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di Monia Orazi
«L’assassino è un altro, ero presente ma a uccidere non sono stato io», questo ha detto Giuseppe Farina ai magistrati poco prima dell’interrogatorio di garanzia in carcere. L’esecutore materiale del delitto del commerciante di pesce sambenedettese, trovato cadavere semi-carbonizzato nella Valle dei grilli, secondo la versione di Farina senior sarebbe qualcuno legato da un «rancore personale» alla vittima, con cui Sarchiè ha avuto «un dissidio», risalente a cinque o sei anni prima e di cui Farina ha fatto il nome con i magistrati che erano presenti nel carcere di Camerino giovedì mattina per l’interrogatorio di garanzia i pm Stefania Ciccioli e Claudio Rastrelli. Sarebbe questa persona sin qui sconosciuta che ha sparato al commerciante di pesce nella Valle dei grilli, mentre Giuseppe Farina era intento a fare inversione col furgone, mentre i due, nel patto originale dovevano solo spaventarlo e non ucciderlo, portandolo a Valle dei grilli «per legarlo e imbavagliarlo».
Da sinistra gli avvocati Marco Massei e Mauro Riccioni durante la conferenza stampa di oggi pomeriggio
Dettagli che sono stati resi noti dagli avvocati di Giuseppe Farina, i legali Mauro Riccioni e Marco Massei, che si è tenuta oggi pomeriggio. Nella sommaria ricostruzione fornita in circa un’ora di colloquio nel carcere di Camerino, Farina ha detto di aver pianificato l’agguato, per motivi di rancore derivanti dalla vendita del pesce, una ventina di giorni prima, insieme a colui che poi sarà esecutore materiale del delitto, «soltanto per spaventarlo e mettergli paura, non doveva finire così», affermando che il figlio Salvatore (anche lui indagato per omicidio premeditato) non ha partecipato né all’agguato, né all’omicidio di Sarchiè. Mentre Domenico Torrisi (indagato per favoreggiamento, riciclaggio e ricettazione) non lo avrebbe aiutato a smembrare il furgone del commerciante sambenedettese, né era al corrente dell’omicidio. Nel corso della conferenza stampa, i due legali hanno riferito quanto detto da Giuseppe Farina di fronte ai magistrati. «Voglio dire la verità, ammetto le mie responsabilità, abbiamo fatto una tammurrìa, voglio dire come stanno le cose per tirare fuori da questa storia chi non c’entra nulla», sono queste le parole con cui Giuseppe Farina, indagato per l’omicidio di Pietro Sarchiè, ha iniziato le dichiarazioni spontanee rese ai magistrati, nel carcere di Camerino, l’altro giorno.
«Siamo rimasti basiti e lo abbiamo messo in guardia dalle conseguenze delle sue dichiarazioni – hanno affermato Massei e Riccioni – ora invitiamo la procura ad indirizzare le indagini nei confronti della persona indicata da Farina quale esecutore materiale, se il suo racconto sarà confermato dai riscontri investigativi, si profila un ruolo marginale per il figlio. Le tracce lasciate dall’uomo che ha indicato potrebbero essere riscontrabili tramite il profilo genetico e delle impronte, sui pezzi del furgone». Le perizie tecniche, affidate dalla procura al dottor Di Stefano, devono ancora arrivare, mentre le indagini formalmente possono continuare sino al prossimo luglio. «Non possiamo prenderci la responsabilità di dire chi è l’esecutore materiale indicato da Farina – continuano i legali –, sarà cura della Procura, dopo opportuni riscontri investigativi». «Voglio collaborare» avrebbe detto Farina ai magistrati, dichiarandosi pentito e pronto a pagare per quanto commesso. «Potete venire a casa mia, arare tutti i campi lì intorno e cercare la pistola, ma non la troverete mai, perché io non ce l’ho mai avuta, ce l’ha un altro», avrebbe detto Giuseppe Farina di fronte ai pm, parlando del revolver a tamburo, la P38 indicata dalla procura come l’arma con cui è stato ucciso il sambenedettese.
