Il taxista camerunense esce di corsa dal tribunale di Macerata (foto Fabio Falcioni)
«Sono andato a vedere cosa c’era nelle valigie perché le aveva messe sulla strada, pensavo ci fossero dei vestiti e pensavo che dovevano essere buttati all’isola ecologica». Così il camerunense Patrick Blaise Noutong Tchomchoue, il taxista abusivo che accompagnò Innocent Oseghale a gettare i trolley con dentro il corpo fatto a pezzi di Pamela Mastropietro nella notte tra il 30 e il 31 gennaio dell’anno scorso. Il taxista è uno dei testimoni sentiti oggi nel corso della seconda udienza al processo di Corte d’assise a Macerata per l’omicidio di Pamela Mastropietro. Ha detto che Oseghale nel corso del tragitto verso Casette Verdini ha parlato due volte al telefono. Prima con la compagna, poi con un’altra persona. A Casette Verdini «ha appoggiato le valigie, non le ha gettate». Dopo aver accompagnato Oseghale a Macerata il taxista è ritornato a vedere cosa ci fosse nelle valigie. «Ho preso della carta per non lasciare impronte, ho aperto una valigia e c’era della carne. Nella seconda ho visto la mano e ho avuto paura». A quel punto è tornato a casa, «ho parlato con mia moglie, lei mi ha detto che era tardi e che a denunciare potevo andare il giorno dopo. Non sono andato di prima mattina perché avevo un impegno a Roma. Sono andato a denunciare in questura in tarda mattinata».
(Gian. Gin.)
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E’ consuetudine comune quando si buttano vestiti all’isola ecologica cercare di non lasciare impronte…
Per Pavoni. Se avesse detto di aver usato un pezzo di carta per evitare di toccare con le mani un oggetto che poteva essere sporco sarebbe stato credibile.
Aspettiamo a sporgere denuncia, tanto ha visto solo della carne ed una mano. Mi chiedo se una persona “normale” sarebbe riuscita a dormire e addirittura il giorno dopo ad avere altri impegni (quali?). Credo che di gentaglia “colorata” ce ne sia troppa, tutti cercano di crearsi un alibi. Oltre che scavare nella vita privata della povera Pamela, non sarà il caso di indagare in quella di questi loschi individui?
Per Bellesi. Il punto non è ‘scavare’ nella vita di una persona anziché di un’altra. Il punto è se gli esiti dettagliati dell’indagine devono essere dati in pasto alla gente oppure essere riservati all’autorità giudicante. Non è differenza da poco. Ogni volta che al telefono parliamo con l’operatore di questo o quel fornitore veniamo ammorbati dalla frase “La telefonata può essere registrata” oppure “I suoi dati saranno trattati ai sensi della legge tal dei tali”. Invece nelle vicende di cui si parla tutti vengono a sapere i dettagli intimi di chiunque, senza alcuna protezione dei dati. Ma sono scomparsi i processi a porte chiuse?
Per Iacobini, a differenza sua, per il sottoscritto, il punto è che, queste notizie, che non sono semplici dettagli, o tentate vendite, una volta appurate dagli inquirenti e, giustamente, presentate in un processo, debbono essere messe a conoscenza di tutti, perché, in una vera democrazia, si dovrebbe sempre avere il diritto di sapere come stanno veramente le cose, e di conseguenza, poterci formare un’idea precisa dello svolgimento, perché no anche dell’iter giudiziario, per poi regolarci quando dovremo esprimere le nostre volontà recandoci alle urne per il voto.