile però che questa riflessione possa costringere i Consiglieri Regionali a riconoscere come in cinque anni le Marche abbiano perso il doppio del Pil rispetto alla già deprimente media italiana, con il sistema che ha tentato di coprire le proprie debolezze con un uso assurdo della finanza spesso privo di merito, un flusso di denaro sfruttato un po’ da tutto il territorio più per tappare buchi che altro, un circolo vizioso dove – al di là degli aspetti penali e delle connivenze– è difficile comprendere chi abbia buttato giù cosa. Se è stata la banca con la sua politica del credito facile a far franare il territorio o il territorio con il suo disastro economico a togliere le fondamenta alla banca.

La sede romana di Banca d'Italia (Fonte: wikipedia.org)

La sede romana di Banca d’Italia (Fonte: wikipedia.org)

La terza commissione, ma anche i parlamentari marchigiani, domandano inoltre a gran voce che la Vigilanza faccia chiarezza sulla quantità di rettifiche effettuate dalla nuova dirigenza, dando l’impressione di una scarsa fiducia su come si è proceduto durante il commissariamento. Tralasciando il ricordo dei tempi in cui Banca Marche era amministrata dal sistema, non si può non riconoscere che ogni domanda è legittima. Ma alla domanda segue spontanea una riflessione. Ipotizzando anche che Via Nazionale sia andata giù troppo dura – questione peraltro di difficilissima verifica e non facilmente argomentabile – dov’erano i consiglieri regionali prima? Così esperti di credito come sembrerebbero essere, dov’erano gli esperti nel 2009, 2010, 2011 se è vero quanto scrive la magistratura che vennero occultate “centinaia di milioni di euro di perdite” dai bilanci di Banca Marche? Come mai gli stessi dubbi di oggi sulla politica del credito ai Consiglieri Regionali non saltarono in mente tre anni fa? E quando si chiedono valutazioni delle sofferenze in media con la linea nazionale, a nessuno viene il sospetto che in una regione che sta andando a picco quelle valutazioni potrebbero risentire anche della crisi economica e del valore reale di tutti quei capannoni cresciuti in mezzo al nulla, nonché dagli episodi di mala gestio passata?

Il presidente del Consiglio Regionale, Vittoriano Solazzi

Il presidente del Consiglio Regionale, Vittoriano Solazzi

In ogni caso la politica chiede a gran voce alla Banca d’Italia “l’operazione verità” e lo fa con un roboante pronunciamento – mai smentito – del presidente del consiglio Solazzi. Giusto domandare verità, ma forse le verità andrebbero ricercate tutte. Non risulta però che alcuna verità, nonostante le molte domande da porsi, la politica la abbia chiesta alle Fondazioni che vedranno da questa vicenda deteriorarsi per sempre un patrimonio in qualche modo dei marchigiani, nonostante esposti presentati al Ministero dell’Economia. Come nessuna verità viene chiesta dalla politica alla politica, anch’essa parte del sistema, mentre sistema e banca andavano a gambe all’aria tenendosi a braccetto, né alcuna verità viene chiesta alla Consob a cui altri marchigiani – quelli che hanno visto consumati i loro risparmi – si sono rivolti.

Sul fatto che quasi nessun politico regionale abbia mai alzato un dito sul fronte responsabilità – responsabilità che  in una società non sono solo di carattere giudiziario quanto etico, politico e di sistema – i marchigiani non possono che stendere un velo pietoso. Perché immaginare che il miliardo di euro perdite siano frutto della Banca d’Italia, dell’economia e di dieci o venti eventuali mariuoli ha un solo significato, quello di scaricare le colpe di un’intera regione su qualcun altro. Il tutto, ovviamente, si innesta sul discorso marchigianità di cui la politica regionale non è mai stata parca. Un discorso nato con i maldestri tentativi messi in campo ai tempi di Rainer Masera quando, davanti al governatore Ignazio Visco, vennero assicurati alla Banca d’Italia massicci interventi del territorio, con una chiamata alle armi da parte del Governatore Spacca tardiva e di impossibile realizzazione in tempi stretti, in particolare mentre erano ancora in corso le valutazioni sullo stato del portafoglio crediti. Adesso la politica ci riprova. In un mese numeri esatti e piano industriale. Beati a sperarci.

I dipendenti dell’istituto, gli imprenditori onesti a corto di finanza e tutti i marchigiani meriterebbero forse qualcosa di meglio e qualche ragionamento più serio da parte della Regione Marche, partendo dalla considerazione che l’intera vicenda, nel bene o nel male, non è altro che lo specchio della nostra società marchigiana, una vicenda colma di omertà e di silenzi, un’omerta non diversa da quella si respira in tante altre vicende locali. E forse – mentre ci si pongono tante domande e si cerca di mantenere una banca del territorio – per essere più credibili sarebbe necessaria magari maggiore competenza e umiltà. Gli slogan non servono a niente e la politica, in tutta questa storia, ha fatto senz’altro la figura peggiore.

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