Oseghale parla al processo:
«Ho fatto a pezzi Pamela,
ecco cosa è successo prima»

MACERATA - La dichiarazione testuale resa oggi pomeriggio in Corte d'assise dal 30enne nigeriano imputato dell'omicidio della ragazza romana. «Non l’ho uccisa, si è sentita male. Era andata a riposare nella stanza degli ospiti quando ho sentito un tonfo. L’ho trovata a terra ma era viva. Poi sono uscito perché mi sembrava stesse meglio, quando sono tornato a casa non si muoveva ed era gelida». La mamma è uscita dall’aula: «Fiera di averlo fatto». Lo zio, Marco Valerio Verni: «Un film già visto, niente di nuovo sotto il sole». La difesa ha chiesto una perizia sulle due ferite al fegato che sarebbero quelle con cui la 18enne è stata uccisa. La procura e le parti civili hanno dato l’ok. I giudici hanno rinviato la decisione se disporre o meno il nuovo accertamento (se ne parla il 24 aprile). Calendario cambiato, per ora la sentenza è fissata al 29 maggio

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Innocent Oseghale all’uscita  questa sera dal tribunale

 

di Gianluca Ginella (Foto di Fabio Falcioni)

«Non ho ucciso Pamela, voglio dirlo ai famigliari. Era venuta a casa mia, aveva detto che si voleva riposare ed è andata nella stanza degli ospiti, poi ho sentito un tonfo. Era a terra ma viva, e le ho dato dell’acqua. Sembrava essersi ripresa e sono uscito, quando sono tornato non si muoveva più ed era gelida. L’ho fatta a pezzi perché non entrava nei trolley». Questa una parte della dichiarazione spontanea di Innocent Oseghale, che ha fatto oggi in aula durante il processo di Corte d’assise che si sta svolgendo al tribunale di Macerata. Il trentenne nigeriano è imputato per l’omicidio di Pamela Mastropietro (uccisa il 30 gennaio dello scorso anno).

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Alessandra Verni

Parole che non ha però sentito la madre di Pamela, Alessandra Verni, che ad un certo punto è uscita dall’aula: «Sono orgogliosa di averlo fatto» ha detto dopo il processo (che si è concluso qualche minuti dopo le 20). Lo zio della 18enne ha commentato le parole di Oseghale: «Un film già visto e nessuno era interessato a vederlo di nuovo». Intanto la difesa ha chiesto una perizia sulle due lesioni al fegato (dette C e D) che la procura ritiene essere quelle con cui Pamela è stata uccisa. La procura e le parti civili hanno dato l’ok a che vengano fatti nuovi accertamenti istologici e i giudici hanno rinviato al 24 aprile per decidere se far fare o meno la perizia. Intanto hanno aggiornato il calendario e senza perizia l’ultima udienza è ora fissata al 29 maggio.

Ha parlato in inglese Innocent Oseghale (con una interprete a tradurre) e per circa 20 minuti ha detto la sua verità su quello che sarebbe accaduto il 30 gennaio dello scorso anno. Il giorno maledetto in cui la giovane vita di Pamela Mastropietro, 18 anni appena, è finita in un modo crudele. Nel suo racconto il nigeriano è partito dal principio di quel giorno.

