Professor Pantaleoni,
insegni a Macerata

LETTERA 22 - E' iniziata una campagna elettorale priva di programmi e di prospettive dove tutto si gioca sul braccio di ferro all’interno della classe prevaricante. Il centrodestra risponde con un'autocandidatura che non trova unità. Preghiera al fu deputato Maffeo perché spieghi che una città ha bisogno di elites e di economia

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Carlo Cambi

Carlo Cambi

di Carlo Cambi

Carissimo professor Panteleoni perdonerà se la disturbo richiamando la sua attenzione su una città di cui lei fu deputato, dove ancora vivono i suoi eredi e che forse si ricorda di lei solo perché le hanno intitolato una strada o per via di quel suo nome, Maffeo, che ai più suona curioso. Sono convinto che non si ricorderanno neppure di rammentarla nel centenario della sua scomparsa come si sono dimenticati di suo padre Diomede Pantaleoni, un grande del Risorgimento e un grande maceratese, venuto meno giusto 130 anni fa. Lei non ha mai insegnato a Macerata, ed è un peccato. La prego però di dare a questa città che le appartiene almeno una lezione. Si avvicinano le elezioni per rinnovare il sindaco e da nessuna parte si sente parlare di ciò che davvero interessa al popolo: il come campare. Scrivo a lei perché nella recentissima nostra vicenda d’italiani è venuto alla ribalta un giovinotto fiorentino che ha una evidente propensione alla leadership con accenti di culto della personalità e ha riacceso il dibattito attorno alle elites. Trova molti imitatori, ma, come accade, le copie sono assai meno fulgide dell’originale. Questa tentazione sta pigliando anche i politici (?) maceratesi. Molto impegnati a studiare come comandare, per nulla occupati a pensare al leninista “Che fare?”. Ci vorrebbe lei che fu indicato come il “Principe degli economisti italiani” a spiegarcelo. Il primo motivo che mi spinge a invitarla a guardare a Macerata è quella sua frase esemplare che recita: “Qualunque imbecille può inventare e imporre tasse. L’abilità consiste nel ridurre le spese, dando nondimeno servizi efficienti, corrispondenti all’importo delle tasse”. Vale per Bruxelles, per Roma e anche per Macerata.

