Al centro Enea Simonetti. Da sinistra, in senso orario: la conferenza stampa di procura e carabinieri, Arianna Orazi, Rosina Carsetti e Enrico Orazi
di Gianluca Ginella
«Non daranno la colpa a uno che pesa 70 chili, né a me. Quindi non dire a nessuno cosa hai fatto», «Non parlare di incidente, uno strozzamento non verrà mai considerato tale», «vieni a casa, ho iniziato a studiare il piano», «ho commesso tre errori». Parole, quelle di Arianna Orazi, dette al figlio, intercettate (o recuperate da una chat Instagram, nel caso del “piano”) dai carabinieri del comando provinciale di Macerata, nel corso di 50 giorni di indagini. Altre parole, quelle di Enea Simonetti, che aveva parlato di una «messa in scena» e di un rapinatore che non esisteva, e che poi aveva ritrattato. E quella richiesta di perdono che Enrico Orazi aveva fatto a Dio «mi sono limitato a fare quello che mi è stato chiesto». L’indagine sull’omicidio di Rosina Carsetti (che oggi ha portato agli arresti di due dei tre indagati, la figlia della vittima, Arianna Orazi, e il nipote Enea) si è basata tanto sulle parole. Ma non solo su quelle dette, i primi sospetti agli investigatori sono probabilmente venuti da parole che mancavano: quelle di dolore dei familiari indagati per Rosina. Ed era strano fosse così.
IL PRINCIPIO DELL’INDAGINE – Il colonnello Nicola Candido, comandante provinciale dei carabinieri è partito dall’inizio per raccontare l’inchiesta sul delitto. Da quella telefonata che alle 19,47 del 24 dicembre arriva al centralino dei carabinieri. È Arianna al telefono e chiede aiuto, dice che crede la madre sia stata uccisa. Il colonnello ha spiegato che «sin nell’immediatezza ci sono stati fatti che ci hanno fatto riflettere e che abbiamo approfondito con un primo sopralluogo accurato e circostanziato. Pian piano a partire da quella sera si sono sviluppati una serie di accertamenti. Il resoconto ci ha confermato i dubbi, le versioni non erano coincidenti, anche dal nipote della vittima che il 24 dicembre, in pieno lockdown, ci ha raccontato di essere andato a fare una passeggiata a Macerata, motivandolo con la necessità di visionare alcuni immobili ci ha portato ad aumentare le perplessità. Man mano abbiamo iniziato ad approfondire tutti gli aspetti e i racconti delle persone coinvolte, in alcuni casi lacunosi, in altri contraddittori. Quello che mi ha colpito, sia me che tutti gli investigatori, è il fatto che dai familiari indagati non fosse spesa nessuna parola per la vittima, c’era un resoconto dei fatti che non teneva in nessuna considerazione che un congiunto stretto era deceduto. Era più una ricerca di fornire chiarimenti verso quanto accaduto».
LA CONFESSIONE DI ENEA – Enea era stato il secondo, dopo il nonno, ad essere portato in caserma dai carabinieri per essere sentito nella notte del 24 dicembre. In caserma ad un certo punto aveva iniziato a confessare (in seguito si è avvalso della facoltà di non rispondere). «Ha detto che non vi era stata nessuna rapina e che aveva aderito ad una messa in scena posta in essere dal nonno e dalla madre per un incidente mortale causato dalla madre. Ha detto di aver partecipato per amore del nonno e della madre e si era dichiarato estraneo all’omicidio – ha detto il procuratore Giovanni Giorgio che ha coordinato le indagini insieme al sostituto Vincenzo Carusi -. Successivamente abbiamo accertato che Arianna Orazi, una volta appresa la versione del figlio, lo ha redarguito dicendo che non poteva essere un incidente perché uno strozzamento (ha detto in dialetto alternato all’italiano) non poteva mai essere considerato un incidente. Al momento nessuno sapeva che la donna era morta per strozzamento». Arianna inoltre «in una intercettazione dice al figlio di dire sempre e solo, fino alla morte, la versione che hanno concordato».
