Urlare al razzismo non è più sufficiente,
la politica di accoglienza ha fallito

IL COMMENTO - Giacomo Buoncompagni, docente universitario e presidente Aiart, evidenzia il ruolo del fenomeno migratorio in campagna elettorale, oggi dopo l'omicidio di Civitanova come nel 2018: «Alcuni partiti utilizzano la “comunicazione di attacco” per denunciare la mancanza di sicurezza, altri una “comunicazione di difesa” per rispolverare il tema di un razzismo cronico locale. In nessuno dei due casi c'è consapevolezza politica e previsione sociale»

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Giacomo Buoncompagni

di Giacomo Buoncompagni*

Se dovessimo aggiungere, ai cinque già noti, un sesto assioma della comunicazione e applicarlo specificamente al mondo della politica, questo potrebbe riguardare l’ormai indissolubile legame tra immigrazione e comunicazione preelettorale.
Il sesto assioma potrebbe risuonare più o meno così: “Non si può non comunicare (in politica) senza parlare di immigrazione”.
Il 25 settembre, la prossima data delle nuove elezioni, è ormai alle porte. Siamo ad agosto, fa caldo, forse troppo e il nostro Parlamento è sostanzialmente in fiamme dal punto di visto comunicativo e propagandistico.
Disinformazione, odio verbale, sovraccarico di tweet, onnipresenza ai talk show da parte di tutti i parlamentari italiani, sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano le nostre giornate estive verso un Ferragosto forse ancora più incerto di quelli degli ultimi cinque anni.

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Il sit in della comunità nigeriana in piazza sabato scorso

E puntualmente, come successo anche durante la campagna elettorale del 2018, nonostante gli ultimi choc globali, come pandemia e guerra, non sembra mancare nel dibattuto politico italiano il tema dell’immigrazione.
Quest’ultimo affrontato nuovamente attraverso una “comunicazione di attacco”, da parte della destra, e una “comunicazione di difesa”, da parte della sinistra.
Ancora una volta i migranti sono l’ossigeno della polarizzazione, le radici di messaggi pubblici ovvi e vuoti, le vittime di discorsi politici assenti e politiche inefficienti. Ma c’è un ulteriore elemento comune, purtroppo, in questa nuova campagna elettorale che vede protagonista proprio la nostra regione.

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Ieri a Civitanova la manifestazione della comunità nigeriana nel nome di Alika e contro la violenza. «Ma non c’entra il razzismo» hanno detto

Un altro omicidio. Un’altra vittima nelle Marche. E sempre nella provincia di Macerata. Come nel 2018. Gli spari di Traini sulle minoranze presenti nella città di Macerata, la tragica vicenda temporalmente vicina all’assassinio della giovane Pamela Mastropietro e ora il tragico omicidio del 29 luglio scorso in cui è stato ucciso, dopo una lunga aggressione, Alika Ogorchukwu, 39enne nigeriano, venditore ambulante.
Tre tragedie che si collocano all’interno di campagne elettorali che si sono rivelate, e si stanno ancora oggi rivelando, confuse nei contenuti e violente nei linguaggi.

Senza sorprese alcuni partiti politici utilizzano la “comunicazione di attacco” per denunciare la mancanza di sicurezza, mentre altri una “comunicazione di difesa” per rispolverare il tema di un razzismo cronico locale.
Ma in nessuno dei due casi sembra esserci un minimo di consapevolezza politica e di previsione sociale.

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L’arrivo del corteo in piazza XX Settembre

Anche questa volta, poco importa quello che viene promesso e urlato nei salotti televisivi o all’interno di piattaforme ormai sature. C’è un fatto brutale che è, come si dice, “capitato a fagiolo”. Quindi meglio sfruttarlo subito politicamente.
Ci sono due verità oggettive che legano queste vicende e questo tempo di campagna elettorale, così come quello del 2018. Urlare al razzismo non è più sufficiente e l’attuale politica nazionale di accoglienza ha fallito.
Non è più possibile sottovalutare i problemi locali o non tener conto delle numerose differenze territoriali, economiche e culturali.

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Il secondo corteo di ieri, quello del coordinamento antirazzita italiano, contro il razzismo

Bisogna considerare quelli che l’antropologo Thomas Eriksen definisce “conflitti di scala”. Altrimenti il rischio è quello di perdere il controllo di tutto e a quel punto nessuna campagna elettorale sarà più in grado di ristabilire l’ordine delle cose.
Gli spazi e tempi della politica sociale dovrebbero essere ripensati a partire dal locale, tenendo conto della trasformazione socio-culturale del singolo territorio e delle esigenze dei cittadini emerse in questi anni di crisi ed emergenza.
Molti mutamenti, che nel passato hanno concorso a migliorare le nostre condizioni di vita, si sono rivelati, a lungo andare, delle “armi a doppio taglio”, nel senso che essi, dopo essere stati recepiti positivamente, si sono poi rivelati causa di disagi esistenziali crescenti. Un esempio tra questi è una politica migratoria circoscritta all’accoglienza.
Le vecchie idee sul progresso economico e sociale e il multiculturalismo, che un tempo costituivano le principali ideologie di ogni orientamento politico, hanno perso la loro attualità.

secondo-corteo-manifestazione-alika-civitanova-3-325x217Non basterà questa volta, dunque, accusare o difendere gli immigrati per vincere le elezioni, così come sarà politicamente limitata la strategia di rispondere ad alta voce alle esigenze umanitarie odierne.
Investire invece nello sviluppo e nella creazione di sistemi resistenti e flessibili, potrebbe essere un aspetto inedito per ricostruire un futuro progetto politico interculturale, locale e nazionale, capace di far ri-emergere l’Italia dalle attuali crisi, governando in modo responsabile e razionale.
Come affermava il sociologo Weber, è necessario considerare le possibili conseguenze delle proprie azioni (politiche) sulla base del principio dell’«agire razionale rispetto allo scopo».
Migliorare il bene comune e di conseguenza preoccuparsi dell’impatto che determinate scelte avranno su di esso, è probabilmente la strada più corretta.

*Giacomo Buoncompagni, ricercatore in sociologia all’Università di Firenze e docente di antropologia giuridica e culturale all’ Università di Macerata, presidente Aiart Macerata.

 

L’omicidio sul corso a Civitanova al centro della campagna elettorale

«Intitoliamo quel pezzo di strada ad Alika» La proposta in Senato di Verducci

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