di Gianluca Ginella
Sedici mesi fa Macerata era uno di quei capoluoghi tranquilli di cui nessuno parla mai e che se ti chiedono in che regione sia viene il dubbio. In quattro giorni era cambiato tutto. La città era diventata una sorta di antro dei mostri: prima l’omicidio di Pamela Mastropietro, uccisa e fatta a pezzi il 30 gennaio 2018 (ma il delitto è stato scoperto solo il giorno seguente), poi il raid razzista di Luca Traini che il 3 febbraio aveva sparato a cinque giovani neri e a una donna nera, ferendoli. Terra di mostri, terra fertile per le elezioni politiche, questo era stata Macerata dopo il 31 gennaio. Traini nel frattempo è stato condannato in primo grado a 12 anni, con rito abbreviato (pende l’appello). Domani invece per l’omicidio di Pamela Mastropietro è attesa la sentenza dei giudici della Corte d’assise di Macerata.
Imputato il nigeriano Innocent Oseghale, 31 anni, come Traini, accusato di omicidio volontario aggravato dalla violenza sessuale, di occultamento, vilipendio e distruzione di cadavere. La procura ha chiesto l’ergastolo e 18 mesi di isolamento diurno per il 31enne nigeriano per l’omicidio aggravato dalla violenza sessuale e 30 anni nel caso la violenza sessuale non fosse riconosciuta. I legali del nigeriano invece, assistito dagli avvocati Umberto Gramenzi e Simone Matraxia, hanno chiesto invece l’assoluzione per i reati di omicidio e violenza sessuale. Nulla hanno invece eccepito su vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere, reati che il nigeriano aveva confessato. Pamela Mastropietro, 18 anni, romana, il 29 febbraio si era allontanata dalla comunità Pars di Corridonia. Il giorno successivo era a Macerata dove ai Giardini Diaz ha incontrato Oseghale al quale aveva chiesto se avesse eroina.
Il nigeriano l’aveva messa in contatto con il connazionale Desmond Lucky che poi aveva ceduto una dose di eroina alla 18enne. Droga che la ragazza aveva assunto a casa di Oseghale, in via Spalato 124. In quella casa, dice l’accusa, il nigeriano l’aveva uccisa dopo aver avuto con lei un rapporto sessuale approfittando dello stato in cui la giovane si trovava in seguito all’assunzione della droga. Per l’accusa la giovane è stata uccisa perché voleva andarsene dalla casa di via Spalato e aveva minacciato di denunciare il nigeriano che a quel punto l’avrebbe ferita con due coltellate inferte a distanza di qualche minuto. Domani è attesa la sentenza ma prima ci sarà spazio per le repliche di accusa, parti civili (l’avvocato Marco Valerio Verni, zio di Pamela, che assiste la madre della 18enne, Alessandra Verni e il padre, Stefano Mastropietro, l’avvocato Andrea Marchiori, che assiste il proprietario della casa di via Spalato 124, e il legale Carlo Buongarzone, legale del comune di Macerata) e difesa. Dovessero protrarsi troppo a lungo, il presidente della Corte d’assise, Roberto Evangelisti, potrebbe decidere di rinviare di una settimana l’udienza. Comunque andrà domani il capoluogo tornerà al centro delle cronache con tante testate che hanno chiesto di poter fare le riprese in aula per l’udienza finale. Richieste respinte dal giudice Evangelisti.
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L’incipit dell’articolo, “Sedici mesi fa Macerata”, che ricorda il manzoniano “Quel ramo del lago di Como”, è poetico ma l’asserzione fatta è da verificare leggendo anche le cronache di quell’epoca, così lontana ma anche così vicina.
Che sarà: https://www.youtube.com/watch?reload=9&v=2ncH3sfkF00