IL PESO – Un’altra cosa ha detto Arianna, sempre ascoltata dai carabinieri nel corso delle intercettazioni. «Nel discorso fatto al figlio ha detto che l’uccisione della Carsetti non sarebbe mai stata attribuita ad una persona che pesa 70 chili, che è il peso di Enrico Orazi, né tantomeno a lei – ha detto Giorgio -. Consigliava al figlio di non dire a nessuno quello che aveva fatto. Dicendo che alla fine gli investigatori avrebbero attributo la responsabilità al nonno, valutato come l’anello debole della vicenda». E non a caso gli inquirenti nelle scorse settimane avevano chiesto agli indagati di farsi pesare, un accertamento mirato per meglio comprendere quella frase che era stata sentita.
IL CAOS – Enea con la madre in un’altra intercettazione «si è vantato del “macello” che aveva fatto in soffitta – ha detto il procuratore -. Ed effettivamente la mansarda è stata messa sottosopra. Il ragazzo aveva sottolineato alla madre di aver dato due schiaffi in faccia al nonno, uno particolarmente violento (riscontrato dal 118 nella relazione dell’intervento del 24 dicembre nella villetta di Montecassiano, ndr). Schiaffi che secondo noi aveva dato al nonno come parte della messa in scena».
IL DELITTO RAPPOSELLI – «Quello che abbiamo accertato nelle indagini è che Arianna Orazi aveva cercato di acquisire il maggior numero possibile di informazioni sul delitto della pittrice Rapposelli (uccisa dal figlio e dal marito, ndr), pure lei strozzata. Questo dato (che la signora dice aver fatto per curiosità) per noi è rientrato nel piano criminoso che è stato realizzato nel tempo» ha spiegato il procuratore. Non è stato possibile per gli inquirenti ricostruire il periodo in cui venne fatta la ricerca, «ma comunque era avvenuta prima del 24 dicembre» ha puntualizzato Giorgio.
LA PORTA FINESTRA – Altra intercettazione riguarda i segni trovati in cucina, «Enea ha detto alla mamma che la porta finestra era danneggiata da tempo – ha riferito il procuratore -. Il personale che ha analizzato l’infisso ha escluso che vi sia stata forzatura. Noi abbiamo fatto tutti gli accertamenti e non abbiamo scartato a priori la tesi del ladro mascherato, la vita insegna che anche le cose inverosimili possono accadere una volta su mille».
GLI ERRORI DI ARIANNA – «Arianna Orazi dice al figlio di aver fatto due errori. Il primo di non avere addormentato i cani. Sin da subito infatti ci siamo chiesti come poteva il rapinatore entrare in una villetta all’esterno c’erano due cani piuttosto grossi e che abbaiavano con continuità, secondo i vicini. Il secondo errore sta invece nel fatto che al figlio non avesse detto di trattenersi fuori dall’abitazione per un lasso di tempo apprezzabile dopo essere tornato dal supermercato dove era andato alle 17,50 circa per poi trattenersi nel piazzale, dicendo che aveva giocato al telefono. La signora aveva considerato un dato poi emerso dagli accertamenti del nostro consulente Luca Russo. Tra il momento del rientro a casa di Enea e la chiamata ai carabinieri (19,47) erano passati non più di sei minuti. Un tempo che ci è apparso eccessivamente ristretto per tutte le azioni che hanno detto di aver fatto». Ossia, scoprire madre e nonno legati, liberare prima una e poi l’altro (chiuso nel bagno del piano seminterrato) e infine tornare al piano superiore (dove invece dicevano era stata legata Arianna) dove avevano trovato il corpo di Rosina. «In quel tempo riteniamo non possano aver fatto tutte quelle azioni». Il terzo errore: «Arianna in un altro momento ha evidenziato un altro suo errore: di non avere messo in tasca i soldi che i carabinieri hanno poi trovato nella sua borsa nell’auto (circa duemila euro, ndr). Evidentemente aveva ritenuto che i carabinieri non avrebbero controllato l’auto e i soldi, apparente profitto del rapinatore, li ha spostati dalla casa alla sua borsa lasciata nella vettura. Non sappiamo se in parte siano soldi di Rosina, questo dovrà essere accertato dai Ris».