ProcessoOseghale_3aprile_FF-1-650x434Questa la sua dichiarazione, testuale: «Ho già detto cosa è successo sulla morte di Pamela e ho anche parlato ai suoi famigliari. Era il 30 gennaio 2018 è un mio amico, Jarra, mi ha chiesto di andare ai Giardini Diaz perché voleva comprare marijuana. Mentre aspettavo si è avvicinata una ragazza che mi ha chiesto un accendino e mi ha offerto una sigaretta e l’abbiamo accesa. Poi mi ha chiesto se avevo della roba, ho detto di avere marijuana ma lei voleva l’eroina. Quando è arrivato Jarra gli ho dato marijuana. Pamela mi ha implorato di dargli eroina e mi ha seguito. Mi ha implorato di aiutarla – ha detto ancora Oseghale – e mi ha offerto una prestazione sessuale in cambio di aiuto per trovare eroina. Così siamo andati al parco di Fontescodella e abbiamo consumato un rapporto sessuale, senza protezione. Dopo ho chiamato Lucky Awelima per avere l’eroina e mi ha detto di telefonare a Desmond Lucky». A quel punto Oseghale ha detto di aver chiamato Desmond e lui ha suggerito che potevano incontrarsi all’Eurobet di via Morbiducci. Lui e Pamela si sono incamminati «Ci siamo incontrati con Desmond, lui ha dato eroina a Pamela e lei gli ha consegnato 30 euro. Poi Pamela mi ha chiesto di venire con me perché aveva un problema perché doveva prendere un treno alle 14 per Roma, ma non sa perché chiese di andare con me. Questo verso le 12». Oseghale poi ha detto che con Pamela si è incamminato verso la sua casa di via Spalato 124. Lungo la strada «Ci siamo fermati ad un supermercato perché non avevo latte e brioches. Lei voleva fare da mangiare qualcosa e abbiamo preso anche della pasta. Poi mentre andavamo a casa mi ha chiesto se avevo una siringa, ho detto no e ci siamo fermati in farmacia (la madre di Pamela a questo punto si è alzata ed è uscita, ndr)».

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Il legali di Oseghale all’uscita dal tribunale (al centro il medico legale Cacaci)

Usciti dalla farmacia «mi ha chiama un amico, Anthony (Anyanwu, ndr), per dirmi se andavo ai Giardini Diaz. Ho detto che non potevo perché stavo con una ragazza. Io e Pamela, usciti dalla farmacia, siamo andati a casa mia. Appena entrato ha visto una foto della mia famiglia ed è stata contenta di sapere che ero papà». Oseghale ha detto di essere andato in cucina «per preparare il latte, lei mi ha chiesto dove fosse un bagno. Poi mi ha chiesto se avevo un cucchiaio, si è seduta e ha iniziato a preparare l’eroina nel cucchiaio». Intanto Oseghale ha «fatto il latte e gliel’ho offerto, lei ha detto che lo prendeva più tardi. Assunta eroina la ragazza ha detto che voleva rilassarsi un po’ e dormire. Le ho risposto che prima mi aveva detto avrebbe preparato della pasta e perché ora si comportava così. Lei mi disse che prima voleva rilassarsi e dopo avrebbe fatto la pasta. Le ho detto di andare nella stanza degli ospiti. Io sono andato nella mia camera, ho preso un pc portatile e messo della musica come mi aveva chiesto Pamela. Mentre facevo questo ho sentito un tonfo e sono andato a vedere nell’altra stanza. La ragazza era a terra. Dalla bocca le fuoriusciva qualcosa. L’ho messa sul letto. Ho chiamato Anthony per chiedere consiglio su cosa fare. Lui mi suggerì di prendere acqua per vedere se si riprendeva. E ho fatto così. Pamela respirava, si muoveva. Poco dopo mi ha chiamato un amico che mi chiedeva della marijuana. Dato che sembrava che Pamela stesse meglio ho deciso di uscire per consegnare la marijuana. Una volta rientrato però la ragazza non si muoveva più, era gelida. Io mi ero attardato nella consegna di marijuana e nel frattempo era successo qualcosa. Allora ho chiamato Anthony e ho detto che la ragazza non respirava.

