Processo Oseghale, la difesa:
«Il puzzle dell’accusa non regge
e il supertestimone è inattendibile»

OMICIDIO PAMELA - In Corte d'assise è il giorno dell'arringa dei legali del nigeriano, imputato per l'assassinio della 18enne romana. Simone Matraxia e Umberto Gramenzi hanno parlato di un «quadro probatorio che desta incertezza. Il clamore intorno a questa vicenda - hanno aggiunto - ha influenzato la ricerca frenetica di un colpevole. E nel processo sono entrate persone in cerca di protagonismo». Hanno chiesto l'assoluzione dai reati di omicidio e violenza sessuale e hanno ribadito che da quanto emerso anche durante le udienze non si può dire che l'overdose non ci sia stata

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L’arrivo di Oseghale in tribunale

 

di Gianluca Ginella (foto Fabio Falcioni)

«Un puzzle d’accusa i cui elementi non si incastrano». I dubbi e le certezze della difesa al processo per l’omicidio di Pamela Mastropietro. Sono stati avanzati nelle oltre sei ore delle arringhe degli avvocati Umberto Gramenzi e Simone Matraxia, legali di Innocent Oseghale, accusato davanti alla Corte d’assise di Macerata di aver ucciso la 18enne il 30 gennaio del 2018. Al termine dell’udienza i legali hanno chiesto in via principale l’assoluzione del nigeriano dalle accuse di omicidio volontario e di violenza sessuale e in subordine la derubricazione dell’omicidio in morte come conseguenza di altro reato. Nessuna questione sui reati di vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere (ma hanno chiesto che l’occultamento sia assorbito dalla distruzione di cadavere). Un «processo ondivago, incerto – ha detto Matraxia, che ha parlato per primo oggi, sottolineando l’assenza di elementi per dire sia stato un omicidio – Le ferite al fegato sono da scindere con la tesi del delitto e non c’è alcuna violenza sessuale».

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Gli avvocati di Oseghale, Umberto Gramenzi e Simone Matraxia

Il legale ha parlato di un quadro di accusa fatto «di improvvise accelerazioni, frenate e retromarce. Un quadro probatorio che desta incertezza – ha aggiunto -. Il clamore mediatico intorno a questa vicenda, dovuto ad una morte assurda, drammatica e incomprensibile di una giovane ragazza e ai soggetti coinvolti e alla strage di Luca Traini, hanno avuto un peso sulle indagini. Le hanno influenzate con la ricerca frenetica di un colpevole e nel processo sono entrate persone in cerca di protagonismo».  Il legale ha fatto una premessa alla sua discussione, esprimendo la propria stima «al lavoro di questa Corte d’assise e dei magistrati dell’accusa, ma chiarisco subito – ha continuato – che non sono d’accordo su nulla di quanto sostenuto dal procuratore Giovanni Giorgio, sono d’accordo in parte sulla pregevole requisitoria del pm Stefania Ciccioli». Secondo l’avvocato si è trattato di una «forsennata ricerca dei colpevoli» che ha portato «a indagare anche persone per le quali poi è stata chiesta l’archiviazione. In questa ottica si è cercato il movente, poi via via scemato». Una ricerca del colpevole che ha fatto sì che «nel processo si catapultassero persone come Vincenzo Marino (ex collaboratore di giustizia che dice di aver incontrato Oseghale in carcere e che questi gli avrebbe confessato il delitto, ndr), il quale non è insensibile a mitomania e protagonismo. L’attenzione mediatica ha spezzato per lui il grigiore del carcere – ha sottolineato Matraxia – e gli ha aperto un barlume di speranza per ripristinare benefici penitenziari. È stato dato rilievo a questi soggetti come portatori di verità». Ha citato poi il processo Meredith «anche lì c’era un portatore di verità e lo stesso al processo Bossetti. I giudici nelle sentenze non dedicarono loro nemmeno una riga». Ha parlato di un puzzle «fatto di 4 immagini: cessione stupefacente a Pamela, acquisto della siringa, ingresso nell’abitazione di Oseghale, rinvenimento dei resti umani. Un puzzle – ha spiegato – che si dovrebbe incastrare senza alcun tipo di problema e che invece nella realtà fa fatica a incastrarsi. La difficoltà sta nella presunzione di ricostruire la vicenda passo dopo passo, cosa che invece è impossibile fare». Sulla violenza sessuale ha detto che «tra Gip e Tribunale della libertà 3 giudici su 4 hanno respinto l’ipotesi accusatoria». Il legale ha anche evidenziato che «in seno alla stessa procura c’è divergenza netta sulla modalità in cui sarebbe avvenuta la violenza sessuale. La procura comunque ha chiesto la condanna perché la ragazza avrebbe avuto il rapporto sessuale in una situazione di inferiorità psichica legata all’assunzione di droga. Non c’è automatismo tra stato di inferiorità e l’assenza di consenso ad avere un rapporto sessuale. Per noi manca la prova inoltre che il consenso alla violenza sessuale sia stato viziato. Il rapporto sessuale c’è stato ed è stato ai Giardini Diaz».