IL PIANO – Fondamentale il lavoro svolto dal consulente Luca Russo che ha arricchito l’indagine riuscendo a recuperare, nonostante la formattazione dei telefoni da parte di Arianna ed Enea, dati preziosissimi. E uno riguarda il social Instagram. «Il 16 dicembre 2020 c’è una conversazione su Instagram tra Arianna e il figlio Enea – ha detto il procuratore -. Durante il colloquio la signora si compiace del sistema di comunicazione (aveva da poco iniziato a usare il social) e chiede se le conversazioni possono essere cancellate. Il figlio le dice di sì. La signora però non cancella la conversazione, probabilmente per errore, mentre il figlio lo fa. La madre ad un certo punto invita il figlio a raggiungerlo a casa perché dice ha iniziato a studiare il piano. Posto che in casa pianoforti non ce n’erano, e che, grazie agli accertamenti svolti dalla Guardia di finanza, sapevamo che non potevano riferirsi ad un piano finanziario, abbiamo pensato ad un progetto che la signora aveva iniziato a portare avanti. Noi le contestiamo di essere stata la regista di questo piano». Per la procura dalle chiacchierate tra madre e figlio emerge che non si è trattato di un delitto d’impeto ma studiato nel tempo.
IL 24 DICEMBRE – «Tutto quanto emerso dalle indagini manifestava essere una cosa premeditata, almeno a partire dal 16 dicembre. Inoltre la scelta del giorno per compiere il delitto non è stata casuale. Hanno scelto un giorno di lockdown totale, in modo da giustificare la presenza di tutti e tre in casa, perché non era una stranezza che nessuno fosse in negozio perché con il lockdown era chiuso» ha detto Giorgio.
17-17,30 – Questo l’orario indicato dal procuratore come quello del delitto. Due persone erano andate, proprio in quell’orario, a portare un regalo per Rosina. Non c’era il campanello, così avevano urlato da fuori. Ma non avevano ricevuto risposta. Inoltre avevano detto che in casa c’era silenzio. Arianna però aveva detto che avevano i televisori a volume alto (oltre ad aver detto che erano rimasti in casa tutto il pomeriggio). E ancora in quell’orario (poco dopo le 5 chiamate fatte da Rosina tra le 16,48 e le 16,58 alle amiche, ma senza risposta) erano arrivate delle telefonate agli Orazi, ma nessuno aveva risposto. Un black out che secondo la procura è motivato dal fatto che il delitto si stava consumando in quei momenti.
MOVENTE – Sul movente il procuratore ha detto che è legato «ai rapporti che si erano deteriorati tra Rosina e i suoi familiari. La decisione di uccidere in qualche modo è stata, “incentivata” dal fatto che gli indagati avevano saputo che il 29 dicembre Rosina sarebbe andata da un avvocato». Come lo sapevano? «registravano le conversazioni di Rosina, abbiamo acquisito queste telefonate specie con un’amica che a gennaio è poi morta per Covid. Le aveva detto di aver preso appuntamento con l’avvocato. Hanno certamente sentito quello che aveva detto all’amica e pensiamo sia il motivo che ha accelerato l’omicidio». Ma in casa erano state sentita anche discussioni tra gli indagati e Rosina, «in una le dicono che lei gli costava 5mila euro l’anno» ha detto Giorgio. A Rosina «davano 10 euro al giorno», ha spiegato il procuratore, e che per avere qualche soldo aveva venduto degli oggetti. In base a dei testimoni inoltre «c’è chi ha constatato ecchimosi sul corpo di Rosina a seguito di una aggressione subita dalla figlia». Inoltre spiega il procuratore «Rosina aveva espresso al marito la volontà di volersi separare».
INQUINAMENTO INDAGINE – Nel corso delle indagini «abbiamo accertato un tentativo di inquinamento probatorio – ha continuato il procuratore -. Hanno cercato di contattare alcuni testimoni che parlavano di maltrattamenti. Non hanno calcolato che avevamo previsto questa possibilità e creato una rete di sicurezza verso questi testimoni».
IL PERDONO – In una intercettazione il marito di Rosina è stato sentito chiedere perdono a Dio «per quanto aveva fatto e evidenziando di aver fatto solo quanto gli era stato chiesto, ossia di andare nel bagno. Ed era una cosa che dice di aver fatto perché non poteva fare diversamente. Si è adeguato al progetto della figlia e del nipote, progetto architettato da Arianna» ha spiegato Giorgio. Per Enrico Orazi «Abbiamo ritenuto ci fosse un profilo di responsabilità per non avere impedito l’uccisione della moglie. Gli abbiamo contestato questa condotta omissiva e il giudice ha ritenuto che trattandosi di una persona di 79 anni non vi siano esigenze cautelari, tra l’altro noi non avevamo chiesto la custodia in carcere ma una misura più attenuata».
