di Maria Cristina Pasquali
Classe 1986, Michela Bugiolacchio, laureata in Scienze politiche nell’ateneo maceratese, sembra proprio tagliata per le relazioni internazionali. Scelte universitarie tutte indirizzate a questo tipo di carriera professionale con una particolare propensione verso la progettazione nel campo della Cooperazione allo Sviluppo. Ci racconta con passione una gavetta sempre in salita di chi sa aspettare e non molla mai . Una persona tenace appassionata, con idee chiare, sicuramente votata al successo. Una bella rappresentante del nostro territorio.
Da quanto tempo sei fuori Italia?
Da un anno e mezzo (novembre 2013), ma ho vissuto in precedenza in altri paesi (Spagna, Sevilla, febbraio-ottobre 2008 e Portogallo, Oporto, marzo-luglio 2011)
Quale è stata la tua vita precedente?
Mi sono laureata a pieni voti alla facoltà di Scienze Politiche di Macerata nel 2009, poi ho proseguito gli studi presso l’università per Stranieri di Perugia, ottenendo la laurea specialistica a pieni voti in Relazioni Internazionali e Cooperazione allo Sviluppo nel 2012. All’interno della mia carriera universitaria ho avuto la possibilità di vivere in Spagna (febbraio-ottobre 2008) grazie all’Erasmus Study e successivamente in Oporto (marzo-luglio 2011) grazie all’Erasmus Placement. Sono state entrambe esperienze molto importanti e decisamente formative. Appena finita l’università a Perugia, ho incominciato a cercare lavoro. Sono stata poi selezionata per un corso di alta formazione in Europrogettazione e sviluppo locale, pagato interamente dal Fondo Sociale Europeo ed erogato dal Seu (Servizio Europa Umbria). Tale corso prevedeva una parte di lezioni in aula della durata di 4 mesi e un successivo periodo di tirocinio di 6 mesi. Il tirocinio poteva svolgersi in Italia o all’estero ma io mi sono battuta fin da subito perché fosse all’estero. Avendo studiato Relazioni Internazionali, avevo sempre avuto il pallino di Bruxelles. Dopo tanta fatica sono stata selezionata da una consulting che lavora principalmente nel campo della ricerca e innovazione, start-ups e finanza e soprattutto nella stesura di progetti europei legati a quest’area (Horizon 2020, Cosme). Successivamente al tirocinio mi hanno proposto un contratto di lavoro.
Di che cosa ti occupi ora?
Mi occupo di tutta la parte amministrativa delle proposte di progetto che la società presenta, nonché della comunicazione relativa ai progetti già in essere. In futuro mi piacerebbe diventare una vera e propria Project Manager nel campo della cooperazione allo sviluppo e protezione dei diritti umani.
Ti piace la tua nuova vita all’estero?
Sì, molto. Per natura sono una persona che non può passare troppo tempo in un posto. Ho bisogno sempre di nuovi stimoli, di conoscere persone di altre culture, di potermi confrontare ogni volta con una realtà diversa. Bruxelles a questo riguardo è un ottimo compromesso. La città in sé non è grandissima ma puoi trovare ogni tipo di nazionalità, il che la rende assolutamente affascinante ai miei occhi. Come già spiegato, sono arrivata a Bruxelles con un tirocinio retribuito dal Fondo Sociale Europeo. Se non fosse stata Bruxelles, che rimaneva comunque in cima alla classifica, avrei fatto di tutto per svolgere il tirocinio in un altro stato Europeo. Avendo forse molti pregiudizi, dentro di me è come se avessi avuto la certezza che se fossi rimasta in Italia, dopo il tirocinio non avrei avuto nessuna possibilità di avere un contratto.
Il belga che tipo di persona è?
In Belgio non esiste un’unica identità. I belgi che vivono al nord del paese si chiamano fiamminghi, sono circa 6 milioni e sono decisamente molto più vicini alla cultura olandese (anche se loro ci tengono molto a distinguersi da quest’ultima, soprattutto da un punto di vista linguistico, ci tengono sempre a precisare che la loro lingua è il fiammingo, non l’olandese, anche se nei fatti il fiammingo non è che una variante dialettale dell’olandese). Quindi molto precisi, ordinati, silenziosi (a volte oserei direi un po’ troppo), rispettosi della privacy. Sono persone che pensano molto al lavoro e allo status sociale, in compenso, avendo un sistema statale che funziona, ne raccolgono anche i frutti. Sono spesso persone che mantengono un livello alto di vita, molto colti ed eleganti. Caratterialmente sono però un po’ freddi (ma questo è il commento di un’italiana). I belgi che vivono al sud, invece, si chiamano valloni, sono circa 3 milioni e a mio parere sono molto più latini. Vivono di più la strada, parlano a voce alta, ti danno subito confidenza. Sono simpatici ma a volte hanno la tendenza a volersi approfittare della situazione (almeno dalla mia esperienza).