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Il procuratore Giovanni Giorgio

Lui mi ha detto che non erano cose di cui si poteva parlare al telefono. Allora ci siamo incontrati all’Eurobet. E gli ho detto che la ragazza non respirava, era fredda e io ero nei guai. Anthony disse che non poteva aiutarmi, disse di tornare a casa, provare ancora con acqua o chiamare un’ambulanza. A quel punto ho iniziato a spaventarmi seriamente. Ho cercato di farla riprendere. Ho pensato di andare al negozio cinese a comprare una valigia per mettere dentro il corpo della ragazza. Ma non ci entrava. Nel frattempo la mia compagna mi chiamava di continuo e ho iniziato ad agitarmi. Visto che il corpo non entrava nella valigia e ho pensato di farlo a pezzi. Così sono andato in cucina per vedere se trovavo qualcosa. Non avevo un’auto e ho fatto il depezzamento in casa perché non potevo uscire. Mentre facevo il depezzamento il corpo iniziava a emanare cattivo odore. Ho chiamato un taxista che conoscevo e quando è arrivato sono sceso per portare le valigie. Nel frattempo ho lavato il pavimento con del sapone perché era sporco di sangue. Poi il corpo l’ho messo in due valigie e da queste usciva sangue quando le ho portate fuori casa. Il taxista mi ha chiesto dove volevo andare, e gli ho risposto: a Sforzacosta. Nel frattempo la mia compagna continuava a chiamarmi. Le dicevo di chiamare più tardi, che avevo da fare. Mentre ero al telefono il taxista ha proseguito oltre Sforzacosta. Quando me ne sono accorto gli ho detto di fermarsi al primo posto utile. Lo ha fatto, a Pollenza, e ho appoggiato le valigie a terra e poi il taxista mi ha riportato a Macerata e sono sceso di fronte al bar Nino. Ho dato 20 euro al taxista e sono andato a casa. Intanto continuava a squillare il telefono. La mia compagna continuava a chiamarmi. Per tranquillizzarla le ho mandato un video per mostrare che camminavo verso casa. Lei diceva che stavo con una prostituta ma io dicevo che invece ero impegnato con il mio lavoro. Una volta arrivato a casa ho provveduto a mettere in lavatrice le lenzuola della camera da letto degli ospiti dove Pamela era stata appoggiata. Dopo averli lavati li ho stesi nel corridoio. Intanto mi ha chiamato ancora la mia compagna e io le ho detto che ci vedevamo domani e andavo da lei». Alla fine Oseghale ha concluso: «Io non ho ucciso Pamela. È morta a casa mia ma non l’ho uccisa, ci tengo a dirlo ai famigliari. Voglio pagare per quel che ho fatto ma non per quello che non ho fatto».

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Alessandra Verni e Marco Valerio Verni

Finite le dichiarazioni di Oseghale i difensori del nigeriano, gli avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi hanno chiesto di fare una perizia sulle due ferite che per l’accusa sono quelle con cui Pamela è stata uccisa. La richiesta è di fare nuovi esami istologici sulle ferite e di riesaminare quelli che già fanno parte del fascicolo del processo e di cui si era discusso a lungo tra i periti sentiti prima delle dichiarazioni di Oseghale. La difesa ha chiesto anche di svolgere accertamenti sulla ferita chiamata C, usando degli altri marker rispetto a quelli utilizzati dal medico legale Mariano Cingolani. Su quella ferita il consulente della difesa, Mauro Bacci, ha detto che, ragionevolmente, può essere vitale ma che andavano svolti altri accertamenti. Il procuratore Giovanni Giorgio, che sostiene l’accusa insieme al pm Stefania Ciccioli, ha acconsentito alla richiesta di fare una perizia. Idem le parti civili. «La perizia se verrà fatta dovrà solo rispondere sulla vitalità delle ferite – ha detto l’avvocato Marco Valerio Verni, zio di Pamela che assiste la parte civile al processo (la mamma e il papà della 18enne) -. Con l’udienza di oggi direi che l’overdose è esclusa. Restano le coltellate come causa della morte». Sulle dichiarazioni di Oseghale ha detto «è stato un teatrino che avevamo già visto all’udienza preliminare. Nulla di nuovo sotto il sole».

(Ultimo aggiornamento alle 21,15)

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Il medico legale Mauro Bacci

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A sinistra: Stefano Mastropietro, il papà di Pamela

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Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, legali di Oseghale

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Luisa Regimenti, consulente della famiglia

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La criminologa Bruzzone, consulente della famiglia Mastropietro

 

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