A Jesi, fucina di talentuose schermitrici, non solo la campionessa olimpica Elisa Di Francisca è salita sulla pedana per difendere i colori di Banca Marche, ma anche i sindacati sembrano pronti ad abbassare la maschera e a impugnare più che il fioretto la spada nei confronti dei vertici aziendali e delle politiche della Banca d’Italia che, per le rappresentanza dei lavoratori, avrebbero contribuito a portare al commissariamento, politiche che a tutt’oggi sono il sentiero su cui si muovono i commisari Feliziani e Terrinoni ma che i sindacati non sembrano condivire.
Tralasciando però per un momento rettifiche e crediti deteriorati e venendo per una volta a temi più ameni, l’istituto di credito ha comunicato che la giovane schermitrice jesina sarà la testimonial per Banca Marche di un nuovo prodotto di interent banking legato alle piattaforme mobili, un’applicazione in grado di consentire ai clienti di effettuare direttamente dai propri cellulari molte di quelle operazioni che di norma richiedevano l’accesso in filiale o l’utilizzo di un computer e di una rete internet. Sebbene a Jesi non si sia proprio scoperto il bosone di Higgs, questa iniziativa della direzione commerciale – che solo da pochi mesi è guidata da Filippo Corsaro – è sintomo di vitalità e di un repentino cambio di passo all’interno dell’istituto, nonché di un nuovo tipo di banca, senz’altro più moderna, verso cui si stanno orientando le scelte commerciali. Banca Marche Mobile è infatti il terzo prodotto presentato in soli due mesi, dopo un conto destinato alle famiglie e un plafond da 20 milioni di euro per gli operatori turistici (leggi l’articolo) a cui seguirà entro breve un simile prodotto destinato al mondo dell’agricoltura. Proprio durante la presentazione del plafond sul turismo, Filippo Corsaro aveva parlato di una sorta di D-Day per l’istituto di credito che, oltre ad aggiornare le proprie offerte, sta andando verso la riorganizzazione commerciale e del numero delle filiali. Uno dei punti questo, ma non l’unico, che sta facendo però salire sulla pedana le organizzazioni sindacali che rimproverano ai commissari e alla direzione uno scarso confronto fino a questo momento sulle scelte e su cosa Banca Marche sarà.
L’incontro del 27 febbraio avuto con i vertici aziendali è stato infatti considerato deludente dai rappresentanti dei lavoratori di Banca Marche che non hanno neppure gradito come la riunione con la direzione, prevista inizialmente per giovedì prossimo, sia alla fine slittata. Sul piatto sono molti i temi di discussione, dalla trattativa sul contratto integrativo aziendale prorogato l’11 dicembre scorso dai commissari fino al 30 giugno, al ruolo delle piccole filiali che, secondo i sindacati, non andrebbero chiuse poiché permettono alla banca la penetrazione in zone del territorio che sarebbero in caso contrario preda di altri competitori, al contenimento delle spese per il personale e all’uso eccessivo di consulenze esterne.
Più in generale, e forse questo è il punto di maggior frizione, le rappresentanze sindacati contestano ancora una volta le politiche scelte dalla Banca d’Italia sia prima che dopo il commissariamento, a partire dalla riapertura della semestrale del 2013 con gli ulteriori 170 milioni di perdita che, sempre secondo i rappresentanti dei lavoratori, avrebbero portato poi al commissariamento di Banca Marche. I sindacati, e da quanto trapela non solo quelli aziendali, continuano ad avere forti perplessità sulla politica di gestione del credito deteriorato e degli accantonamenti, la famosa “cura da cavallo”, come ebbero a dire qualche mese addietro, “che uccide anche il cavallo”. Una cura che, a parere delle organizzazioni dei lavoratori, non sarebbe stata applicata in modo così massiccio nei confronti di altri istituti. E se da una parte i sindacati si domandano quale sia l’obiettivo dei commissari, dall’altra lamentano che la scarsità di informazioni non solo genera poca trasparenza ma impedisce un dibattito serio. “Forse perché non vogliono un confronto che possa portare ad altre soluzioni?”, si è domandato oggi uno dei rappresentanti dei lavoratori in vista del tavolo intersindacale che si svolgerà martedì e che avrà probabilmente al centro della discussione molti dei temi che abbiamo elencato.
