Le intercettazioni di Lucky e Awelima,
presi per Pamela non per lo spaccio
Nel contrasto si poteva fare di più

DAI DIALOGHI TRA I DUE NIGERIANI IN CELLA emerge una sconcertante verità: vendevano droga alla luce del sole e senza troppe preoccupazioni. Dopo l'omicidio della 18enne i numeri di arresti, denunce e sequestri sono aumentati in maniera esponenziale. Anche il numero dei richiedenti asilo in città è stato ridotto

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Giuseppe Bommarito

di Giuseppe Bommarito*

Intercettati più volte in carcere Desmond Lucky  e Lucky Awelima, due dei nigeriani tuttora indagati per spaccio di droga e per l’atroce morte di Pamela Mastropietro, si sono lasciati andare – per quanto concerne le modalità che a loro avviso il terzo indagato, Innocent Oshegale, avrebbe dovuto seguire per far sparire definitivamente il corpo della povera ragazza – ad affermazioni degne veramente di un film dell’orrore dedicato al cannibalismo.

Tuttavia, anziché ritornare su quelle parole infami e piene di cinismo, sulle quali molto e con giusto sdegno è stato già scritto nelle scorse settimane dalla stampa locale e nazionale, mi preme qui evidenziare un altro inquietante aspetto emerso anch’esso dalle intercettazioni di Desmond Lucky e Lucky Awelima, sinora sfuggito ai commentatori: il giorno 18 febbraio scorso, parlando tra di loro in dialetto ishan (un dialetto locale di una zona della Nigeria), da essi erroneamente ritenuto non conosciuto e non conoscibile dai “bastardi” (cioè dalle forze dell’ordine), i due indagati arrivano ad una concorde e sconcertante conclusione, quella di non essere stati arrestati «quando facevano il loro lavoro di spacciatori», ma solamente a causa della morte di Pamela che in qualche modo li aveva proiettati sulla scena del delitto o comunque nei paraggi.

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Da sinistra: Lucky Awelima, Innocent Oseghale, e Desmond Lucky

Un’attività di spaccio da essi in effetti svolta a cielo aperto, che le successive indagini effettuate tramite i tabulati telefonici e i necessari riscontri testimoniali hanno evidenziato come particolarmente ampia, continuativa e portata avanti per diverso tempo senza particolari difficoltà e senza un serio contrasto. Nell’ordinanza del Gip di applicazione del carcere preventivo si parla invero, a conferma della vasta impunità della quale i due indagati hanno per lungo tempo goduto, di centinaia e centinaia di cessioni di eroina e marijuana effettuate con frequenza giornaliera dai due nella sola città di Macerata nel periodo compreso tra marzo 2017 e gennaio 2018. Un’attività di spaccio che i due nigeriani – e questo è il succo della prima considerazione che intendo svolgere – ritengono pertanto sarebbe tranquillamente ed altrettanto impunemente proseguita se la morte di Pamela non li avesse fatti finire nel carcere di Montacuto.

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Hashish ed eroina sequestrati a Macerata

Indispettito da tanta franchezza e da tanta arrogante impunità, metto da parte queste intercettazioni dal contenuto così terrificante e, per una mia associazione di idee, passo a leggere i recenti dati, relativi al territorio provinciale, dell’attività delle forze dell’ordine di contrasto allo spaccio ed al traffico di droga. Numeri impressionanti, usciti anch’essi sui giornali con grandi titoli: nei primi quattro mesi del 2018 sono stati infatti eseguiti 90 arresti e denunciate ben 800 persone, nella stragrande maggioranza dei casi per reati relativi al traffico ed allo spaccio di sostanze stupefacenti. Altrettanto considerevoli i sequestri: 13 chilogrammi di marijuana, 300 chilogrammi di hashish e 5 chilogrammi di cocaina. Ma quello che più impressiona è il raffronto tra i sequestri del primo quadrimestre 2018 rispetto al primo quadrimestre 2017. Un salto di qualità veramente enorme: per la cocaina maggiori sequestri pari ad un incremento del 398%; per l’eroina maggiori sequestri pari ad un incremento del 425%; per l’hashish maggiori sequestri pari ad un incremento del 32.000%; per la marijuana maggiori sequestri pari ad un incremento del 452%.

