(In alto la galleria fotografica di Lucrezia Benfatto)
La grande attesa sta per terminare. I festeggiamenti per il ripristino dell’orologio della torre civica, ribattezzata la Torre dei Tempi, sono appena iniziati. In un auditorium San Paolo gremito di curiosi e appassionati, con il sindaco Romano Carancini in veste di “presentatore”, si è svolto il “pomeriggio dei racconti”, una vera e propria rassegna di storia, antropologia e teologia per motivare le scelte che hanno portato alla creazione dell’orologio nel Rinascimento e il suo recupero nella contemporaneità. Nelle vicende della macchina può essere rivista tutta la storia del capoluogo che in tempi Cinquecenteschi aveva l’ardire di rivaleggiare in onore e gloria con la Serenissima Venezia.
Filippo Mignini, professore di storia della filosofia, identifica questa aspirazione con tre termini (decus, honor, commodum), perfettamente illustrati nei dibattiti pomeridiani :«I prelati che governavano la città nel ‘500 pensavano che fosse indecorosa l’assenza di un orologio che conferisse prestigio e valore alla città. Per questo chiamarono gli orologiai Ranieri che già avevano progettato la macchina di Venezia e basarono la commissione su tre principi: decus, cioè quello che conviene alla posizione sociale dei maceratesi, honor cioè riconoscere e conferire prestigio e commodum cioè l’utilità e il vantaggio per la città. Grazie a questo recupero la città ritroverà il collegamento con il suo Rinascimento per proiettarlo nel tempo e nello spazio. L’inaugurazione risponde al ruolo di una città che non si rassegna a considerare come suoi limiti il Chienti e il Potenza». Il valore delle macchine orarie e planetarie è evidente anche nell’opera di Matteo Ricci che sicuramente conobbe le fattezze dell’ordigno originale: «Il cammino di Ricci in Asia fu anche un cammino di orologi – continua il professore -Ricci capì che in un paese fortemente laico e razionale solo con l’esaltazione della sua persona sarebbe stato autorizzato a diffondere il cristianesimo. Così utilizzò la scienza e la tecnica per guadagnare prestigio e aprire le porte dell’impero cinese. Questo fu possibile grazie alla creazione di macchine orarie affascinanti e uniche».
Al centro il maestro Alberto Gorla, alla sua sinistra Giangiacomo Martines, già dirigente regionale del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo
Il maestro Gorla, autentico artista del tempo, restauratore dell’orologio di Venezia e realizzatore della colossale opera maceratese (più di 4000 pezzi) ha invece voluto così raccontare la sua avventura: «E’ un sogno durato 20 anni, ringrazio tutti è senza dubbio la macchina più bella della mia vita. E’ unica perchè rappresenta i pianeti, il planetario lo abbiamo solo noi. Ho lavorato senza sosta, vivevo intorno alla macchina e sono riuscito perchè ho avuto il sostegno di due grandi amici. Ora devo fermarmi perchè mia moglie mi ha promesso che se mi imbatto in un’altra opera così complessa mi taglia le dita». Annuisce la moglie Rosa prima ammiratrice del “signore del tempo” che aggiunge «Gorla è un grand’uomo, abbiamo conosciuto tante persone importanti nella nostra vita, tutte si sono inchinate alla sua arte».
L’orologio evoca anche i grandi sistemi religiosi e le tradizioni popolari «Le campane suoneranno l’Angelus – spiega il vescovo Nazzareno Marconi – la preghiera che interrompe il lavoro a mezzogiorno e alla sera per dare ritmo alla vita. Rappresenta lo scandire dei tempi della giornata per creare la comunità dell’armonia. Può essere paragonato al mondo islamico dove i muezzin chiamano alla preghiera». Tra gli altri interventi quello di Giangiacomo Martines già dirigente regionale dei Beni Culturali, anch’egli felice per la restituzione di un capolavoro tecnologico «nel mondo del restauro, gli strumenti scientifici godono di una prerogativa autonoma, rispetto alle altre cose dell’arte, dell’etnografia e dell’archeologia: essi devono poter funzionare. Attraverso il funzionamento degli strumenti scientifici e tecnici di un tempo, noi moderni diamo continuità alla tradizione della scienza antica e storica. La conoscenza e la tradizione divengono esaustive quando esse arrivano a restituire anche il rapporto dell’opera, della sua funzione con il pubblico». Nelle prospettive dell’amministrazione e degli oratori l’orologio servirà per riaffermare lo splendore di Macerata e per risvegliare gli animi sopiti «di una città sempre criticata dai maceratesi e sempre più ammirata all’estero».