Apprezzate sono state almeno le ultime dichiarazioni rilasciate alla stampa dai commissari Feliziani e Terrinoni che, per la prima volta, hanno posto l’attenzione sul problema dei precari. Così i giovani dipendenti di Banca Marche hanno così scritto una lettera indirizzata oltre che ai commissari – a cui hanno richiesto un incontro – anche al direttore generale Goffi e al responsabile delle risorse umane Riggi mostrando soddisfazione perché il tema della stabilizzazione è stato per la prima volta affrontato pubblicamente. “In occasione dell’ultimo incontro – si legge nella lettera – fra l’Azienda e le sigle sindacali del 27 febbraio abbiamo chiesto a queste ultime di consegnarvi una graduatoria” che, seppure non definitiva e modificabile, potrà essere il punto di partenza ed il giusto metodo da seguire per una progressiva, graduale e, ovviamente, meritocratica stabilizzazione dei precari di Banca Marche, con la certezza che anche l’Azienda condivida tale metodo di lavoro che si caratterizza per obiettivi equi, trasparenti e condivisi”.
Anche le rappresentanza sindacali hanno mostrato di apprezzare questo passaggio di Feliziani e Terrinoni. L’immissione di forze fresche e il ricambio generazionale viene infatti anche considerato un requisito necessario per far fronte agli oltre 300 lavoratori che da qui a pochi mesi, utilizzando il fondo esuberi, usciranno da gruppo. In caso contrario il rischio lamentato dai sindacati sarebbe quello di un gap di operatività che penalizzerebbe l’attivo di Banca Marche, una banca che considerano al momento troppo concentrata su come contenere i costi piuttosto che su come far soldi.
L’aria già calda di primavera potrebbe insomma essere il preludio di una primavera ancora più calda in Banca Marche, seppure fino a questo momento i nuovi vertici siano venuti incontro ai lavoratori non solo per quanto riguarda il fondo esuberi ma anche per aver messo a disposizione circa 20 milioni di euro per la proroga fino a giugno del contratto integrativo. La presa in carico del problema dei precari, qualora portasse a una conclusione positiva, sarebbe un altro tassello importante ma è indubbio che l’incertezza sul futuro crei nei lavoratori comprensibili malumori, come crea perplessità quel miliardo di euro di perdite che considerano un’esagerazione. Esagerazione però che – al di là dei fatti più o meno noti ormai materia della procura della Repubblica – in parte non può non fare i conti con la crisi del sistema economico della regione, con il crollo dell’edilizia e con quei valori dei beni in garanzia che solo pochi mesi fa erano ancora fermi al 2010, un’epoca ancora d’oro non solo per Banca Marche ma anche per il comparto delle costruzioni.
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Sì, viene in mente un’insalata salgariana, qualcosa come Sandokan alla riscossa, Jolanda la Figlia del Corsaro Nero e gli immancabili Tigrotti della Malesia.
se è vero quello che dicono i sindacati interni (che evidentemente conoscono le cose..) una parte del dissesto (la maggioranza)è dovuta alla passata gestione ma forse si poteva procedere con aggiustamenti progressivi al posto del tutto e subito. Le altre banche non l’hanno fatto, perchè banca marche si??? guardate gli indici di copertura dei crediti delle altre banche sui siti internet, molte sono inferiori rispetto a BM e non sappiamo quanto ancora sia stato svalutato nel 2013…ma mica verrà fuori che abbiamo perso i soldi anche perchè qualcuno (scegliete voi tra autorità, nuovi manager ecc…)voleva mettere il sederino al riparo senza prendersi responsabilità???eh no perchè allora i danni li chiediamo anche a loro…Senza azionisti, senza dirigenza che spiegasse le ragioni delle scelte passata è stata fatta di tutta l’erba un fascio. Fa piacere che qualcuno che si occupa di banca marche da un po di tempo si sia accorto che oltre alle magagne c’è anche la crisi economica nelle Marche e che il settore immobiliare già in crisi fino al 2011 nel 2012 si è completamente bloccato.
Quella faccia da topo di visco , dovrà dare belle spiegazioni sulla strada presa!!!
Andrea Enria, presidente EBA, non capisce che Bankitalia e governo sono troppo deboli per fare valere le ragioni nazionali a Bruxelles.
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Andrea Enria, a capo dell’Eba, sembra non rendersi conto che da tre anni penalizza l’Italia.
ROMA (WSI) – C’è un banchiere centrale europeo che da tre anni sta emettendo norme che hanno indotto gli istituti finanziari italiani a scelte draconiane con ripercussioni drammatiche su cittadini e imprese. L’ironia è che non è tedesco. O olandese. No, è di nazionalità italiana e proviene dalla nostra banca centrale, quindi dovrebbe essere consapevole dell’impatto che le sue scelte stanno avendo sulle nostre banche e ancor più sulle nostre imprese. Stiamo parlando di Andrea Enria, il presidente dell’Eba, la European banking authority, organo di vigilanza bancaria dell’area euro.
Poco più di due anni fa, praticamente dalla sera alla mattina, l’Eba ha imposto alle banche dell’area euro di più che raddoppiare il proprio patrimonio liquido mettendo in moto un meccanismo che ha strozzato l’erogazione del credito nel nostro Paese come mai prima nella storia (si veda il box qui sotto).
