Salvataggio Banca Marche:
“I depositanti possono stare tranquilli”

CREDITO - Ad affermarlo, in relazione ai casi BM, Etruria e Ferrara, il presidente del Consiglio di gestione di Intesa San Paolo, Gian Maria Gros-Pietro. Prende corpo l'ipotesi che nell'operazione possano essere coinvolte le obbligazioni subordinate. "Al salvataggio bisogna contribuire in primo luogo con il capitale dei soci delle banche mal gestite e poi con dei sacrifici di chi ha concesso credito non gratuito". Bankitalia e Fondo Interbancario al lavoro sul dossier, ma i dettagli non sarebbero ancora stati definiti. La priorità al momento è la chiusura del caso Carife, poi toccherà a BM
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Foto d'archivio

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di Marco Ricci

“Noi che siamo la prima banca per presenza in Italia – ha affermato oggi il presidente del comitato di gestione di Intesa San Paolo, Gian Maria Gros-Pietro – siamo quelli che pagano la quota più alta di ogni salvataggio. In questi ultimi mesi ci sono dei temi sul tappeto e l’idea è che anche in questo caso i depositanti devono stare tranquilli. Ma non si può pensare che i problemi creati dalle banche mal gestite si riversino sulle banche che si sono comportate bene. E qui è chiaro che si dovrà sviluppare un meccanismo nel quale coloro che prendono l’onere di tutelare i depositanti delle banche mal gestite, abbiano anche il potere di fare ciò che è necessario per contenere al minimo i danni”.

Se ancora ci sono poche certezze sui dettagli del piano di salvataggio di Banca Marche a cui stanno lavorando sia la Banca d’Italia che il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fitd), le dichiarazioni rilasciate oggi da Gros-Pietro lasciano intravedere alcuni paletti ben precisi che gli istituti, chiamati ad intervenire attraverso il Fondo nei salvataggi Carife, Banca Marche e Banca Etruria, vorrebbero porre. Da una parte la completa tutela dei depositanti, dall’altra la possibilità di coinvolgere nelle operazioni di risanamento le obbligazioni subordinate. Su questo punto il presidente di Intesa-San Paolo – il quale ha escluso l’interesse della sua banca per una futura acquisizione di Banca Marche, Carife o Banca Etruria – è stato piuttosto chiaro. “Al salvataggio bisogna contribuire in primo luogo con il capitale dei soci delle banche mal gestite e poi con dei sacrifici di chi ha concesso credito non gratuito – dice infatti Gros-Pietro – In Italia le crisi bancarie sono state coperte con fondi di altre banche e non con fondi dello Stato, in proporzione alla loro quota nel mercato italiano”.

GianMaria Gros-Pietro (foto Wikypedia)

GianMaria Gros-Pietro (foto Wikypedia)

Data per scontata l’intenzione di traghettare l’istituto marchigiano verso la ripatrimonializzazione, la priorità temporale del Fidt e di Bankitalia è al momento la chiusura del dossier Carife il cui salvataggio è ormai ad uno stato avanzato. Sarà poi la volta di Banca Marche e, solo successivamente, del terzo dossier sul tavolo del Fondo, quello riguardante il dissesto di Banca Etruria. Se ancora non sarebbe stata determinata l’esatta forma con cui il Fidt andrà ad intervenire in BM, appare poco probabile la creazione di una holding per la gestione delle eventuali partecipazioni nei tre istituti in crisi, ipotesi circolata nei giorni scorsi ma definita da alcuni addetti ai lavori come suggestiva ma non concreta. Sebbene il Fondo Interbancario, dato il particolare momento, non voglia rilasciare alcuna dichiarazione anche per via del coinvolgimento delle autorità di Vigilanza nell’operazione, si dà per scontato un ingresso massiccio nel patrimonio della banca, sebbene la forma d’intervento dovrà fare i conti con il decreto del Mef, ancora in via di approvazione, che fissa dopo il recepimento delle direttive europee le diverse modalità di risoluzione delle crisi.

La bozza attuale del decreto esclude l’entrata in vigore del bail-in prima del prossimo anno (il secondo anno di commissariamento di BM scade ad ottobre e per allora andrà individuata la soluzione), ma a differenza della legislazione vigente consente la riduzione del valore delle azioni così come delle obbligazioni subordinate emesse dagli istituti in dissesto, obbligazioni che potrebbero anche essere convertite in azioni. Ferma restando la garanzia per i depositanti, al di là delle parole di Gros-Pietro in pochi si sentono oggi  di escludere l’ipotesi che, oltre agli azionisti, nel piano di risoluzione possano venire coinvolti in qualche forma anche le obbligazioni subordinate le cui emissioni valgono per Banca Marche nel complesso circa 400 milioni di euro, milioni suddivisi più o meno equamente tra investitori istituzionali e privati. Un possibile intervento sulle subordinate consentirebbe di diminuire la necessità di capitale fresco da immettere nel patrimonio della banca, capitale stimato in passato in circa un miliardo di euro, ma dall’altro lato non sarebbe certo un bel segnale per il mercato obbligazionario in generale.

L’operazione di salvataggio di Banca Marche sta dunque per entrare nel vivo, anche se per i numeri esatti e per la forma esatta anche dell’eventuale coinvolgimento delle subordinate si dovrà attendere la conclusione della due diligence avviata dal Fondo Interbancaro il mese scorso.  Su tutto, ovviamente, l’approvazione definitiva da parte del governo dei nuovi strumenti legislativi che fissano le modalità e le diverse possibilità di intervento. Terminata la fase di consultazione pubblica, già effettuate le integrazioni con le osservazioni pervenute da parte dei tecnici del ministero, il testo del decreto dovrà adesso effettuare un primo passaggio in Consiglio dei Ministri, dunque passerà al vaglio delle commissioni parlamentari per tornare, per l’approvazione definitiva, di nuovo in Cdm. E se la delega del governo scade alla metà di novembre, è chiara a tutti l’urgenza di un via libera il più celere possibile. Per Banca Marche, in ogni caso, non è improbabile che qualche novità possa uscire nella terza settimana di settembre.

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