La villetta di via Pertini questa mattina
di Gianluca Ginella
Due anni dopo a Montecassiano tutto sembra uguale in via Pertini, dove c’è la villetta in cui è stata uccisa, il 24 dicembre del 2020, Rosina Carsetti. Zona silenziosa, ti accolgono sempre il canto dei galli dalle campagne di fronte l’abitato, l’abbaiare di un grosso cane dal giardino di fronte alla villetta. Tutto è simile, ma è apparenza perché da allora tutto è completamente cambiato per chi vive in quella casa.
Rosina Carsetti
Lì ieri sera Enrico Orazi ha visto rientrare a casa la figlia Arianna, scarcerata al termine del processo di Corte d’assise per l’omicidio di Rosina. Entrambi erano imputati per omicidio premeditato, ed entrambi sono stati assolti da questa accusa e da tutte le altre ad eccezione della simulazione di reato (per quella la sentenza è stata di due anni, pena sospesa). Condannato all’ergastolo Enea Simonetti, il figlio di Arianna, nipote di Rosina e Enrico. Per i giudici della Corte d’assise l’omicidio lo ha compiuto lui, probabilmente in un gesto d’impento. Nulla di programmato però e la premeditazione è caduta.
Ieri, dopo la sentenza, Arianna è prima tornata a Forlì, al carcere, per prendere le sue cose e poi ha preso il treno per fare rientro a casa dopo quasi due anni (era stata arrestata insieme al figlio il 12 febbraio 2021). Questa mattina era nella villetta. Ai giornalisti che hanno suonato per una dichiarazione ha detto: «andate via o vi denuncio». «Non intende rilasciare dichiarazioni» spiega il suo avvocato, Olindo Dionisi.
Arianna Orazi ieri in lacrime all’uscita dal tribunale
Dall’aula ieri pomeriggio la 50enne è uscita in lacrime dopo un lungo colloquio con il figlio «penso siano più lacrime di dolore per il figlio condannato all’ergastolo, che di gioia per lei» dice il suo legale. Fino a due anni fa in quella zona di Montecassiano, che sorge ai piedi del centro storico, viveva anche il papà di Enea Simonetti, Daniele Simonetti, l’ex marito di Arianna. Abitava in una palazzina a una trentina di metri dalla villetta degli Orazi.
«Ora non abita più qui» dicono i vicini. In giro questa mattina non c’era nessuno sulla via, nessuno neanche nei giardini. In fondo pioveva, ma di sicuro il processo ha segnato chi vive in quella zona, basti dire che anche diversi vicini sono stati chiamati al processo a testimoniare.
Il negozio con il cartello “Chiuso per ferie”
Qualcosa è cambiato anche a 15 minuti d’auto da lì, in via Rosati, a Macerata. Lì c’era il negozio della famiglia Orazi, che vendeva ricambi per auto. Da tempo davanti c’è un cartello con scritto chiuso per ferie. Due anni fa era il fulcro dell’attività lavorativa di Enrico, Arianna ed Enea. E anche nei giorni successivi al delitto la famiglia ci andava quotidianamente.
Tornando a Montecassiano, lì c’è la tomba di Rosina, che si trova nell’ala nuova del cimitero. Una croce di legno, una foto di Rosy, le date di nascita 25 maggio 1942, e di morte 24 dicembre 2020 su una targhetta d’ottone. A terra qualcuno ha lasciato tre piccoli vasi di fiori.
L’avvocato Olindo Dionisi al suo arrivo in tribunale ieri mattina
Tornando alla sentenza, riprende il legale di Arianna: «A leggere il dispositivo dei giudici, in attesa di poter leggere le motivazioni (la Corte d’assise si è presa 90 giorni, ndr) quello che mi sembra di poter dire è che hanno valuto l’omicidio come un delitto che è avvenuto con dolo d’impeto o con dolo diretto, dettato da una situazione che si è creata sul momento – dice l’avvocato Dionisi -. L’autore materiale è stato ritenuto Enea, mentre Arianna ed Enrico secondo i giudici hanno simulato una rapina per coprirlo. E infatti per simulazione di reato sono stati condannati». Assoluzione dagli altri reati, anche dai maltrattamenti.
«Per la procura i maltrattamenti erano il movente, una esasperazione di quei comportamenti – dice l’avvocato Dionisi -. Però per i maltrattamenti hanno assolto tutti gli imputati perché il fatto non sussiste. Le testimonianze su questo erano tutte riferite loro da Rosina, io l’ho detto durante la mia discussione e nella memoria che avevo depositato. Sono persone che non sono mai entrate in casa, non hanno mai avuto un colloquio con i familiari. Sono cose che dicono perché gli sono state riferite e su questa base non puoi condannare qualcuno. C’è anche il problema della suggestione del testimone, la teoria secondo la quale noi vediamo le cose secondo la teoria che abbiamo già in mente. I testimoni possono essere stati suggestionati dalle notizie che uscivano. Inoltre noi difensori abbiamo portato testimoni che in casa c’erano entrati, come l’altro figlio, la cognata, persone che hanno fatto i lavori e nessuna di queste persone hanno riferito di aver visto nulla che facesse pensare a maltrattamenti».
E in tutto questo la procura cosa farà? Il procuratore Fabrizio Narbone ieri ha detto che attendevano le motivazioni per leggere cosa ha spinto i giudici ad assolvere due imputati a fronte di una richiesta di condanna all’ergastolo per tutti e tre. Non ha parlato di appello ma è molto probabile che ci sarà un ricorso da parte loro così come da parte della difesa di Enea Simonetti, assistito dagli avvocati Andrea Netti e Valentina Romagnoli.
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