In che zona abiti?
Vivo a Schaerbeek, il quartiere arabo-turco di Bruxelles. Il quartiere conta circa 115.000 ab. ed è uno dei 19 quartieri di cui Bruxelles si compone. Personalmente, adoro il mio quartiere, anche se per comprarti una birra scordati di trovarla in qualsiasi snack bar (essendo quasi tutti musulmani, non è permessa la vendita di bibite alcoliche). Schaerbeek è sempre pieno di gente ed offre numerosi servizi ai cittadini. In generale comunque, Bruxelles è una città di medie dimensioni, collegata in maniera assolutamente efficiente, pertanto è estremamente facile potersi muovere da un quartiere all’altro senza dover perdere tempo (cosa che invece può succedere in capitali europee di dimensioni più grandi).
Cosa ti affascina tanto di Bruxelles?
La cosa che adoro di Bruxelles (e motivo principale della mia scelta di rimanere) è la sua multiculturalità. Ben il 32,6% degli abitanti di Bruxelles è straniero. Se lo si vuole è quindi possibile parlare e conoscere tante persone, con background totalmente diversi. Bruxelles è anche, come noto, la capitale dell’Unione Europea. Ovviamente per chi, come me, ho scelto un certo percorso di studi, Bruxelles rappresenta un trampolino di lancio dal quale poter far partire la propria carriera lavorativa.
Se viaggi per lavoro dove viaggi?
Finora non ho viaggiato molto per lavoro. Si è trattato per lo più di piccoli spostamenti (tra Francia, Olanda, Italia e Inghilterra). Il mio lavoro per il momento è per lo più di ufficio. Non manca comunque l’occasione per partecipare a numerosi eventi legati all’Unione Europea, per lo più dislocati presso la Commissione. A prescindere dal lavoro, viaggiare è sempre stata una delle mie priorità. Dal punto di vista lavorativo, ci sono paesi europei che hanno sicuramente reagito meglio al colpo della crisi finanziaria del 2008. Basti pensare ai Paesi Scandinavi o alla Germania. Per quanto riguarda il Belgio, è difficile dare un giudizio oggettivo, poiché, lavorando nel settore dell’Unione Europea, non ho colto particolari disagi. I miei amici belgi dicono che la piaga della disoccupazione è arrivata anche in Belgio ma probabilmente il forte sistema assistenziale di cui godono non lascia spazio a situazioni di grave incertezza finanziaria, come spesso è successo e continua a succedere in Italia.
Nel futuro pensi di tornare a Macerata o in Italia?
Non in un futuro prossimo. Sinceramente credo che in questo momento l’Italia non abbia nulla da offrirmi. Nei due mesi che sono rimasta in Italia, una volta terminata la specialistica, mi stavo deprimendo. Nonostante avessi studiato per tanti anni, nessuno era in grado di offrirmi un lavoro dignitoso. Non è vero che i ragazzi laureati in Italia non vogliono lavorare o non si accontentano dei lavoro offerti. La verità è che nessuno crede nelle loro capacità e spesso ti senti sfruttato, non valorizzato e senza alcuna possibilità di crescita né realizzazione personale. La meritocrazia, purtroppo, è spesso solo nei libri.
Che cosa non ti piace della tua vita all’estero?
Sinceramente non c’è nulla che non mi piaccia. È ovvio che la mia famiglia e gli amici mi manchino. Ma io credo che ad un certo punto della propria vita è giusto che ciascuno segua la propria natura e l’assecondi, anche se questo vuol dire saper rinunciare a tanti aspetti della quotidianità. Essendo italiana a Bruxelles, per esempio, sarebbe un’eresia dire che non ti manca il bel sole italiano, quello che ti scalda la faccia. Qui, quando sei fortunato hai il sole, ma difficilmente ti da quella sensazione di calore italiano. Dall’altra parte della bilancia, però, ci sono altri aspetti che pesano enormemente a favore della vita all’estero. Prima di tutto, il senso di indipendenza, sia personale che finanziaria. Avere la certezza che si sta crescendo professionalmente e avere le risorse economiche per andare avanti, senza dover chiedere nulla a nessuno. In secondo luogo, la sensazione di sentirsi parte di un sistema e l’idea che se ti impegni tanto, poi ti verrà riconosciuto il diritto a raccogliere i frutti del tuo lavoro, perché ti spettano e perché è socialmente accettato che ti spettino. In Italia ho spesso la sensazione che le persone di sentano “fortunate” ad avere un lavoro, anche se sottopagato, senza alcun tipo di sussidio e spesso non a norma. In Italia ci sono milioni di schiavi che si alzano ogni mattina e, non avendo un metro di paragone che permetta di relativizzare la loro posizione lavorativa, si sentono “fortunati” perché “c’è chi sta peggio”. Io penso che in altre parti d’Europa, e più in generale nel mondo, ci sono lavoratori che stanno molto meglio, i cui diritti sono garantiti per legge e le persone non prendono neanche in considerazione il suicidio come soluzione al fatto di essere disoccupato. Ci sono posti nel mondo dove fortunatamente si lavora per vivere e non si vive per lavorare, ed il Belgio è sicuramente un fra questi.