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I genitori di Pamela: Stefano Mastropietro e Alessandra Verni

Il legale ha continuato parlando di «illogicità di fondo per l’accusa di omicidio e assenza di elementi. Ma bisogna per forza trovare una logicità a quanto accaduto, parlando di violenza sessuale? – ha chiesto – Ma cosa c’è di logico in questa vicenda? Ho apprezzato la discussione della dottoressa Ciccioli perché si è basata su dati scientifici. Accetto qualsiasi verdetto ma su dati scientifici, non sulle dichiarazioni di Vincenzo Marino o di Lucky Awelima o Desmond Lucky (gli altri due nigeriani che erano stati indagati e per i quali è stata chiesta l’archiviazione, ndr)». Il legale ha poi affrontato il cuore del processo: le ferite al fegato. «Le lesioni hanno tutte la profondità di un centimetro circa – ha sottolineato – Il medico legale Bacci (consulente della difesa, ndr) dice nella sua perizia che gli appare strano che abbiano tutte la stessa profondità e che sembrano più compatibili con ferite da taglio (quindi fatte nelle operazioni per fare a pezzi il corpo, ndr) che da punta e taglio. Dice poi il medico legale Mariano Cingolani – ha proseguito l’avvocato – che Pamela è morta nel giro di 20 minuti a causa delle ferite che hanno lesionato due arterie intercostali.  Ma non viene fornita nessuna documentazione delle ferite alle arterie. Non c’è una constatazione de visu da parte di Cingolani. Bacci dice invece che non è possibile siano state lese le arterie, perché per la posizione in cui stanno non potevano le coltellate non causare lesioni intercostali, che però non sono state trovate. Cingolani poi dice che le coltellate sono state inferte senza una energia di scorrimento particolarmente rilevante». Matraxia è poi passato sul piano più tecnico parlando dei granulociti neutrofili, termini diventati comuni nel corso del processo perché la presenza di queste cellule indica se una ferita è stata inferta da vivi o dopo la morte. Per Bacci si tratta di altre cellule che indicano come le due ferite al fegato non siano state inferte mentre Pamela era in vita. «La tesi di vitalità delle ferite è stata smontata – ha concluso Matraxia – Al massimo è una prova indiziaria la consulenza di Cingolani e Froldi. La causa della morte non è certa e la causale del reato non sta in piedi, tenendo conto che le coltellate sono state inferte senza energia di scorrimento rilevante, che nessuno ha sentito in pieno giorno urla o litigi, che lo stesso procuratore si è determinato per la richiesta di una ulteriore perizia: allora, è remota la possibilità che la ragazza sia davvero morta assumendo sostanza stupefacente? E che di pari passo sia morta per la lesione delle arterie parietali come detto da Cingolani».

