Una panoramica dello Sferisterio di ieri sera
di Marco Ribechi
Esperimento riuscito. The Circus & Pagliacci conquistano la platea dello Sferisterio portando a casa copiosi e sinceri applausi, vera ovazione per il tenore Fabio Sartori. C’era attesa e trepidazione per la “seconda prima” del Macerata Opera Festival, proposta come una vera e propria scommessa artistica: saper coniugare sullo stesso palco due tra le arti visive più celebrate e amate di sempre, cinema e melodramma. L’arena è tornata così al suo vecchio amore per il cinema, considerando i suoi trascorsi come luogo di proiezioni filmiche. L’opera di Ruggero Leoncavallo “Pagliacci”, normalmente associata alla Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, questa volta è stata introdotta in maniera piuttosto innovativa e audace dalla proiezione di un film muto, The Circus, firmato da Charlie Chaplin nel 1928. Un abbinamento che, almeno a prima vista, farebbe sorgere legittimi interrogativi ma che nella notte dell’arena ha saputo svilupparsi con estrema coerenza, arrivando addirittura a oltrepassare i confini dell’una e dell’altra forma espressiva trasformandosi in una vera e propria indagine artistica.
I sindaci della provincia di Macerata ieri in arena
Davanti agli occhi dei sindaci della provincia (leggi l’articolo) lo Sferisterio si presenta allestito con un grande telo da cinema affisso sulla parete e contornato da palle luminose. Sul palco invece, quasi in ogni suo spazio, una scenografia che richiama fortemente quella della pellicola d’avanguardia del 2003 Dogville di Lars Von Trier, dove gli ambienti erano identificati da dei perimetri marcati sul pavimento e da alcuni elementi di arredo distintivi. Già il primo colpo d’occhio quindi non lascia dubbi: le relazioni tra recitazione dal vivo e immagine registrata saranno sviluppate per tutto l’arco della serata e rappresentano la lente d’ingrandimento con cui comprendere le scelte della regia.
Ad aprire la notte è Charlie Chaplin le cui spassose prodezze sono accompagnate dall’orchestra nell’esecuzione di quella partitura originale salvata e riscoperta proprio dalla bacchetta della serata, il Maestro Timothy Brock. Si tratta quindi di un’anteprima mondiale assoluta il cui effetto è sublime: sembra davvero di ritornare indietro nel tempo agli anni in cui il sonoro muoveva i suoi primi passi in un cinema fatto di grandissima espressività recitativa. Poter apprezzare una colonna sonora suonata dal vivo da un’orchestra intera, nel caso la Form, non è un’esperienza che capita tutti i giorni. I rintocchi, i campanelli, le variazioni appaiono tutte estremamente marcate palesando, come desiderava il direttore artistico Paolo Pinamonti, la forte continuità che esiste tra macchina da presa e accompagnamento musicale. La sincronia tra immagini e suono è formidabile e, insieme alle divertenti gag di Charlot, ha costituito un mix di straordinario successo. Al termine della proiezione applausi a scena aperta.
Dopo il film però è il momento della lirica. Durante l’intervallo, mentre gli spettatori sono ancora intenti a chiacchierare e passeggiare per l’arena, iniziano ad entrare in scena alcune comparse che popolano interamente il palco-città con un cinematografo al centro della piazza. Siamo all’incirca negli stessi anni del film appena visto, le distanze temporali sono già annullate. Se gli abitanti del borgo sono rapiti dalle immagini che vedono proiettate sulla tela (selezionate dallo stesso regista Alessandro Talevi) lo stesso non si può dire dello spettacolo messo in scena dalla compagnia di Pagliacci che suscita solo sbadigli e distrazioni. Le vicende di Colombina, Pagliaccio, Taddeo e Arlecchino infatti si contrappongono a quelle proiettate dal cinema e lo scontro appare impari: mentre la compagnia di comici è destinata al declino la grande innovazione tecnologica dell’epoca rimpiazzerà per sempre la Commedia dell’Arte, lasciando gli attori nell’oblio. Anche visivamente il contrasto tra la compagnia e gli spettatori è drastico: da un lato i colori vivaci e sgargianti dei teatranti, dall’altro il piatto grigiore che sa di periferia che caratterizza arredi e personaggi.
La sconfitta del teatro è evidente anche nel comportamento degli spettatori che lentamente se ne vanno mentre Nedda, Canio, Silvio e compagnia sono intenti a sviluppare il loro dramma sia personale che scenico. Solo l’ira e la violenza finale richiamerà di nuovo l’attenzione del pubblico che ritornerà in massa in scena al momento del regolamento dei conti col sangue. Ecco che le parole conclusive di Canio “La commedia è finita” oltrepassano totalmente i drammi individuali per mettere il punto conclusivo non solo alle tresche amorose ma più in generale a tutto il teatro, sconfitto e spazzato via dal cinema. Emblematica in questo senso la strage finale con cui si conclude lo spettacolo: Canio, come da libretto, ammazza in preda alla gelosia Nedda e Silvio, mentre Tonio su libera interpretazione del regista, entra in scena armato di pistola per uccidere tutti gli altri e togliersi la vita in perfetto stile pulp.
È il testamento finale della Commedia destinata ad estinguersi nel corso degli decenni a venire. Dopo la strage restano solo gli applausi. Quelli tributati a tutto il cast, al direttore, al regista, e in particolare a Fabio Sartori nei panni di Canio/Pagliaccio autore di un’interpretazione emozionante e di rara bravura. Così come era accaduto per la Tosca cinefila di Valentina Carrasco (leggi l’articolo) è il cinema a fare da contrappeso all’opera, di nuovo ne sono stati sconvolti i confini, la composizione operistica è divenuta colonna sonora evidenziando una nuova e inattesa sfaccettatura di quello spettacolo totale chiamato melodramma.
(foto Sferisterio/Luna Simoncini)
Timothy Brock
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