Infermiera maceratese a Bergamo:
«Copriamo turni massacranti,
fino a quando resisteremo?»

STORIA - Mara Dignani, 41 anni, originaria di Tolentino, lavora nella Terapia intensiva neonatale. «Battaglia senza precedenti, la tensione è alle stelle e ho l'ansia di poter essere un contagio. Ci chiamano eroi ma siamo solo professionisti che combattano»

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Mara Dignani a lavoro prima dell’emergenza

 

di Francesca Marsili

«Ci chiamano eroi, ma noi ci sentiamo dei professionisti che orgogliosamente stanno combattendo una battaglia comune senza precedenti. Qui è un via vai continuo di carri funebri mai vista prima. E’ una guerra. Senza mezzi termini». Dalle parole di Mara Dignani, infermiera del reparto di terapia intensiva neonatale, arriva tutto la fatica e il carico emotivo di chi si trova in prima linea contro il Coronavirus. Originaria di Tolentino, da cinque anni lavora all’ospedale Bolognini di Seriate, in provincia di Bergamo, un presidio a vocazione Covid-19 nella zona rossa dell’epidemia. « Bardati e sigillati dalla testa ai piedi in tute protettive, l’unica cosa che possiamo fare per alleviare umanamente la sofferenza dei pazienti attaccati al respiratore, è una stretta di mano “guantata” perché anche il sorriso che meriterebbero di ricevere, è nascosto dietro la maschera che indossiamo. Per loro sotto il casco l’unico modo di comunicare è lo sguardo. Ma riusciamo comunque a dirci tutto -racconta l’infermiera-  Dal momento in cui un paziente positivo viene ricoverato in terapia intensiva, per i familiari cala il silenzio e sale l’angoscia, perché soprattutto i più anziani, non hanno più possibilità di comunicare con l’esterno».

Ed è ora che Mara Dignani, e come lei tutti i suoi colleghi, riposta la sua divisa e timbrato il cartellino in uscita al termine di un’estenuante turno di lavoro, inizia a prendersi cura anche dell’anima di chi è appeso ad un filo di speranza e attende di avere notizie dei propri cari. mara_dignani-2-225x400«A casa sono praticamente sempre al telefono. Continuamente gente che molto spesso neppure conosco prova a contattarmi, per cercare di avere notizie di un proprio parente ricoverato. Qualche giorno fa, una ragazza che vive a Londra ma originaria di Bergamo tramite un contatto comune su Facebook, mi ha pregata di farle avere notizie dei suoi genitori perché non riusciva a mettersi in contatto con i reparti. Sono riuscita a farle sapere le condizioni di sua madre ricoverata al San Raffaele e di suo papà, dopo l’accesso in pronto soccorso per sospetto Covid19, era stato trasferito ad Alzano Lombardo. Qui ogni giorno è tutto un chiedere, è una cosa che facciamo tutti perché il numero di contagi ha raggiunto un livello tale che tutti abbiamo un parente, un amico o un conoscente ricoverato e il personale sanitario lavora al limite e non ha il tempo di fornire informazioni».

Un passato da portiere nella squadra femminile di calcio a 5 “Cantine riunite” di Tolentino, Mara Dignani 41enne, dopo la laurea conseguita all’Università di Ancona, si è stabilita a Bergamo. «Chi come me lavora nel reparto di terapia intensiva neonatale, essendo sanitari altamente specializzati, fino ad ora è stato preservato. Ma negli ultimi dieci giorni, il numero di sanitari positivi al Covid-19, è talmente alto da non riuscire più a garantire la copertura dei turni e siamo stati chiamati anche noi a gestire questo tipo di pazienti -spiega l’infermiera-  Oltre il mio turno di lavoro, sono praticamente sempre reperibile. Potrebbero chiamarmi da un momento all’altro perché i colleghi positivi crescono di ora in ora come pure il numero di pazienti ricoverati e i posti letto iniziano a scarseggiare». Una testimonianza che arriva direttamente dall’epicentro della malattia quella della maceratese che racconta come questa terribile epidemia, ha stravolto la vita di tutti sia dal punto di vista pratico che psicologico. «Non si ha più alcuna certezza. Quando stremata torno a casa da un turno, mi porto dietro l’ansia di essere un potenziale contagio. Mio marito vorrebbe abbracciarmi ma io cerco di mantenere le distanze. E’ tutto un proteggersi per proteggere. Hai sempre paura di portarti addosso qualcosa, di portare a casa l’aspetto contagioso della malattia, perché il contagio, in Terapia Intensiva a contatto con le malattie infettive, è un aspetto che dobbiamo mettere in conto e la nostra prudenza è costante. E’ devastante pensare che ti potrebbe capitare di assistere un collega ricoverato. Sentiamo addosso uno spropositato carico di responsabilità, continuiamo a coprire turni ma ci chiediamo fino a quando riusciremo a resistere. Dopo 9 ore di turno si scoppia a piangere perché la tensione è alle stelle. Tra noi colleghi c’è molta coesione. Sono cadute tutte le barriere, anche una pregressa antipatia, in questo momento ha lasciato il passo alla totale solidarietà tra colleghi perché il senso di smarrimento e abbandono è totale». Confessa di informarsi costantemente riguardo la situazione nel maceratese l’infermiera, dove ha ancora i suoi familiari, e ricorda come, appena scoppiato il focolaio nel lodigiano, aveva pregato tutti i suoi affetti di evitare di uscire quanto più possibile. E conclude con un’amara considerazione: «Adesso veniamo esaltati ma quando l’emergenza finirà mi chiedo se la riconoscenza ci sarà ancora».

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