L’infettivologa richiamata in corsia,
Paula Castelli si rimette il camice:
«Non ho saputo dire di no»

MACERATA - Da poco tempo era andata in pensione, ora torna in prima linea nella squadra dell'Area Vasta3: «Seguite le regole e le indicazioni degli esperti. Terrore no, timore e attenzione sì»

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La dottoressa Paula Castelli

 

di Luca Patrassi

Paula Castelli è una dottoressa infettivologa di lungo corso. Da poco tempo era andata in pensione, ora torna impegnata nella squadra messa in campo dal direttore dell’Av3 dell’Asur Alessandro Maccioni per rispondere all’emergenza (leggi l’articolo).

Quali sono le motivazioni che l’hanno spinta ad accettare l’invito a tornare in corsia per quella che è un’emergenza epocale?

«Da quando è iniziata l’epidemia in Italia ho pensato che mi potessero richiamare, poi ho avuto un invito a recarmi in qualche ospedale del Nord, dove l’emergenza era particolarmente acuta, mentre stavo valutando l’ipotesi mi hanno chiamato dalla mia vecchia sede di lavoro e non ho saputo dire di no. La coscienza, il senso di responsabilità, mi hanno spinto ad accettare. Mi è sempre rimasto il desiderio di mettere a disposizione dei pazienti le mie competenze, dopo la pensione ho avuto esperienze in tal senso in Africa o altrove, mi è sembrato naturale aiutare in questo momento di difficoltà a casa nostra».

ICAR-Roma-2018-7-325x266Lei è una infettivologa di grande esperienza e professionalità, al suo fianco avrà anche specializzandi sicuramente molto motivati. Pensa sia un mix vincente l’abbinamento di professionisti di grande esperienza e giovani al debutto?

«Sì, è quello che avviene sempre, ciascuno di noi ha avuto qualcuno più esperto che l’ ha condotto attraverso i primi passi della professione. Il giovane trova il sapere che viene dalla pratica clinica che a lui manca; il professionista più anziano apprezza l’entusiasmo, la freschezza di studi dell’altro e trova piacere nel trasmettere qualcosa dal suo bagaglio personale».

Mai come in questo momento l’opinione pubblica percepisce il ruolo positivo svolto dalla sanità pubblica e l’impegno degli operatori sanitari nel mettersi in gioco per aiutare chi è in difficoltà. Sarà una consapevolezza che resterà anche per il futuro o, scampato il pericolo, si tornerà a fare gli stessi errori di prima?

« Purtroppo, non credo che passato il drammatico momento che stiamo vivendo si farà tesoro di quanto abbiamo vissuto, in genere non avviene quasi mai. Si fa sempre presto a dimenticare e ogni volta sembra che il mondo riparta dall’anno zero».

Sao-Tomé-Ambulatorio-nave-Elpis-4-220x400La sua lunga esperienza cosa la spinge a dire a quanti in questi giorni vivono nel terrore di un possibile contagio? E’ solo una questione di tempo? Di rispetto assoluto delle regole di comportamento individuale, di fiducia nella ricerca?

«Non serve farsi prendere dal panico, non ci aiuta. Sì, è solo questione di rispetto delle regole di comportamento: restare in casa, lavarsi spesso le mani, evitare i contatti, tenere le distanze. E’ necessario per tutelare la nostra salute e per permettere al servizio sanitario, riducendo il numero dei contagi, di fronteggiare l’impatto dell’epidemia. Terrore no, timore e attenzione sì».

L’appello che si sente di fare?

«Fate tutti quello che viene detto dagli esperti, dalle organizzazioni sanitarie, non dal vicino di casa o dalla vostra testa. Vedo persone che continuano a comportarsi in modo avventato e altre che usano in maniera inappropriata mezzi di protezione che sono vitali per gli operatori sanitari e che rischiano di non essere disponibili per loro. Fare più del necessario non è meglio, indossare le mascherine per strada non serve. Meglio stare a casa che andare in farmacia per cercarle».

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