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Controlli della polizia ai Giardini Diaz

Va anche aggiunto, per far spiccare ancora di più i dati relativi al primo quadrimestre dell’anno 2018 (sinora “annus horribilis” per la provincia di Macerata a causa delle terrificanti vicende Mastropietro, Traini e pozzo degli orrori dell’Hotel House) che i dati relativi agli arresti ed alle denunce relative al traffico di sostanze stupefacenti sono rimasti sostanzialmente stabili per tutto il triennio 2015/2017.  Ma non finisce qui, perché, sempre seguendo una mia particolare concatenazione di ragionamenti, vado a leggere anche un’altra notizia uscita in questi giorni sulla stampa locale: nelle ultime settimane il numero dei profughi presenti in città, dopo un paio di anni in cui era esploso a dismisura (con il risultato, più volte comprovato dalle stesse forze dell’ordine e dalla magistratura inquirente, di alimentare a fine progetto proprio il mercato locale dello spaccio), si è ridotto di più della metà per iniziativa prefettizia e del Comune, finalmente attestandosi, con un colpevole ritardo imputabile all’amministrazione comunale maceratese – nonostante le penose e inverosimili bugie raccontate a tal riguardo anche dinanzi all’assise consiliare –, a circa 140 persone, ora corrispondenti alla equilibrata proporzione tra cittadini residenti e immigrati voluta dall’accordo del 2016 tra l’Anci e il ministero dell’Interno.

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Pamela Mastropietro

Insomma, alla fine del giro, che cosa si può dedurre mettendo insieme le ciniche affermazioni dei nigeriani in carcere e i numeri di cui sopra? In primo luogo che, sino ai tragici fatti di fine gennaio di quest’anno, a Macerata l’attività di spaccio, in città prevalentemente in mano a soggetti di etnia nigeriana (ora anche di altre nazionalità africane), è stata solo blandamente contrastata ed è andata avanti tranquillamente e crescendo nel tempo a dismisura, a mano a mano che decine e decine di immigrati sono usciti dai programmi della cosiddetta accoglienza. Persone che, come ormai è unanimemente riconosciuto pure dagli inquirenti, sono divenute, almeno in gran parte, manodopera per la criminalità italiana e straniera operante nel traffico cittadino di droga, dotatasi, per la vastità e la floridezza del mercato locale, di un diretto canale di collegamento e di rifornimento con bande camorristiche e organizzazioni mafiose nigeriane già presenti e radicate a Napoli e sul litorale campano.

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Luca Traini la scorsa udienza

E poi va anche detto, perché i numeri parlano chiaro, che la situazione di spaccio cittadino arrogante e onnipresente è stata oggetto di un serio contrasto solamente dopo la morte di Pamela, allorchè, come più volte in passato invece vanamente richiesto, si è agito con decisione su due leve. Da un lato, a costo di grandi sacrifici considerata la ristrettezza delle risorse umane disponibili, si è intensificata in maniera esponenziale l’attività di contrasto allo spaccio minuto, anche con personale in borghese, e di questo non finiremo mai di ringraziare i vertici locali delle forze dell’ordine, pur nell’amara consapevolezza che gran parte dei fermi e dei provvedimenti di espulsione hanno un valore puramente simbolico a causa del ridicolo sistema normativo che in Italia punisce o, meglio, fa finta di punire i reati connessi alla droga. Dall’altro, l’amministrazione comunale, spaventata dagli effetti (anche elettorali) della sua assurda politica espansionistica in materia di accoglienza e di sostanziale sudditanza verso gli interessi delle organizzazioni della solidarietà cinicamente a termine, si è finalmente decisa, sia pure con grande ritardo e senza la benché minima autocritica (che sarebbe stata invece doverosa per amore di verità), a limitare il numero dei soggetti immigrati presenti in città, e quindi, a cascata, della manodopera a disposizione, a costo zero, dei grandi manovratori del traffico cittadino di droga. Ma per fare tutto questo occorreva proprio la tragica e inenarrabile morte di Pamela, con tutto quello che ne è conseguito?

*  Avvocato, presidente dell’associazione “Con Nicola. Oltre il deserto di indifferenza”

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