Ti senti adeguatamente remunerata?
In generale percepisco uno stipendio leggermente sotto la media belga, ma che in Italia sarebbe considerata senz’altro un’ottima retribuzione. Bisogna però considerare che il costo della vita a Bruxelles è piuttosto alto, di conseguenza il mio stipendio mi permette di vivere dignitosamente ma senza particolari sfarzi. Ovviamente dipende dal tenore di vita che si vuole condurre, ma in generale per vivere bene devi poter guadagnare almeno 1.500 euro (netti). Comunque, con dei piccoli e costanti accorgimenti si può ovviamente risparmiare e addirittura mettere qualcosa da parte: per esempio, io non rinuncio mai al ‘marché matinal’ del sabato mattina a Clemenceau dove si può acquistare dell’ottima frutta e verdura di stagione a prezzi decisamente inferiori a quelli che si trovano al supermercato. Un’altra grande fetta del mio stipendio viene poi mangiata dall’affitto. È per questo che ho deciso di abitare in un appartamento condiviso con altre due ragazze francesi, in modo da attenuare i costi. A parte l’aspetto economico, trovo che sia comunque molto bello avere qualcuno con cui confrontarsi e parlare faccia a faccia a fine giornata, soprattutto se di un’altra nazionalità e lingua.
Quali tipi di lavoro si trovano con più facilità nel posto in cui vivi?
Come già risaputo, Bruxelles è considerata la capitale dell’Unione Europa, pertanto sicuramente vi è un’immensa varietà di lavori che possono essere svolti all’interno delle istituzioni europee, prime fra tutte Commissione e Parlamento. Al di fuori del settore europeo, vi è una richiesta di assistenti sociali, impiegati d’ufficio, addetti alle vendite, agenti commerciali, collaboratori domestici, infermieri ed ostetrici, esperti di informatica, camerieri e barman, professori.
Ci sono altri Italiani? Quanti? Hanno un club? Ci sono ristoranti italiani? Come si mangia?
L’emigrazione italiana in Belgio è una fra le più antiche del paese. I primi italiani che raggiunsero il Belgio negli anni ’20 lo fecero essenzialmente per estrarre il carbone dalle miniere (flusso che venne però interrotto dalla tragedia di Marcinelle, nel 1956, quando 262 italiani persero la vita a causa di un incendio). Secondo i dati dell’Aire 2013, gli italiani regolarmente registrati sono 254.741 così ripartiti nelle 3 circoscrizioni consolari: 132.492 a Charleroi; 87.853 a Bruxelles; 34.396 a Mons. Sempre secondo l’Aire, gli oriundi ammontano invece a circa 300.000 in Belgio, di cui 190.000 a Bruxelles. La comunità italiana è inoltre fortemente organizzata con oltre 250 associazioni di promozione culturale sociale. Personalmente, preferisco tenermi a contatto con gli italiani tramite social media (facebook e twitter). Per quanto riguarda i ristoranti italiani, ce ne sono a bizzeffe, c’è veramente solo l’imbarazzo della scelta (basti pensare che TripAdvisor ha creato una sezione appositamente dedicata ai 30 migliori ristoranti italiani a Bruxelles). Sono inoltre molto quotati ed apprezzati, tanto dai belgi quanto dai turisti. Ad essere sincera non ne ho provati molti, ma quelli che ho provato hanno sempre confermato la grandiosità indiscussa della cucina italiana.
Rimpiangi qualcosa dell’Italia o delle Marche?
Il sole che ti scalda la faccia, i campi di girasole nelle colline tra Montecassiano e Montefano, l’odore della salsedine al mare.
Cerco di tornare a casa ogni mese e mezzo, massimo due.
Quale è stata l’esperienza più bella o le esperienze che hai fatto da quando sei fuori?
Ogni giorno per me è un’esperienza magnifica perché ogni giorno ho la possibilità di parlare tante lingue e conoscere persone provenienti da ogni parte del mondo. Se dovessi scegliere un’esperienza in particolare, direi tutti gli eventi che si svolgono presso la Commissione Europea, perché è lì che mi piacerebbe lavorare un giorno, in particolare nella DG EuropeAid (Cooperazione internazionale e Sviluppo).
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