Il concetto è in accordo con le parole con cui Filippo Mignini ha concluso il suo intervento «L’orologio non esclude la manutenzione delle strade e le altre opere, anzi le esige perchè è un elemento che restituisce dignità alla città e pretende il rispetto dei valori che simboleggia». Il prossimo passo, almeno nelle ambizioni dell’attuale sindaco, sarà la creazione di un museo che possa spiegare la storia e la realizzazione dell’orologio stesso. Se dall’incontro pomeridiano in tanti hanno fatto tesoro delle anticipazioni e delle interessanti analisi nessuno potrà esimersi dall’attendere ancora qualche ora per svelare quello che il vento, probabilmente mosso anch’esso dalla curiosità, ha svelato nel pomeriggio a pochi fortunati passanti (leggi l’articolo).
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Ho ascoltato le relazioni di presentazione del nuovo orologio astronomico (la cui vicenda storica già conoscevo grazie anche ad una pubblicazione del dic. 2005 con presentazione del Prof. Mignini), con la volontà di comprendere meglio le ragioni che hanno portato alla scelta di replicare la modellistica dell’originario apparato scenografico in pietra, con l’uso di resine sintetiche trattate “simil marmo” con l’aggiunta di patina invecchiante.
Nessuno degli illustri relatori ha affrontato la questione che, anzi, è stata abilmente elusa. Si è molto parlato di filosofia, simbologia iconografica e musicale, meccanica sapienzale, storia, scienza e relatività dei sistemi di misurazione del tempo ecc..
In definitiva resta insoddisfatta la domanda del perché era stato chiesto un preventivo ad artigiani locali per fare l’opera in pietra e poi averci rinunciato per farla in plastica.
In secondo luogo mi è sembrato veramente strano che tra i vari relatori, ad eccezione dell’ottimo e umanissimo Maestro Gorla responsabile esperto della macchina metallica, non fossero intervenuti i rappresentanti di “OPERA LABORATORI FIORENTINI s.r.l.” che, magari in veste di General Contractor, avrebbero potuto riferire circa le scelte dei materiali usati in alternativa a quelli lapidei e in rame sbalzato.
Ma perchè chi governa la città porta la fascia viola e non il tricolore??
è innegabile che la trovata di resuscitare l’orologio del ‘500 per poter mettere le mani sul malloppo di 750.000 euro di fondi pubblici sia stata astutissima, geniale, mirabile… però ricorrere alla filosofia per coprire questa furbata è un po’ troppo… la necessità e il destino della tecnica e della macchina sono nel continuo superarsi, progredire, rinnovarsi e in questo divenire il passato è conservato e implicito nel presente… nell’orologio al quarzo che porto al polso è contenuto l’orologio del Ranieri perché senza di quello non sarebbe esistito questo… nessuno sente il bisogno di resuscitare l’aereo dei fratelli Wright o i computer IBM perché sono già necessariamente negli aerei e nei portatili di oggi… la tecnologia del ‘500 non consentiva di costruire orologi piccoli e l’orologio della torre aveva una sua utilità sociale che oggi è completamente dissolta, forse solo la memoria che i dissennati amministratori di allora nel delirante tentativo di competere con Venezia scelsero l’opzione di un orologio tamarramente sfarzoso può servire a insegnarci la tesi dell’eterno ritorno, del nulla di nuovo sotto il sole… e poi una domanda sorge spontanea: se questo orologio è così bello, istruttivo e taumaturgico perché mai 133 anni fa è stato tolto senza sollevare nessuna rivolta in questa garibaldina città?
Io credo che la bellezza e la civiltà di una città vada giudicata anche da come conserva e valorizza le sue opere d’arte… l’unica ricchezza che l’Italia possiede in abbondanza non è il petrolio, sono i beni culturali: se vengono abbandonati e lasciati al degrado si perde un valore non solo artistico, ma anche potenzialmente commerciale, perché il turismo culturale è sempre stato una delle principali attività dell’Italia (vedasi città come Roma, Firenze o Venezia)… è vero che questo orologio è una ricostruzione o, per usare un termine molto più brutto, un «falso storico», ma lo è (per quanto mi risulta) anche quello di Marienplatz a Monaco di Baviera, eppure lì nessuno protesta, come mai… forse sarebbe da protestare per altri motivi, ad es. il fatto che ci si ricorda dei nostri beni culturali (organizzando convegni, facendo pubblicazioni, ecc.) solo nei periodi elettorali…
Soprattutto dev’essere bellissimo tornare a respirare l’aria di sfida di quel Cinquecento nel quale il Piccione di Macerata rivaleggiava con il Leone di Venezia.