«Se non mi credete vedete il dna di chi ha toccato i sedili, chi ha sparato a Sarchiè si è macchiato di sangue, pulendosi le mani sui sedili», avrebbe detto ancora Farina nel colloquio in carcere, secondo quanto riferito dagli avvocati. In una serie di passaggi la ricostruzione dei fatti fornita da Farina diverge da quella fatta dalla procura di Macerata, ad iniziare dal luogo dell’agguato, che non sarebbe la chiesetta di Perito, ma poco avanti la prima curva uscendo da Seppio, procedendo in direzione Figareto, ad alcune centinaia di metri dall’abitazione di Farina, in piazza Boccati a Seppio. Lì il quarantunenne sarebbe arrivato a piedi, nella piovosa mattina del 18 giugno scorso. L’esecutore materiale invece si sarebbe fatto accompagnare in auto, da una terza persona che Farina non conosce. L’autista sconosciuto poi se ne sarebbe andato. Farina avrebbe piazzato in mezzo alla strada un tronco, Sarchiè appena arrivato col suo furgone sarebbe sceso dicendo: «Che succede? Cosa fate?», tentando di azionare il microfono con cui chiamava i clienti e di prendere il telefono. Farina nega qualsiasi urto contro il furgone di Sarchiè e la presenza del figlio sul posto. A quel punto nella concitazione si sarebbe passati ad una colluttazione, un colpo avrebbe ferito di striscio Sarchiè ad una spalla conficcandosi nello sportello del furgone. Gli avvocati riferiscono che due testimoni con problemi di udito, non avrebbero sentito nulla, un altro soltanto «due schiocchi di frusta» e un quarto due colpi. Per la Procura sono stati esplosi sei colpi. Due di questi sparati attraverso lo sportello del furgone.
L’esecutore del delitto avrebbe minacciato Sarchiè già ferito e si sarebbe richiuso insieme a lui nella cella frigorifera, alla guida Giuseppe Farina è poi partito per la Valle dei grilli. Tra lui ed il figlio Salvatore ci sono state diverse telefonate in quelle ore, il ragazzo secondo quanto detto dal padre, sarebbe andato a Taccoli di San Severino, per acquistare alcune casse di pesce surgelato da vendere più tardi a Castelraimondo, con la sua Lancia Y, perché il pesce surgelato non aveva problemi di gocciolamento. Il padre gli avrebbe telefonato dicendogli «Vieni è successo un casino, non ti posso spiegare». L’incontro tra il padre, alla guida del furgone di Sarchiè e Salvatore è avvenuto, secondo la ricostruzione di Farina, sullo spiazzo antistante il bivio per la Valle dei grilli, poco lontano dal passaggio a livello. Il padre ha spiegato al figlio cosa è successo. «Cosa avete fatto?» avrebbe urlato Salvatore vedendo il sangue, tornando poi alla sua auto, da dove udirà distintamente i colpi che porranno fine alla vita di Sarchiè. Farina senior, dopo l’incontro con il figlio, ha continuato a guidare sino a poco prima della chiesetta sconsacrata, si è fermato. Poi da dietro sono scesi l’esecutore materiale del delitto, che minacciava Sarchiè con la pistola.
Farina, giunti a Valle dei grilli avrebbe detto all’altro «Leghiamolo qui, lasciamolo da qualche parte», poi è risalito sul furgone e mentre faceva inversione per tornare indietro, ha visto che l’esecutore, dopo aver fatto qualche decina di metri, ha esploso 4 o 5 colpi di pistola, di cui quello di grazia alla nuca. Il corpo del commerciante di pesce è poi caduto tra l’erba alta. Secondo la procura di Macerata, Sarchiè sarebbe stato ammazzato all’interno del furgone, questo in base al materiale raccolto e alle indagini tecniche. Che il delitto si sia consumato a Valle dei grilli è invece un aspetto vagliato sin da subito dagli inquirenti che però non avevano trovato nulla che potesse indicare fosse quello il luogo del delitto. Una volta che Sarchiè è stato ucciso, tornando alla versione di Farina, lui avrebbe gridato all’altro: «Cosa hai fatto. Lo hai ammazzato». «Ci ha visto in faccia, cosa dovevo fare?», si sarebbe giustificato l’altro, risalendo dentro la cella frigorifera. I due erano poi ripartiti verso il capannone di Santo Seminara (indagato per favoreggiamento), a Castelraimondo. Lì i due complici lo avrebbero smembrato, pezzo per pezzo. Fin qui la ricostruzione riferita dagli avvocati di Farina, che dovrà essere supportata dalle indagini. Alcune parti sono state date a due carrozzieri, che Farina ha negato di aver minacciato. Ha detto anche di non sapere chi abbia bruciato il cadavere di Sarchiè e che qualche giorno dopo il delitto, lui e l’esecutore materiale sarebbero tornati nella Valle dei grilli, per buttare sopra al corpo del materiale edile. Attribuito da Farina padre, a diversi mesi prima del delitto, il cambio degli interni e del colore dell’auto di Salvatore Farina, mentre il telefono di Sarchiè sarebbe stato gettato via e la scheda distrutta, sempre dal fantomatico killer.
