Perizia psichiatrica su Ferlazzo,
la procura chiederà l’incidente probatorio.
Dopo la comunità smise di curarsi

OMICIDIO DI ALIKA - Sarà avanzata richiesta al gip per valutare se il 32enne fosse capace di intendere e volere al momento dell'aggressione. Verrà acquisita anche tutta la documentazione sul suo stato di salute mentale. La relazione della struttura di Lecce dove è stato in cura quasi due anni dal 2019. Il legale Roberta Bizzarri oggi è andata a Montacuto per parlarci: «L'ho visto provato, sta male, continua a dire che è molto dispiaciuto per quanto è successo. Ho presentato istanza affinché la mamma e la compagna possano andare a trovarlo»

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Filippo Ferlazzo

 

di Giovanni De Franceschi

«L’ho visto provato, sta male, è sconvolto, continua a dire che è molto dispiaciuto per quanto è successo. Gli ho portato i saluti della madre, della compagna e del datore di lavoro». Sono le parole dell’avvocato Roberta Bizzarri, che oggi è tornata a parlare in carcere con Filippo Ferlazzo, il 32enne salernitano accusato di omicidio volontario e rapina per l’uccisione del venditore ambulante nigeriano Alika Ogochukwu in corso Umberto I a Civitanova. Una chiacchierata di una mezzora, dedicata per lo più ad aspetti tecnici quella tra l’avvocato e il suo assistito.

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Il luogo dell’omicidio

«Ho anche depositato formalmente in procura – aggiunge il legale del 32enne – istanza per ottenere l’autorizzazione affinché la mamma e la compagna possano vederlo. Inoltre ho depositato tutta la documentazione medica relativa al suo stato di salute mentale». Ed è proprio questo adesso uno degli aspetti dirimenti dal punto di vista giudiziario. La procura infatti è intenzionata a chiedere un incidente probatorio per effettuare la perizia psichiatrica. Richiesta che poi dovrà essere accolta dal gip. L’aspetto da approfondire è se Ferlazzo fosse in grado di intendere e di volere al momento della brutale aggressione. E infatti il procuratore facente funzioni Claudio Rastrelli sta acquisendo tutto il materiale disponibile in merito, oltre a quello relativo ai procedimenti penali pendenti dell’indagato. Di sicuro su Ferlazzo pende un’accusa di violenza sessuale, per aver tentato di baciare una ragazza su un treno (leggi l’articolo), l’udienza al tribunale di Napoli è prevista ad a ottobre. In più ci sarebbe anche una denuncia per rapina per essersi impossessato di un cellulare e un’altra per maltrattamenti, presentata dalla madre Ursula Loprete, su cui però è stata chiesta l’archiviazione.

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Il procuratore Claudio Rastrelli e il gip Claudio Bonifazi

Dai primi risultati parziali dell’autopsia, in attesa della relazione finale del medico legale Ilaria De Vitis, è emerso che Alika è morto per «asfissia violenta con concomitante choc emorragico interno».  Ed è stato escluso che la vittima avesse altri tipi di patologie che ne avrebbero potuto causare la morte. L’ipotesi, ancora da confermare, è che Ferlazzo abbia messo in atto qualche mossa di arti marziali, in passato infatti le aveva praticate.

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L’aggressione in corso Umberto I

In ogni caso, secondo i primi risultati dell’esame, ha provocato l’asfissia della vittima e un choc emorragico interno talmente esteso, che appare evidente l’interessamento di almeno un organo vitale. Ferlazzo – come hanno spiegato gli inquirenti dopo aver visionato le telecamere di videosorveglianza –  ha inseguito Alika lungo corso Umberto I dopo che quest’ultimo aveva chiesto a lui e alla sua compagna l’elemosina, gli ha strappato dalle mani la stampella e l’ha colpito con quella. Una volta a terra si è buttato sopra la vittima «cingendole il collo con il braccio e mettendosi a cavalcioni sulla stessa, schiacciandola per diversi minuti», ha scritto il gip nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Ferlazzo ha avuto i primi contatti con il Dipartimento di salute mentale di Salerno nel 2014. Dopo diversi incontri saltuari è stato definitivamente preso in carico nel 2017.  Alla passione per l’arte e la musica, dipingeva quadri e aveva organizzato anche qualche mostra, a lavoretti saltuari e alle ore in palestra, facevano da contraltare i problemi con la droga. Nel 2018 è stata la madre a presentare ricorso al tribunale di Salerno per chiedere che il figlio venisse messo sotto amministrazione di sostegno. Richiesta che il giudice ha poi accolto nel 2019, con la nomina della madre stessa come amministratrice di sostegno.

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Roberta Bizzarri, avvocato di Filippo Ferlazzo

Nello stesso anno viene accertato un aggravamento delle sue condizioni, anche per via dell’uso di crack, accompagnato a un abuso di cannabinoidi. E così Ferlazzo inizia un percorso in una comunità di recupero, la Sol Levante di Lecce, sia per i suoi problemi mentali, che per i problemi di tossicodipendenza. La struttura dopo la presa in carico nel 2019 parla di «psicosi atipica» con abuso di sostanze stupefacenti e «alte quote d’ansia che talvolta sfociano in comportamenti aggressivi a cui seguono richieste di tornare a casa e risolvere i problemi con i familiari e il rifiuto della terapia».

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Filippo Ferlazzo con uno dei suoi quadri

In comunità Ferlazzo ci resta per un anno e otto mesi, fino a maggio 2020.  «L’ospite – si legge in una delle relazioni semestrali della struttura – non è consapevole delle problematiche riguardanti la sintomatologia psicotica, quali pensiero delirante di tipo persecutorio e quelle relative al discontrollo degli impulsi. I costanti interventi di natura psicoterapeutica al fine di indebolire alcune convinzioni disfunzionali e di sviluppare più adeguate modalità di gestione dell’impulsività, seppure accolti con disponibilità, non sono stati interiorizzati». Insomma, dopo mesi in struttura Ferlazzo sembrava non rendersi  ancora conto dei problemi psichici che lo rendevano incapace di controllare i suoi impulsi. E’ uscito dalla struttura a maggio 2020 e ha interrotto le cure dopo quattro mesi non presentandosi più alle visite programmate.

A fine 2020 la madre ha fatto richiesta per ottenere l’aggravamento dell’invalidità del figlio. E dopo la visita di aprile 2021, gli è stata riconosciuta un’invalidità del 100%. A Civitanova è poi arrivato un anno dopo, ad aprile scorso. Ed è andato a convivere con la compagna Elena, trovando anche un lavoro in un’azienda metalmeccanica della città alta. Sembrava pronto per riprendere in mano la propria vita. «Con me è sempre stato una persona dolce, premurosa, attenta  – ha raccontato la compagna a Cronache Maceratesi – Sempre educato, sempre “per favore, grazie”. Però si rendeva conto della sua malattia e voleva farsi curare». Ad aprile infatti era andato in ospedale a Civitanova, di sua iniziativa, perché stava male. Aveva concordato un appuntamento, che poi era slittato. Ma il 29 luglio la fatale aggressione. Ora resta da capire, come ha intenzione di fare anche la procura, se fosse capace di intendere e di volere al momento del fatto.

 

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