Adesso l’authority presieduta da Andrea Enria, che ha il compito di emanare i principi-guida della futura vigilanza europea, sta per dare una stretta ulteriore che non solo rischia di mettere in grave difficoltà molte banche italiane ma anche di chiudere definitivamente i rubinetti del credito alle imprese. E ancora una volta con pochissimo preavviso.
«È roba da allarme rosso», commenta un banchiere che chiede l’anonimato. L’impatto potenzialmente più devastante lo avranno due regole che rischiano di aumentare drammaticamente il numero di clienti in default, congelando l’erogazione del credito e portando l’economia reale del Paese alla paralisi. La regola numero 179 di fatto impedisce a un istituto di intervenire a supporto di un cliente in difficoltà più di una singola volta. Altrimenti lo dovrà automaticamente classificare come non-performing, quindi dichiarare il suo credito in default e prevedere nuovi accantonamenti.
Altrettanto devastante è la regola 155 che introduce norme egualmente inflessibili sugli sconfinamenti dei fidi. Fino a oggi lo sconfinamento per oltre 90 giorni generava il default solo se superava una certa soglia, detta «soglia di materialità», che è pari al 5% del totale delle linee di credito del cliente. Da adesso invece un qualsiasi sconfinamento oltre i 90 giorni, anche se di un singolo euro, nel caso riguardi una linea di credito uguale o superiore al 20% del totale degli affidamenti, costringerà la banca a dichiararlo in default su tutte le sue linee di credito. Insieme, queste due misure hanno il potenziale per fare scempio dei bilanci delle banche e conseguentemente spingerle a un’ulteriore stretta creditizia.
Ma come può essere possibile che in una congiuntura economica in cui si sente disperatamente il bisogno di maggior offerta di stimoli finanziari (stile Bernanke), l’autorità europea stia di fatto al
imentando un’ulteriore contrazione economica su tutto il continente? «Enria sembra non rendersi conto o preoccuparsi delle ripercussioni delle sue misure sul nostro Paese, la Banca d’Italia e il governo sono troppo deboli – e hanno troppe responsabilità passate – per far valere le ragioni italiane a Francoforte o Bruxelles, e l’Europa “forte” non ha né l’interesse immediato né la lungimiranza per accoglierle», risponde il solito banchiere.
Analizziamo punto per punto. Cominciando da Enria: pur provenendo dalla nostra banca centrale, il presidente dell’Eba è un Marx più che un Lenin, ha cioè studiato i problemi ma non li ha mai affrontati sul campo lavorando con clienti.
Per quel che riguarda poi le grandissime responsabilità dei banchieri e le inadaguatezze della vigilanza passata, a renderle evidenti sono casi come quello del Monte dei Paschi di Siena o di Carige. Oppure quello meno noto della Banca delle Marche, dove per anni gli amministratori hanno erogato crediti insensati senza che fosse mai presa alcuna contromisura di vigilanza. Finché non è scoppiato il bubbone e l’istituto è stato costretto da Banca d’Italia a portare alla luce svalutazioni su crediti deteriorati per 1.041 milioni nel bilancio annuale del 2012 e altri 500 e rotti in quello semestrale del 2013.
«È indubbio che in Italia, per via anche delle commistioni con il mondo politico ed economico locale e nazionale, si sono fatti più rattoppi ex post che vigilanza. Ben venga quindi la vigilianza di Francoforte», continua il nostro interlocutore. «Ma qui non si stanno creando le premesse per una vigilanza più severa e distaccata. Si stanno introducendo meccanicamente regole che penalizzano i crediti e di fatto incoraggiano le banche a fare ancor di più quello di cui tutti le accusano: comprare titoli di Stato». Al Sole 24 Ore risulta che Banca d’Italia abbia cercato di porre qualche resistenza, ma non ha avuto la forza per farsi ascoltare. Il governo è stato invece assente.
Ma le “raccomandazioni” restrittive dell’Eba valgono per tutti, non solo per l’Italia. Come mai dunque gli altri Paesi tacciono? La ragione principale è che l’impatto di queste regole è diverso a seconda dal contesto. E si fa sentire di più nella fascia sud dell’area euro, quella più debole sia economicamente sia politicamente a cui appartiene l’Italia.
«Con clienti considerati buoni nel medio-lungo termine ma in temporanea difficoltà, in Italia è nella normalità rinegoziare linee di credito due, tre anche quattro volte. Così come è frequente lo sconfinamento oltre i 90 giorni, soprattutto in questo momento con le amministrazioni pubbliche che non pagano», ci spiega il banchiere.