maffeo-pantaleoniMa un altro motivo per spingerla a darci una lezione è la sua riflessione attorno al Parlamento (che per estensione può attagliarsi anche al Consiglio Comunale) contenuta nelle sue lezioni di finanza pubblica. Lei in sostanza sostiene che dapprima il Parlamento si comporta da benevolo mediatore degli interessi collettivi, ma poi assume i tratti della classe dominante che dissimula in un generico interesse pubblico la sua volontà predatoria e la sua natura parassitaria usando parte delle risorse pubbliche per perpetuare se stessa. (Cfr: Maffeo Pantaleoni: Contributo alla teoria del riparto delle spese pubbliche , Roma 1883). E qui, chiarissimo professor Pantaleoni, comincia il ragionamento sull’attualità. Il suo amico e in parte allievo Wilfredo Pareto sostenne che la società ha bisogno di elites che si contrappongono. Ma lei ci ha messo in guardia dalla degenerazione delle elites sostenendo che deve esistere una classe dirigente che si rinnova di continuo per merito e per metodo. Se così non è le elites – che sono indispensabili per guidare una democrazia, basterebbe rileggersi la Repubblica di Platone per saperlo – diventano classe dominante che comanda, ma che nel bene o nel male si occupa dei dominati non foss’altro per tenerli a bada e perpetuare il consenso. La degenerazione ultima è che la classe dominante si faccia classe prevaricante: ritenere cioè che il bene comune sia risolto nel proprio bene e nella perpetuazione di se stessa. E’ esattamente quello che sta succedendo a Macerata in vista delle elezioni amministrative. Nessuno si occupa di economia – che vorrebbe dire preoccuparsi del bene comune – nessuno formula indicazioni prospettiche quali sarebbe lecito pretendere da una elites che fosse non classe prevaricante, ma acutamente classe dirigente. Tutti (o quasi) si autopromuovono alla guida della città – peraltro senza indicare né il punto di arrivo né il percorso – chiedendo all’esercizio democratico non una scelta o un’indicazione, ma semplicemente una ratifica. Che sia così a destra come a sinistra (ammesso che queste distinzioni abbiano ancora un senso) lo dimostrano i fatti e vi è un pericolo di contagio fortissimo: anche chi dovesse proporsi come espressione di una classe dirigente in questo contesto rischia di diventare classe prevaricante. Questa degenerazione per prima cosa è frutto del fatto che i partiti liquidi non esercitano più né formazione né selezione della classe dirigente, che la liquidazione dei cosiddetti corpi intermedi non è semplificazione, ma prevaricazione perché deturpa la rappresentanza, che l’inversione tra programmi e candidati e il sintomo che il leader – o supposto tale – opera una privatizzazione delle scelte che pur avendo ricaduta pubblica sono frutto di elaborazione delle lobbies che hanno integralmente sostituito la funzione sociale dei partiti. Il risultato è una distanza siderale tra eletti ed elettori: nella fatica di vivere, nelle incombenze quotidiane, nelle speranze e aspirazioni. Rischiamo seriamente di eleggere non un primo cittadino, ma l’ultimo dei satrapi.
Parziale, parzialissimo antidoto a questo andazzo è nel Pd l’indizione delle “primarie” che peraltro contrappongono un sindaco uscente – dunque si presuppone investito di un consenso popolare – ad un candidato espressione del partito (il che dovrebbe rafforzare l’ipotesi che questo sia il luogo di selezione di una classe dirigente). E tuttavia lo stesso Pd si è ben guardato dal confronto con il popolo su di una materia esiziale per la vita pubblica: l’urbanistica, mai indicendo la pur promessa pubblica assemblea. Il che fa dire che il riferimento al popolo non sul candidato, ma sul che fare è ritenuto pericoloso. Del resto finora non s’è vista nella dialettica delle primarie una indicazione chiara di programma, ma solo un generico dibattito tra continuità e discontinuità rispetto alla sindacatura corrente con più appunti di metodo che non di merito.

Deborah Pantana dallo scorso settembre si è presentata all'opinione pubblica come candidato sindaco

Deborah Pantana dallo scorso settembre si è presentata all’opinione pubblica come candidato sindaco

Nel campo avverso è emersa un’autocandidatura che peraltro non trova unito neppure il partito sol che si pensi che vi è contesa addirittura sull’uso della “bandiera”. Per puntellare questa autocandidatura si è fatto ricorso al proliferare di supposte liste civiche come a dire: è il popolo che me lo chiede. In realtà il cartello di sostegno a quella autocandidatura si sta formando non per convinzioni rispetto ad un progetto di città, ma per addizione di velleità. Né va meglio nel recinto delle cosiddette Liste Civiche che non trovano – essendo in realtà espressioni di minipartiti personali – un denominatore comune. E tutti – nessuno escluso – hanno un retropensiero: come aggregarsi dopo in vista del ballottaggio. Con ciò inverando la previsione di Maffeo Pantaleoni che i Parlamenti evolvono da potere benevolente del tutto compreso nella funzione di interpretare le preferenze individuali, in classe dominante che non rispetta il mandato di rappresentanza affidatogli dai cittadini.

IL FACCIA A FACCIA tra Carancini e Mandrelli (clicca sull'immagine per guardare il video)

IL FACCIA A FACCIA tra Carancini e Mandrelli (clicca sull’immagine per guardare il video)

