L’uscita di Oseghale dal tribunale questa sera alle 20 dopo la condanna (foto Falcioni)
di Gianluca Ginella
Ergastolo al nigeriano Innocent Oseghale per l’omicidio di Pamela Mastropietro. Questa la sentenza della Corte d’assise del tribunale di Macerata. I giudici sono usciti con la sentenza alle 19,52 di oggi dopo 5 ore di camera di consiglio. Disposti anche 18 mesi di isolamento diurno. Riconosciuta l’aggravante della violenza sessuale. Esultanze in aula quando il giudice Roberto Evangelisti ha letto la sentenza, subito fatte stoppare. Inoltre Oseghale è stato condannato in continuazione con il reato di omicidio volontario della 18enne anche per vilipendio, occultamento e distruzione di cadavere. Alle parti civili: 300mila euro a testa per la mamma, Alessandra Verni, e al papà di Pamela, Stefano Mastropietro, 4mila euro al proprietario della casa dove Pamela è stata uccisa e 3.600 euro al comune di Macerata.
Oseghale, sempre impassibile nel corso del processo, con al fianco una traduttrice che di volta in volta, udienza dopo udienza, gli ha tradotto quello che stava succedendo. La felpa color bordeaux e con inserti blu sulle spalle che ha indossato per tutte le udienze del processo, ad eccezione della penultima perché faceva più caldo. E’ stato impassibile anche alla lettura della sentenza quando ha sentito della condanna all’ergastolo.
Innocent Oseghale ha 31 anni, in Italia era arrivato come richiedente asilo dicendo, è emerso al processo, che suo padre, esponente politico in Nigeria, era stato ucciso. Un fatto che però non sarebbe provato, anzi, tanto che la domanda di asilo era stata respinta. L’uomo viveva da alcuni anni a Macerata, era stato ospite dell’associazione Gus, aveva trovato una compagna italiana, una donna più grande di lui di Villa Potenza, che gli ha dato due figli, il secondo nato dopo l’omicidio di Pamela Mastropietro. A Macerata Oseghale spacciava marijuana e viveva in via Spalato, in un appartamento all’ultimo piano della palazzina al civico 124 poi diventata meta, per mesi, di giornalisti e troupe.
Pamela l’aveva incontrata ai Giardini Diaz il 30 gennaio del 2018. La ragazza, una 18enne romana che nel Maceratese era arrivata nell’ottobre del 2017 ed era ospite alla comunità Pars di Corridonia. Dalla comunità, per motivi mai chiariti, il pomeriggio del 29 gennaio si era allontanata. Il giorno successivo aveva conosciuto Oseghale. «E’ venuta da me perché cercava eroina, ma io non ce l’avevo» ha detto il nigeriano al processo. Poi la chiamata ad un connazionale, Desmond Lucky, che portò una dose di eroina alla ragazza. Oseghale ai Giardini Diaz ha detto di aver consumato un rapporto sessuale con la 18enne. Secondo la procura e un compagno di carcere del nigeriano, Vincenzo Marino, che dice di avere ricevuto confidenze da lui su ciò che era accaduto, l’uomo avrebbe avuto solo un rapporto orale con la ragazza.
Dai Giardini Diaz si spostarono poi allo stadio dei Pini di Macerata dove la ragazza acquistò la dose da Desmond Lucky. Da lì in via Spalato dove la ragazza in farmacia acquistò una siringa per iniettarsi una dose nella casa di Oseghale, che abitava dall’altro lato della strada rispetto alla farmacia, pochi metri più giù. Pamela viva dalla casa di Oseghale non uscirà. Per l’accusa il nigeriano la uccise dopo aver avuto con lei un rapporto sessuale approfittando dello stato della ragazza dopo che questa aveva assunto droga. Pamela voleva andarsene da quella casa, sostiene l’accusa, e aveva minacciato di denunciarlo se non la faceva uscire. Per bloccarla il nigeriano l’aveva colpita con due fendenti, inferti a distanza di qualche minuto, entrambi all’altezza del torace. Pamela era poi morta dissanguata. Ferite di cui si è discusso a lungo al processo: inferte in vita o durante le operazioni con cui il 31enne aveva fatto a pezzi il corpo? Questa la domanda che ha diviso accusa e parti civili da un lato e difesa dall’altro.
