di Gianluca Ginella
«Il rapporto tra Arianna ed Enea, sembra quello di una dipendenza. Una personalità vulnerabile, quella di Enea, che dipende da una più strutturata, quella della madre» è l’analisi che fa la criminologa e psicoterapeuta Margherita Carlini sul caso dell’omicidio di Rosina Carsetti. Ieri sono stati arrestati, con l’accusa di aver ucciso Rosina Carsetti, Arianna Orazi e Enea Simonetti, figlia e nipote della 78enne uccisa a Montecassiano. Secondo la procura la madre ha ordito il piano di uccidere Rosy, e il figlio ha poi ucciso la nonna, strangolandola in cucina. Questa è la tesi dell’accusa che parla di un omicidio premeditato. «Mi viene da pensare al legame tra madre e figlio. Faccio un esempio: se cresci un figlio sulla base di un legame di lealtà, del tipo “se non fai questo non sei bravo”, il figlio si struttura così, cioè vuole rispondere alle aspettative del genitore. Nel diventare adulto questo diventa un automatismo: non ci si sente bravi, realizzati, se non si compiacciono le aspettative del genitore» spiega la criminologa.
Un altro dettaglio su cui si sofferma è quello della premeditazione del delitto, che per la procura è iniziata almeno dal 16 dicembre.
«La cosa viene portata avanti quasi 15 giorni, e Enea non ha avuto nemmeno lo spazio di dire: cosa stiamo facendo?». Secondo Carlini potrebbe essere proprio Enea la chiave per arrivare ad una confessione: «Il figlio è la parte più vulnerabile della coppia. Lui fin da subito, messo sotto pressione, la stessa notte ha reso una confessione. Già questa cosa a livello di personalità fa capire che questo ragazzo, appena attenzionato, crolla in una confessione. E’ chiaro che nelle dinamiche di questa coppia c’è una personalità che è quella più strutturata, più salda che è la madre e per ottenere confessioni quello che dovrebbe essere più attenzionato e proprio lui, Enea». Enea la notte del 24 dicembre aveva detto che non c’era stata nessuna rapina, che era stata una messinscena fatta dal nonno e dalla madre per coprire un incidente mortale causato dalla madre.
Confessione che poi aveva ritrattato subito, dopo che la madre lo aveva redarguito. Una cosa che ha colpito molti è stato l’atteggiamento di Arianna, Enea ed Enrico che non hanno mai speso parole di dolore per Rosina, secondo la psicoterapeuta: «Questo perché erano entrati in una dinamica d’odio verso questa donna. Quello che dicono, la descrizione che ne fanno, è sinonimo di veridicità di quello che Rosina raccontava alle amiche.
Il loro comportamento denota che tutto questo rapporto in famiglia non c’era». La criminologa continua: «Mi ha sorpreso una intervista (sulla trasmissione Quarto Grado, ndr) di madre e figlio che parlano di un intervento dei carabinieri chiamati da Rosina. Ne parlano con un atteggiamento di minimizzazione, che è tipico. Ma poi la madre dice: “addirittura i carabinieri prima di andare via hanno voluto a tutti i costi vedere come stava Enea, erano preoccupati di come stava Enea”. Dà contezza di quella che è la loro lettura: non sono arrivati a capire che ai carabinieri interessava vedere Enea per capire se era fuori controllo» continua la criminologa. Nel corso della sua carriera si occupata di tanti casi di maltrattamenti e violenze (lavora al Centro antiviolenza di Ancona).
E trova che nella vicenda di Rosina «ci sono degli sono elementi caratterizzanti della dinamica dei maltrattamenti: la minimizzazione, il registrare le telefonate per avere il controllo, la volontà di far passare una persona come pazza, lo screditare quello che dice, che non è vero che subisce maltrattamenti (i famigliari di Rosina hanno sempre negato che l’anziana avesse i problemi di cui parlava con le amiche, lamentando dispetti, dicendo di avere paura, ndr)». Arianna e Enrico parlavano di lei come di una persona che si lamentava sempre, il marito ha detto che era una donna particolare e ha riferito che chiedeva sempre denaro. Il procuratore Giovanni Giorgio ha fatto ieri riferimento proprio a una discussione tra i tre indagati e Rosina in cui le avrebbero detto che lei costava alla famiglia 5mila euro l’anno. C’è poi il tentativo di contattare il centro antiviolenza «quello potrebbe aver accelerato l’omicidio – continua la criminologa – Purtroppo molte donne commettono l’errore di credere che chiamare il centro antiviolenza le metta al sicuro, che uscire allo scoperto, raccontare ciò che stanno vivendo, sia sufficiente per farle sentire sicure. Ma i centri antiviolenza non possono sostituirsi alle forze dell’ordine».
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