Per evitare un simile scenario sarebbe stato indispensabile che prima delle candidature fossero esposti i programmi a cominciare da quelli di finanza pubblica, che prima degli schieramenti fossero tracciati gli orizzonti, che prima dei veti si raccogliessero i voti, che prima dei proclami si fossero condotte le analisi. Ma di tutto questo nelle settimane che ci stanno presentando i competitori per Palazzo Civico c’è scarsissima traccia e anche le vaghe indicazioni ricevute paiono di cortissimo respiro. Quasi che si tentasse di catturare tra Orologi e Palas, tra Parksì o Parkno, tra assessorati alla famiglia o all’università, tra do di petto allo Sferisterio e piglio di soppiatto secondo il mio desiderio, un consenso effimero, ma bastevole a intestarsi la poltrona.
Perché la competizione dovrebbe risolversi nella possibilità di scegliere tra diverse prospettive. Il metodo non dovrebbe essere l’imposizione di un candidato, ma l’ascolto della città da parte della politica, l’elaborazione di una proposta e in ultimo l’indicazione della persona o del team in grado di tradurre in atti di governo le aspirazioni della città che diventano sintesi programmatica. Ma questa funzione di ascolto presuppone che il Governo si ponga in una posizione dialogica con la società civile alla quale ha l’obbligo di indicare una proposta e ha il dovere di registrarne il consenso dando conto periodicamente degli atti che compie.
Manca un respiro più ampio, almeno stando a quanto si è ascoltato fino ad ora, all’avvento delle amministrative. Il tema chiave dovrebbe essere la centralità di Macerata. Ci torneremo con domande esplicite a chi ha l’ambizione di candidarsi a guidare la città. E’ inutile ragionare di parcheggi se non si tiene conto della viabilità. Che succede con la nuova 77 se Macerata non trova modo di intercettare il flusso veloce deviandolo verso se stessa? E’ inutile ragionare di sostegni alla famiglia se non si tiene conto della sofferenza severa del quadro economico, della slavina di fallimenti, dell’emorragia di posti di lavoro, della non prospettiva di sviluppo. Significherà non governare, ma amministrare con l’obolo pubblico un’emergenza. E’ inutile ragionare di cultura se non ci si chiede come portarla a reddito, come farla diventare volano economico. E’ inutile ragionare di Università se non si chiede all’Università medesima di essere laboratorio di ricerca sulla città e per la città. E ancora si può continuare a ritenersi capoluogo se si perde la Camera di Commercio, se non c’è nessuna garanzia sul polo ospedaliero, se la Provincia ridotta a mero limbo per l’impiego pubblico non ha più significato? E nel caso della macroregione (speriamo nell’accorpamento con l’Umbria e non in quello innaturale con l’Abruzzo) qual è il ruolo di Macerata? Diventa fulcro di un’area vasta o periferica? La storia ci insegna che con l’Unità d’Italia Macerata si trovò ad essere da città grande in un piccolo Stato (quello Vaticano) a città piccola in uno Stato grande. Ma allora reagì mobilitando le forze economiche, intellettuali e sociali.

E ancora: il destino economico di Macerata è di candidarsi a generare nuova imprenditoria oppure di continuare a vivere (ma per quanto?) di stipendi pubblici? Il consumo di suolo continuerà o avremo una nuova visione del territorio come fattore competitivo? Continueremo a vivere di un terziario a basso valore aggiunto e ad alto rischio d’infiltrazione criminale o cercheremo una terziarizzazione produttiva della città? E le politiche sociali saranno di mero assistenzialismo o ci preoccuperemo di far diventare gli anziani risorsa e i bambini futuro? La questione demografica diventerà centrale o continueremo a invecchiare deperendo? E’ su gli scenari di fondo che si gioca il destino della città e di questi scenari per ora non si vede contezza. La politica maceratese pare ragionare in un perimetro angusto come se oltre fosse tutto immobile, invece tutto si muove a una velocità rispetto alla quale non solo i politici, ma la città medesima sembra non tenere il passo. Ecco perché professor Pantaleoni ci servirebbe una sua lezione. Partendo dalla sua intuizione secondo la quale stanno emergendo “aristocrazie di nuove clientele”. C’insegni per favore ad evitare questa prevaricazione per evitare di trovarci a palazzo Civico qualcuno di ci tocchi pensare: “Qualunque imbecille può inventare e imporre tasse”.
Con ossequi.

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