«In Paesi come la Germania questo invece è sempre stato molto raro, indipendentemente dallo stato dell’economia che è certamente migliore. In Italia gli affidamenti sono in parte significativa a revoca, e cioè senza scadenza, mentre in Germania, e nei Paesi nord europei in generale, c’è sempre una scadenza. E le scadenze sono rispettate anche per norma sociale. Se non lo fai diventi un paria». Insomma, siamo davanti a una nuova potenziale tempesta perfetta: chi emana le regole è troppo rigido, chi ne subisce le conseguenze più devastanti non conta e chi conta, non essendo danneggiato, pensa solo ai propri interessi immediati.
«Qui parliamo di misure indiscriminate che non ti aiutano a fare una vigilanza sana, cioè a distinguere chi fa bene e chi fa male. Si introducono automatismi che costuiscono di fatto una forma di rinuncia alla vigilanza», si infervora il banchiere. «È vero che in Italia la vigilanza non è stata fatta in modo stringente, ma siccome abbiamo finora dato prova di minore affidabilità possiamo adesso accettare il suicidio finanziario ed economico?».
Dal dicembre scorso, attraverso le banche centrali nazionali, la Bce sta acquisendo dati sul portafoglio credito classificati in base a questi nuovi criteri. E a metà marzo partiranno ispezioni congiunte Banca d’Italia-Bce per la cosiddetta Asset Quality Review, o Aqr, cioè una due diligence intesa ad analizzare il valore degli attivi nei bilanci. E per chi non dovesse rispettare i coefficienti patrimoniali richiesti sulla base delle nuove classificazioni si prospetteranno pesanti provvedimenti.
Il problema è che, da quel che risulta al Sole 24 Ore, le banche italiane non hanno affatto rivisto in modo stringente la classificazione dei loro crediti in base ai nuovi criteri di valutazione. «Le nostre banche non hanno metodi di flagging, o segnalazione, delle caratteristiche volute da Enria: i sistemi italiani non rilevano gli sconfinamenti sotto la soglia di materialità, né le concessioni ripetute. Quindi non è affatto facile riclassificare gli impieghi con quelle caratteristiche. E non so quanto e come questo sia stato fatto».
Ciò vuol dire che nel giro di un paio di mesi, quando gli ispettori completeranno la loro due diligence, alcune banche potrebbero essere costrette a riclassificare come non-performing molti crediti ritenuti in bonis. Con conseguente esigenza di ulteriori aumenti degli accantonamenti. Insomma, agli sbagli e ai danni del passato si rischia di rispondere con altri sbagli che potrebbero causare conseguenze ancora peggiori. E ancora una volta, questi non saranno circoscritti alle banche ma all’intero mondo produttivo italiano.
Ma guarda un po? Ora comincia ad emergere tutto quello che stiamo dicendo da parecchi mesi,inascoltati,nei vari commenti. Oltre che dalla precedente gestione la banca pare ora massacrata (secondo l’opinione di molti)anche dalle scelte miopi di Bankitalia e della nuova gestione della banca, ad essa completamente asservita. Peraltro vivi compiacimenti a tutti gli interessati(Azionisti,sindacati,pubblica opinione etc). Si e’ continuato a piangere sul latte versato (certo giustamente) senza preoccuparsi minimamente di quello che si continuava copiosamente a versare. Si poteva e si doveva gestire questa intrigata situazione in modo diverso ,contrastando,con forza, le imposizioni di un’Istituzione centrale(bankitalia)peraltro,secondo molti, oramai vetusta ed arcaica che ,tra l’altro,di pataracchi, in passato, ne’ ha già combinati parecchi(MPS,Antonveneto,Pop.Lodi e Fiorani,Ambroveneto e mi fermo qui!)e i cui vertici,dicono,oltre che essere benvisi al Bildeberge(potentissima associazione massonica planetaria che ha in mano,si dice, l’economia e la finanza dell’intero globo-con tutti gli aspetti negativi registrati negli ultimi anni)sono stati anche oggetto di condanne penali. Meglio tardi che mai,ma ora gli ulteriori seri danni,così procurati, sia all’immagine dell’Istituto,sia all’intera economia regionale(dove peraltro il tasso di disoccupazione in pochi anni è’ salito dal 4 a oltre il 13%)e ai tanti azionisti(il valore delle azioni e’ praticamente dimezzato in pochi mesi sotto l’azione di questi signori,da molti ritenuta, a dir poco, irresponsabile)chi li rifonderà? Il tutto anche agevolato da un’informazione non certo equidistante e forse neppure scevra da una certa dose di disonestà intellettuale. Ho già detto molto in passato e la finisco qui. Rimane la curiosità di vedere cosa s’inventeranno questi nuovi guru,che gestiscono ora la banca, circa la chiusura del bilancio 2013,di cui si anticipano nuove rilevanti perdite nel secondo semestre dell’anno(art. cronache maceratesi)? Ci sarà qualcuno che prenderà posizione al riguardo?Chissà!!!!! ………Ma oramai è tardi…….qualcuno(oltre alla precedente gestione)pagherà per tutto questo??????