«Giuseppe Farina non ce la faceva a parlare, sono quattro giorni che non mangia ha perso otto chili, ha detto “non ce la faccio più, vuoto il sacco e mi assumo le mie responsabilità, però il bambino (il figlio Salvatore, ndr) non c’ha da fare niente”» ha detto Riccioni. «Da ieri padre e figlio si trovano in cella insieme, hanno voluto una cella singola con due letti attaccati, così il figlio può aiutare il padre che ha avuto un incidente d’auto e cammina con le stampelle, Farina doveva fare le terapie ma è in ritardo», ha continuato Riccioni. «Il figlio Salvatore piange, si rende conto che i suoi sogni di ventenne sono stati bruciati, ha la fidanzata in Islanda, voleva andare ad abitare lì, visto lo stato di indigenza». Saranno il procuratore di Macerata, Giovanni Giorgio ed i suoi collaboratori, a dire se la ricostruzione di Farina senior abbia dei fondamenti.
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L’INTERVENTO DEL PROCURATORE GIOVANNI GIORGIO
Il procuratore Giovanni Giorgio, in merito alle dichiarazioni rese dagli avvocati di Giuseppe Farina nel corso della conferenza stampa di oggi pomeriggio, ha diramato un comunicato.
Giuseppe Farina – dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere dinanzi al gip –, ha ritenuto di sollecitare i colleghi Ciccioli e Rastrelli presenti alla casa circondariale di Camerino, a raccogliere sue dichiarazioni spontanee, ritualmente verbalizzate e registrate. Nell’occasione, Giuseppe Farina non ha voluto instaurare il contraddittorio con i citati pubblici ministeri preferendo riferire la sua (unilaterale) versione, senza – comunque – protestare l’assoluta sua estraneità rispetto ai fatti contestatigli. D’intesa con i colleghi, ho comunque avviato i doverosi accertamenti, diretti a verificare la credibilità della chiamata in correità, compiuta effettivamente da Giuseppe Farina. Questi, però, se intende veramente collaborare con la Procura, lo dovrà fare nelle forme di legge, più che per mezzo di conferenze stampa di fine settimana dei suoi difensori, prive – come tali – di qualunque rilevanza processuale. Farina, quindi, dovrà manifestare espressamente la sua volontà – sinora negata – di rispondere alle domande, che gli saranno necessariamente formulate in relazione alla sua sopraggiunta versione difensiva ed a quanto dettagliatamente contestatogli. Deve però essere chiaro che non intendo affatto sollecitare in alcun modo il Farina a rendere formale interrogatorio. Se vuole essere sentito, ce lo deve far sapere formalmente tramite la direzione della Casa circondariale di Camerino o tramite i suoi difensori, al di là di ulteriori conferenze stampa, infrasettimanali o di fine settimana. Noi proseguiremo le nostre indagini, facendo tutte le verifiche del caso, ma rispettando il doveroso riserbo investigativo.
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Ecco , adesso iniziano ad ingarbugliare la faccenda, guarda caso quando non ha più vie d’ uscita, guarda caso quando le quello che dice sarà quasi impossibile da smentire poichè le prove saranno difficili da racimolare, guarda caso , dopo aver avuto mesi e mesi per potersi inventare una versione diversa da quella a cui sono arrivati gli inquirenti, andrebbero condannati ugualmente per l’omicidio poi ricominciare le indagini e con le prove condannare anche questa fantomatica quinta persona se ritenuta colpevole.
Secondo me, siamo quasi arrivati alla svolta definitiva.
Invece io dico: ecco adesso tutti giudici, avvocati, criminologi e giornalisti pronti a sputare giudizi e sentenze. Sono altri che devono chiarire e sentenziare.
Questa dichiarazione semplifica di molto il lavoro degli inquirenti.
Prima dovevano cercare il colpevole tra un tot. di persone mentre ora la cerchia si stringe.
Saranno gli investigatori a dire chi dei due è l’esecutore materiale ma di fatto con queste dichiarazioni ha confessato le sue colpe.
Queste rivelazioni, oltre a far rivivere la tristezza infinita del ricordo del povero Sarchiè, ammazzato per una stupida e quasi preistorica avidità, provocano anche la rabbia che mi dà la consapevolezza che, fra una decina o (ad andar bene) una quindicina di anni, leggeremo un articolino che ci racconterà di come questo figuro, e il suo accolito (se verrà riscontrato che in effetti questo complice esisteva e, se sì, se verrà anch’egli condannato) saranno stati rimessi in libertà, saranno cioè stati “Gozzinati” anch’essi. Avranno cioè approfittato dei benefici della stupidissima, incredibile, legge Gozzini.
Basta che a questa gente sia revocato il permesso di residenza e di domicilio nelle Marche e vadano a vivere altrove, non vogliamo che metta radici nel territorio questa gente e la loro mentalità vecchia e violenta non hanno nulla a che fare con i Marchigiani, e quindi visto come si comportano se ne vadano a vivere altrove!