di Gianluca Ginella
Dieci mesi dopo fa di nuovo freddo a Macerata e nel frattempo tutto è cambiato. Un cambiamento che in città pare a volte come polvere che si vuole nascondere sotto ad un tappeto, che c’è, non si può togliere, ma è meglio se non si vede. Dieci mesi dopo a Roma, nel quartiere San Giovanni, c’è un parco con una panchina rossa e una dedica per una ragazza che non c’è più e c’è in quel quartiere una famiglia che non si dà pace per la morte terribile di quella ragazza.
Nel carcere di Forlì invece c’è un uomo che negli ultimi tempi ripete questa frase: «E’ giusto che io paghi, ma non per quello che non ho commesso». Quello che ha commesso dovrà valutarlo da lunedì il tribunale di Macerata. È lì che si troveranno per la prima volta nella stessa aula la famiglia di Pamela Mastropietro, la ragazza romana uccisa il 30 gennaio scorso a Macerata, e Innocent Oseghale, il 29enne nigeriano accusato di averla uccisa dopo averla violentata e di averne fatto a pezzi il corpo («in modo scientifico»), per poi sbarazzarsene maldestramente. L’assassino (presunto) e i familiari di Pamela saranno presenti al tribunale di Macerata per l’udienza preliminare fissata davanti al giudice Claudio Bonifazi. L’udienza definirà anche il percorso processuale.
Due le strade: la prima è che la difesa chieda un processo con rito abbreviato (magari condizionato a qualche perizia) la seconda è quella di affrontare un processo davanti alla Corte d’assise (con due giudici togati e sei giudici popolari). Oseghale nega di avere ucciso la ragazza, dice che si era sentita male ma ammette di aver fatto a pezzi il corpo e di averlo poi sistemato in due trolley. Questa l’ultima versione che ha dato il nigeriano. Cardine del processo, qualunque sarà il rito scelto dalla difesa, sarà la perizia medico legale. Quella della procura dice che Pamela è stata uccisa con due fendenti all’altezza del fegato e non è morta di overdose. Quella della difesa dice esattamente il contrario: che i fendenti non erano mortali e la ragazza è morta di overdose.
Un sopralluogo dei carabinieri nella casa di via Spalato con il legale di Oseghale, Simone Matraxia (secondo da destra)
Dunque due strade per la difesa. Con l’abbreviato c’è la possibilità di ottenere lo sconto di un terzo della pena (ma non è detto che accada e Oseghale potrebbe ugualmente venire condannato all’ergastolo dovesse essere ritenuto colpevole). Inoltre l’abbreviato si giocherebbe sulle carte che ha in mano all’accusa e quelle finirebbero sul tavolo del giudice. Nel processo ordinario, che potrebbe durare diversi mesi, invece la prova deve essere formata in aula e quindi verrebbero sentiti testimoni e potrebbero essere chieste nuove consulenze. Per ora i difensori di Oseghale, gli avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, non si sbilanciato su quale scelta faranno per il rito. Nel frattempo il loro assistito, nel carcere di Forlì, da dove ha contatti telefonici con la compagna, con cui ha avuto un secondo figlio nato nei mesi scorsi, ripete: «E’ giusto che io paghi ma non per quello che non ho commesso».
Al processo si costituiranno, e già lo hanno annunciato, i famigliari di Pamela Matropietro. Lo aveva chiarito lo zio, l’avvocato Marco Valerio Verni, qualche settimana fa. La famiglia da mesi continua a chiedere alla procura di proseguire con le indagini ritenendo che Oseghale non possa aver agito da solo. Parte civile ci sarà anche il comune di Macerata, come aveva annunciato il sindaco Romano Carancini. Resta da vedere se al processo, come spesso avviene in simili casi, deciderà di chiedere di costituirsi anche qualche associazione. Su Facebook è stato annunciato anche un sit in davanti al tribunale di Macerata lunedì mattina, in occasione dell’udienza. Chi di sicuro non ci sarà al processo è chi ha fatto del male in altri modi a Pamela, non ci sarà chi poteva aiutarla prima che le cose precipitassero e non l’ha fatto. Non ci sarà chi di lei si è approfittato.
E non ci saranno Lucky Awelima e Desmond Lucky pure loro all’inizio arrestati e indagati per omicidio. Per i due connazionali di Oseghale, attualmente in carcere per spaccio di droga, la procura non ha trovato prove che dimostrassero che potevano aver partecipato all’omicidio. L’accusa, sostenuta dal procuratore Giovanni Giorgio e dal pm Stefania Ciccioli, contesta a Oseghale l’omicidio volontario con l’aggravante di aver commesso la violenza sessuale su Pamela. Deve poi rispondere di vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere. E inoltre di violenza sessuale approfittando del fatto che la ragazza fosse sotto effetto di eroina, droga che era stato lo stesso Oseghale a procurare alla giovane.
...vedremo.
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..rito abbreviato..giustizia abbreviata; vedremo, come scrive la signora Perugini, ma la vergogna, per me, resta. gv
un altro delitto che rimarrà senza un colpevole???