da Roma
Giovanni De Franceschi
«Voleva fare la ragazza ribelle ma in realtà era molto buona, piena di vita. Ha sempre lottato senza fermarsi mai davanti ai problemi». Beatrice Marsella e Agnese Caldarola sono cresciute insieme a Pamela. Vivono a San Giovanni, lo stesso quartiere romano della diciottenne uccisa il 30 gennaio scorso. Hanno frequentato le stesse scuole (anche se per brevi tratti), le serate insieme, le confidenze, le prime sigarette. Dopo la fine del funerale hanno accompagnato, insieme agli altri amici più stretti e ai parenti, il feretro al cimitero del Verano. «La mia scuola era vicino casa sua – ricorda Agnese – e puntualmente ogni giorno alle 13 arrivava il messaggio in cui mi diceva “O ti vengo a prendere o vieni a casa mia che ti cucino qualcosa”. Ricordo ancora le sue pennette al salmone, spesso tra l’altro un po’ bruciacchiate perché Pamela aveva molti pregi ma la cucina non era il suo forte. Era una ragazza eccezionale».
E le immagini si rincorrono: sono quelle di una ragazza solare, che amava divertirsi. «Un giorno, in terza media, mentre eravamo in gita al teatro Golden – aggiunge Beatrice – ci siamo appartate per andare a fumare una sigaretta in bagno. Solo che poco dopo il fumo è iniziato a uscire fuori dalla porta e ci hanno scoperto. Ci siamo beccate una bella ramanzina, e poi le risate. Oppure ricordo quell’altra volta in cui dopo essere uscite dovevamo tornare a casa sua a dormire. Perso l’ultimo autobus, ci siamo accorte che io avevo anche perso il telefono e lei non aveva più credito. Quindi non potevamo avvertire Alessandra (la madre di Pamela, ndr), che nel frattempo era preoccupatissima non vedendoci arrivare. Siamo tornate a casa camminando e correndo per chilometri. Quando finalmente ci ha viste era imbestialita, ma in realtà non poteva immaginare tutto quello che ci era capitato. Quante ne abbiamo combinate, stavamo sempre insieme». Le amiche ricordano anche la grande intelligenza di Pamela, la voglia di terminare gli studi al più presto per approfondire una sua passione, la criminologia.
«Quando abbiamo saputo quello che era successo non ci abbiamo creduto – ammettono le due amiche – Pamela non si era mai bucata, anzi aveva paura degli aghi, persino quelli dei vaccini. E poi era contenta di aver intrapreso il percorso in comunità, non voleva più avere niente a che fare con quella vita. Quindi se è scappata via in quel modo, qualcosa lì dentro sicuramente non andava. Stava male, ma a noi non hanno mai dato il permesso di sentirla neanche una volta. Solo in un’occasione abbiamo ricevuto un suo video dalla mamma e i familiari che erano andati a trovarla. Su questo sì che in comunità erano molto rigidi. Quando è scappata invece l’hanno lasciata andare via così. Probabilmente se avesse potuto parlare con noi, tutto questo non sarebbe mai successo». In piazza Re di Roma, sempre nel quartiere San Giovanni, gli amici hanno voluto ricordare l’amica dipingendo una panchina di rosso, lasciando una targa in sua memoria e piantando un albero. «Per me era perfetta – conclude un’altra amica, Lorena Gomes – un pizzico più ribelle delle altre, ma perfetta. Le piaceva essere bella e divertirsi. Lei e la madre erano una cosa sola».
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[…]Quando abbiamo saputo quello che era successo non ci abbiamo creduto – ammettono le due amiche – Pamela non si era mai bucata, anzi aveva paura degli aghi, persino quelli dei vaccini. E poi era contenta di aver intrapreso il percorso in comunità, non voleva più avere niente a che fare con quella vita. Quindi se è scappata via in quel modo, qualcosa lì dentro sicuramente non andava. Stava male, ma a noi non hanno mai dato il permesso di sentirla neanche una volta. Solo in un’occasione abbiamo ricevuto un suo video dalla mamma e i familiari che erano andati a trovarla. Su questo sì che in comunità erano molto rigidi. Quando è scappata invece l’hanno lasciata andare via così e probabilmente se avesse potuto parlare con noi, tutto questo non sarebbe mai successo».[…]
quindi la causa del disastro non è solo quella dei nigeriani.
“se è scappata via in quel modo qualcosa li dentro non andava”, la comunità pars – comunione e liberazione – merita di essere spremuta come un limone.