La Tosca negli studi hollywoodiani
convince ma non emoziona,
timidi gli applausi della platea

MACERATA OPERA FESTIVAL - La recensione della prima opera in cartellone: la rappresentazione di Valentina Carrasco non è riuscita ad entrare fino in fondo nel cuore dei presenti, offrendo uno spettacolo complesso e ben realizzato ma che riduce ampiamente la carica emotiva. Il contesto che fa da sfondo alla storia classica viene ripreso come una finzione che si mescola al vero svolgersi della trama. Pubblico generoso soprattutto con i protagonisti maschili e il direttore d’orchestra Donato Renzetti

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Una delle scene della rappresentazione

di Marco Ribechi

La Tosca cinefila debutta al Macerata Opera Festival ma riceve applausi timidi da una platea poco coinvolta. Si è aperta ieri la 58esima stagione lirica dello Sferisterio di Macerata con la prima delle tre opere in programma che nelle prossime settimane sarà affiancata da The Circus & Pagliacci e dal Barbiere di Siviglia. Il pubblico delle grandi occasioni (leggi l’articolo) ha affollato l’arena quasi sold out con l’assenza giustificata del direttore artistico Paolo Pinamonti, in isolamento per Covid e impossibilitato a  vivere da protagonista l’apertura del suo primo Mof. La “maledizione” della Tosca sembra non voler abbandonare l’arena maceratese. 

tosca1-325x217Stagione lirica che quindi debutta in salita considerando anche il fatto che la Tosca proposta da Valentina Carrasco non è riuscita ad entrare fino in fondo nel cuore dei presenti, offrendo uno spettacolo complesso e ben realizzato ma che riduce ampiamente la carica emotiva che dovrebbe caratterizzare la passione dei protagonisti delle vicende romane. Nel caso dello spettacolo in questione però Roma appare in sottofondo solo come una finzione scenica: il tutto è infatti ambientato in degli studios televisivi hollywoodiani di inizio anni ‘50, quelli della Scarpia Productions dove si sta girando un film sulla Battaglia di Marengo con cui Napoleone ripristinerà la sua supremazia in Italia. Il contesto che fa da sfondo alla Tosca classica viene qui ripreso come una finzione che si mescola al vero svolgersi della trama, ovvero agli avvenimenti all’interno dello Studio 5, come si legge nel portone montato sotto l’arco di scena. Tutto quello che accade sul palco vuole essere una grande rappresentazione di teatro nel teatro in cui si perde la percezione di ciò che è falso e di ciò che è realtà: i piani interpretativi si mescolano in un gioco di richiami tra rappresentante e rappresentato. Una scelta resa ancor più ardua dal fatto che alcune scene vengono riprese direttamente sul palco attraverso delle telecamere in mano agli attori e proiettate live sul grande muro dello Sferisterio trasformando il cinema in teatro e viceversa.

tosca2-325x217Gli anni ‘50 in America corrispondono a quelli del maccartismo, ovvero una serie di scelte politico amministrative che avevano lo scopo di colpire persone che manifestassero atteggiamenti o ideologie comuniste, quindi considerate sovversive. A farne le spese furono soprattutto gli artisti (che la Carrasco richiama continuamente), in particolare attori e registi, che videro senza giuste ragioni cancellare per sempre la loro carriera ad eccezione delle personalità più importanti dell’epoca che già si erano fatte un nome come Orson Welles o Charlie Chaplin. Ecco quindi che i crimini politici commessi da Cavaradossi e Tosca in età napoleonica trovano un corrispettivo nella censura americana degli anni ‘50 dove i protagonisti diventano degli artisti perseguitati dal barone Scarpia, vero e proprio Weinstein degli studios cinematografici che chiede favori amorosi alla Tosca/attrice in cambio di una sua grazia. 

tosca9-325x217Fatte queste premesse tutt’altro che scontate tutta la vicenda si svolge seguendo i dettami del libretto e sposandosi alla perfezione con la musica attraverso una serie di raffinatezze che però tendono a passare un po’ sottotraccia a causa della scena ampissima dove si sviluppano troppi quadri in contemporanea. Lo spettatore frastornato non sa bene dove posare lo sguardo, se sui protagonisti degli anni ‘50, sugli attori intenti a recitare nella pellicola napoleonica, sulle varie comparse che svolgono le più disparate mansioni o sul muro di fondo dove vengono proiettate le stesse immagini ma da un’altra prospettiva, servirebbero quattro paia di occhi.

tosca4-267x400Alle poco coinvolgenti vicende recitate, piuttosto statiche e fredde probabilmente per scelta, fanno da contraltare i primi piani in bianco e nero dei momenti di violenza (tortura, assassinio di Scarpia, fucilazione di Cavaradossi, morte di Tosca) che si caricano di forte tensione risultando le trovate più interessanti e ben riuscite di tutta la rappresentazione. L’occhio penetrante della macchina da presa sprigiona dolore, paura, tensione. Le vere emozioni non sono quindi quelle recitate dagli attori ma quelle filmate e proiettate sul muro, creando così un ulteriore sovrapporsi di piani interpretativi: è la finzione che diviene più reale della realtà. In un continuo di citazioni cinematografiche, dai cowboy delle serie tv al primissimo Batman passando per Anna Magnani e Alfred Hitchcock, l’opera si conclude con Tosca che precipita dalla scenografia di Castel Sant’Angelo richiamando vividamente la scena finale di Vertigo e facendo di Tosca stessa una donna che visse due volte.

tosca5-325x217Al momento degli inchini e dei saluti finali il pubblico, senza standing ovation, si è dimostrato generoso soprattutto con i protagonisti maschili. Applaudito anche il direttore d’orchestra Donato Renzetti a cui ha fatto seguito un evidente “abbassamento di volume” all’ingresso della regista. Forse la platea era ancora intenta a chiedersi se le morti di Tosca e del suo amato fossero reali o anch’esse parte della finzione filmica? In conclusione la Tosca cinefila, seppur caratterizzata da una grande complessità interpretativa e recitativa (coordinare le immagini con la videocamera a tempo di musica rispettando anche il recitativo deve essere stato un lavoro davvero arduo) non è apparsa di facile fruizione anche a causa del contesto americano degli anni ‘50 che è assolutamente avulso per un pubblico moderno e italiano. La prova della scarsità delle emozioni suscitate è tutta nella reazione del pubblico che non ha voluto né esaltare le scelte né fischiarle, limitandosi a uno stanco battere di mani di cortesia in attesa di lasciare l’arena. 

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