Per gli avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, legali di Oseghale, la ragazza si era sentita male dopo aver assunto droga e il loro assistito, spaventato, ne aveva poi fatto a pezzi il corpo per nascondere l’accaduto. Corpo che poi Oseghale aveva messo in due trolley e, chiamato un suo conoscente che a Macerata fa il taxista abusivamente, si era fatto accompagnare per gettarli. Voleva buttarli nelle acque di un fiume a Sforzacosta, invece a causa di una telefonata della compagna, che in quel periodo stava in una comunità, aveva superato la frazione e col taxi era arrivato a Casette Verdini di Pollenza. Lì, preso dall’ansia, aveva fatto fermare l’autista, ignaro di cosa Oseghale stesse trasportando, nel primo punto utile, lungo via Dell’Industria. Lì aveva abbandonato i trolley che il giorno successivo vide, sul ciglio della strada, una automobilista che chiamò la municipale. Sul posto arrivarono i carabinieri di Pollenza e uno dei militari aprì i trolley. Pensava che dentro ci fosse della refurtiva, vide una piccola mano con le unghie smaltate.
L’incubo di Macerata iniziò in quel momento. In città si catapultarono televisioni e giornalisti da tutta Italia per seguire le indagini dei carabinieri del Reparto operativo di Macerata, coordinate dal procuratore Giovanni Giorgio e dal sostituto Stefania Ciccioli. Nel giro di poche ore gli inquirenti arrivarono a dare una identità al corpo trovato nei trolley. La sera del 30 gennaio i carabinieri erano arrivati anche ad Oseghale. Il 3 febbraio Luca Traini, sentite per giorni le notizie sulla tragica uccisione di Pamela uscì di casa armato di una pistola Glock e girato per le strade di Macerata in auto si mise a sparare ai neri. In seguito dirà che la sua intenzione era di sparare agli spacciatori. Con l’azione folle di Traini l’incubo in città si era completato. Oggi a distanza di 16 mesi dall’omicidio di Pamela Mastropietro è arrivata la sentenza della Corte d’assise, presieduta dal giudice Roberto Evangelisti (a latere Enrico Pannaggi). Oltre che di omicidio volontario aggravato dalla violenza sessuale, gli venivano contestati la distruzione, il vilipendio e l’occultamento di cadavere. Tre le parti civili: lo zio di Pamela, l’avvocato Marco Valerio Verni, che assiste la madre della 18enne, Alessandra Verni e il padre, Stefano Mastropietro, l’avvocato Andrea Marchiori, che assiste il proprietario della casa di via Spalato 124, e il legale Carlo Buongarzone, legale del comune di Macerata.
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…ogni tanto qualche buona notizia da Macerata!! gv
…chissà, domani forse qualcuno avrà magari il coraggio di dire che si è trattato di una sentenza..”politica”!!!! gv
Una cosa non capisco. Non mi intendo di legge. Che significa 300mila euro di risarcimento? Questo assassino ha una cifra del genere ? Come è possibile?
Credo sia la cifra che i giudici hanno ritenuto congrua come risarcimento. Ma al di là di questo è chiaro che Innocent non li ha e quindi non li pagherà.
Vediamo tutto alla fine dei tre gradi di giudizio, questo delinquente quanti anni scontera’.
x signora.Vallesi, ho letto che già i difensori hanno detto trattasi di una sentenza per accontentare la popolazione, almeno questo è il concetto, e ricorreranno in appello: quindi aspettiamo i prossimi gradi di giudizio, come giustamente da rilevare il signor Monachesi.
Signor Tombesi, se i difensori hanno dichiarato quel che Lei mi scrive, è come se i giudici avessero emesso una sentenza a “grande richiesta” della popolazione o dei fan, come la richiesta di un brano musicale, addirittura, cosa che in fondo avevo io sopra paventato, ma a livello “politico”; mi auguro, per la dignità umana, che i difensori non abbiano dichiarato quel che sopra ho letto, perché veramente sarebbe una cosa molto triste per la giustizia, che, spero, venga, nei prossimi gradi di giudizio, confermata. Ossequi. gv
AMEN.