Esigenze che sussistono invece per Arianna ed Enea. Il gip ha disposto la misura cautelare in carcere per il pericolo di fuga (avevano parlato di allontanarsi da Montecassiano), rischio di reiterazione del reato e inquinamento delle indagini.
IL LIBRO – «Di contorno, frutto dell’intuizione del sottotenente Domenico Spinali dei carabinieri del Roni di Macerata, anche un libro trovato nella borsa di Arianna. “La fine del mondo storto”. Nel libro il risvolto di copertina era appuntato sul terzo capitolo, dove si parla di vendetta. C’è una frase dove una madre dice al figlio che la maggior parte delle persone è invidiosa e prova odio verso le poche persone libere. Evidentemente Arianna si sentiva tra queste».
ESTORSIONE – C’è poi anche questo reato, che non è tra quelli che hanno portato
all’ordinanza. In particolare il fascicolo riguarda la cessione della proprietà della quota della villetta di Rosina al nipote Enea.
«E’ una vicenda che la signora ha subito. Le era stata prospettata la possibilità che aderendo alla richiesta avrebbe potuto riavere in uso l’auto. Gliel’hanno ridata per una settimana, poi gliel’hanno tolta di nuovo» dice il procuratore.
Per quanto riguarda le indagini Giorgio ha sottolineato che la procura, insieme ai carabinieri ha seguito uno schema organizzativo che si era già dimostrato positivo in altri omicidi avvenuti in passato. «Il modello organizzativo si è man mano migliorato». Ha sottolineato l’importanza del lavoro svolto dai carabinieri, «quelli di Montecassiano intervenuti nell’immediato, i carabinieri del Roni e del Reparto operativo di Macerata (comandato dal colonnello Massimiliano Mengansini, ndr), che hanno manifestato ancora una volta le loro doti professionali. Alle indagini ha collaborato anche la Guardia di finanza che ha svolto accertamenti patrimoniali che ci hanno consentito di inquadrare meglio la vicenda». Ha sottolineato poi il «diffuso senso civico dei maceratesi, la gente è immediatamente disponibile a dire tutto quello che sa».
Un pò tardi per chiedere perdono , o la si ama o ci si separa !
E dai dai gli inquirenti anno scoperto tutta l organizazione familiare per uccidere la povera rosina...che riposi in pace
Leggendo i particolari resto sempre più ... non so nemmeno come esprimermi.... solo tanto imbarazzo per sta gente.... che schifo!
Crudeltà assoluta
Quanto odio hanno nel sangue. Non si può capire tanto odio, sono povere anime perse nell'odio
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Complimenti di cuore..a tutte le forze dell’ordine che hanno collaborato..in primis il Dottor.Giorgio
Sento l’esigenza di congratularmi dal più profondo del cuore con il procuratore Giorgio, che da quando sta a Macerata è riuscito – in collaborazione con le Forze dell’Ordine – ad assicurare in breve alla Giustizia i colpevoli di diversi casi di cronaca nera. E questo, va detto, in ampia controtendenza nazionale.
Quanto alle conclusioni di questo caso, provo una sensazione di orrore e sgomento: quanto può essere profondo l’abisso del cuore umano?
Certo che se ci fosse stato un pianoforte il “piano” sarebbe venuto difficilmente alla luce. Prevedo un duro lavoro per gli avvocati difensori che prima dovranno provare ai giudici che i tre siano stati veramente capaci di anellare un numero così incredibile di errori per poi cercare di smontare il tutto ed affidarsi alla fine alla clemenza della corte.
Per arrivare a tanto è necessario che un essere umano si trasformi per tempo in mostro.Trovo pure difficile inquadrare fatti del genere nelle previsioni delle leggi umane.
Ma cosa hanno al posto del cuore!…una pompa per cacciare acqua dal pozzo! Complimenti alle forze dell’ordine…avevano capito già da subito e hanno giocato come il gatto col topo facendo scattare alla perfezione tutte le trappole.
Io avrei arrestato pure il Marito…anzi per primo!!…che tanto male gli abbia fatto quella Signora dal viso così dolce?..vergognatevi a vita!!!
Andrea Lattanzi, pienamente d’accordo con te ,lo metterei in galera e se sta male sara’ curato li..Bastardi !!