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Marco Valerio Verni, Alessandra Verni e Stefano Mastropietro

Umberto Gramenzi si è concentrato invece in primis sulla testimonianza di Marino, avanzando molti dubbi sulla sua credibilità e citando sentenze in cui si parla di lui. «Marino ha riferito notizie circolate in carcere, ha carpito atti giudiziari e costruito la sua storia così – ha evidenziato Gramenzi – Ma chi è Marino? È un ex collaboratore di giustizia, espulso dal programma di protezione e a questo vuole essere riammesso». L’avvocato ha citato una serie di sentenze. In una di queste la Cassazione scrive: “Il collaboratore Marino, malavitoso calabrese, oltre ad essere poco credibile ha accusato un’altra persona (risultata estranea ai fatti, ndr) per notizie apprese in carcere”. E in un altro processo i giudici in sentenza scrivono: “la giustificazione offerta da Marino non era veritiera, ha l’intento di usufruire di benefici penitenziari”. «Marino serve all’accusa – ha detto ancora Gramenzi – per contestare la violenza sessuale. Ipotesi che al processo è caduta». Gramenzi ha specificato che in carcere ad Ascoli gli incontri tra l’ex pentito e Oseghale, anche ci fossero stati, potevano essere di 5 minuti, dieci minuti al massimo «figurarsi – ha aggiunto – se c’era il tempo per raccontare tutta la storia, tutti i particolari che è venuto a raccontare al processo. In pratica le guardie non avrebbero mai controllato. Giudici, non credete alle favole, anche da una cella all’altra in carcere non si può parlare. C’è un muro che divide le celle, non delle sbarre. Marino non può essere il regista di questa storia. Analizzate le riprese delle telecamere in carcere – ha detto rivolgendosi ai giudici – e darete una mazzata alla sua ricostruzione di Marino, quei colloqui non ci sono mai stati. Marino ha detto che Oseghale aveva pulito il corpo di Pamela con la varechina per nascondere le tracce per non far capire se era stata uccisa con delle coltellate o fosse morta per overdose. Ma poteva Oseghale in quei momenti pensare che sarebbe stato scoperto, arrestato, finito sotto processo e che proprio la morte per overdose o per le coltellate fosse stata al centro del dibattimento? La versione di Marino è fantagiuridica». Secondo l’avvocato quindi «è più credibile la versione di Oseghale. Con la ragazza ha consumato un rapporto ai Giardini Diaz, ma non orale, cosa che riferisce solo l’inattendibile Vincenzo Marino. A casa – ha continuato l’avvocato – la ragazza ha assunto droga e a quel punto è probabilissimo si sia sentita male, sia caduta a terra e abbia sbattuto la testa. Lui verso le 14 è uscito di casa per poi tornare. La ragazza era ancora priva di sensi. Ha aspettato e visto che non si riprendeva verso le 17 ha chiamato tre volte l’amico Anthony perché non sapeva cosa fare. A quel punto, o la ragazza è morta per l’overdose, o stava morendo e lui credendola morta ha iniziato l’operazione sul corpo. È più probabile questo che la versione di Marino. La ragazza non voleva andare via, aveva anche trovato una casa di una persona che poteva procurarle lo stupefacente. Che volesse andare via è una invenzione giuridica». Il secondo punto affrontato dal legale è quello dell’overdose. «Non si può escludere ci sia stata. Nella perizia dei consulenti della procura è stato detto che il percorso metabolico era già avviato in fase avanzata, ma metabolizzare non significa neutralizzare. La droga era ancora nel sangue, non aveva esaurito nulla, non aveva esaurito la sua azione tossica. Il valore sul fegato è stato calcolato male, cerebro compatibile, resta umor vitreo ma la procedura seguita per l’analisi non è riconosciuta dalla comunità scientifica» ha detto Gramenzi. Che in conclusione ha chiesto «in via principale l’assoluzione dal reato di omicidio e da quello di violenza sessuale. In subordine la derubricazione del reato di omicidio in quello di morte come conseguenza di altro reato. E per i reati di vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere di condannare Oseghale tenendo conto che il reato di occultamento è assorbito, a parere della difesa, in quello di distruzione di cadavere. Il procuratore Giorgio, su Marino, ha detto che la prossima udienza «voglio produrre sentenze in cui Marino è stato ritenuto attendibile». Il processo è stato poi rinviato al 29 maggio, giorno in cui è attesa la sentenza.



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