«Ecco perché Pamela è morta
dopo la violenza sessuale»

OMICIDIO MASTROPIETRO - La sentenza della Corte d'appello di Perugia che ha condannato il nigeriano Innocent Oseghale all'ergastolo. Secondo i giudici la 18enne era stata abusata sessualmente dopo aver assunto droga. Una volta ripresa aveva reagito e così è stata uccisa

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Le varie fasi del processo contro Innocent Oseghale, al centro: Pamela Mastropietro

di Gianluca Ginella

«Pamela Mastropietro quando aveva scoperto di essere stata abusata da Innocent Oseghale mentre era sotto l’effetto della droga aveva reagito e lui non aveva esitato a ucciderla», questo uno dei passaggi chiave della sentenza (uscita in questi giorni) con cui, il 22 febbraio scorso, la Corte d’appello di Perugia ha ritenuto sussistere la violenza sessuale quale aggravante dell’omicidio della 18enne romana, avvenuto il 31 gennaio 2018 e che è valsa la condanna all’ergastolo per il 34enne nigeriano.

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Innocent Oseghale

I giudici hanno ricostruito la violenza sessuale subita da Pamela partendo da un bisogno che ritengono evidente avesse la 18enne: assumere droga. Che si sarebbe manifestato «in forma sempre più cogente con il passare delle ore».

Un bisogno avvertito dalla 18enne sin dal 30 gennaio, quando si era allontanata dalla comunità di Corridonia e cresciuto «di intensità divenendo così assillante al punto tale da occupare interamente il suo orizzonte mentale, determinandola così ad abbandonare ogni prudenziale cautela nell’approccio con gli sconosciuti ed a rivolgersi sempre più apertamente a personaggi del tutto occasionalmente incontrati in stazione».

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Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, legali di Oseghale

Pamela, continuano i giudici, di soldi con sé per comprare droga non ne aveva «e dunque il vendere il proprio corpo era l’unica drammatica opzione di “sopravvivenza” che le era rimasta; opzione impostale, suo malgrado, dal bisogno sempre più assillante, non ulteriormente rimandabile, di reperire e assumere lo stupefacente; certo è che Pamela al momento dell’ingresso nell’abitazione in compagnia di Oseghale non aveva ancora assunto lo stupefacente, avendo acquistato la siringa soltanto poco prima in farmacia; certo è che Oseghale aveva volutamente ritardato il momento di assunzione dello stupefacente da parte di Pamela proprio al fine di condurla alla sua abitazione e qui “ricevere” il corrispettivo più o meno esplicitamente concordato e cioè intrattenersi sessualmente con lei».

I giudici continuano dicendo che Pamela aveva, appena entrata in casa di Oseghale, assunto la droga «per placare quel turbine di sofferenza psicofisica che si era scatenato in lei, di certo anche a cagione del protratto vagabondare senza metà non più provvista della copertura apprestata dalle terapie antagoniste somministrate in comunità; certo è che Oseghale, dal canto suo, non poteva non aver preteso – e comunque attendersi – il corrispettivo dell’averle procurato lo stupefacente; rispondendo una siffatta pretesa “creditoria” (o comunque, aspettativa) all’ordinaria logica di chi ben conosce la consueta inaffidabilità del consumatore di stupefacente, incline a dimenticarsi prontamente delle proprie “obbligazioni’ di pagamento (se non onorate in precedenza o almeno contestualmente) non appena ricevuta e assunta la dose; questo era stato, dunque, anche il comportamento di Oseghale il quale, giovandosi della posizione di “credito” in cui si trovava e ben conscio della totale impossidenza economica di Pamela, non avrebbe potuto chiedere altro “corrispettivo” se non quello di tipo sessuale; Pamela, dal canto suo, consapevole del contesto in cui (suo malgrado) era finita e rassicurata dalle esperienze sessuali “protette” vissute nelle ore antecedenti, non poteva non aver richiesto – quale modalità scontata – l’uso della protezione personale (il profilattico, ndr)».

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L’avvocato Marco Valerio Verni

I giudici fanno poi un po’ d’ordine con gli orari e dicono, in base alla telefonata fatta da Oseghale ad un suo amico, Anthony, alle 14,09 del 31 gennaio 2018, che a quell’ora «Pamela era già stata sessualmente abusata da Oseghale il quale, pretendendo alfine di consumare un rapporto senza protezione alcuna in difformità dagli accordi esplicitamente presi (o comunque implicitamente sottintesi) aveva preso dapprima a percuoterla e colpirla per vincere la resistenza della ragazza che, però, diveniva sempre più flebile al progressivo manifestarsi degli effetti dello stupefacente appena assunto; indi, una volta subentrato appieno lo stato di obnubilamento psico-fisico conseguente al completo manifestarsi dell’effetto drogante, aveva portato a termine l’atto sessuale». Pamela era morta non oltre le 17 o 18 di quel giorno «al momento del decesso di Pamela gli effetti dello stupefacente erano ormai in via di risoluzione e lei, progressivamente riprendendo piena coscienza di sé, non poteva non essersi resa conto del fatto che Oseghale l’aveva abusata.

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Pamela Mastropietro

Da ciò l’insorgere di un acceso contrasto fra i due: Pamela, giovandosi di una riacquistata consapevolezza di sé al progressivo sfumare degli effetti dello stupefacente e, anche, di quella più sicura determinazione del proprio agire che è tipica di chi si senta improvvisamente “liberato” dall’afflizione di un bisogno sino a lì impellente e debilitante, si era dedicata ad affrontare con energia quell’inaspettata situazione, trasformando la sua legittima rabbia – per essere stata abusata senza alcuna protezione approfittando della sua minorata e poi nulla capacità di difesa – in aperta e veemente contestazione nei confronti di Oseghale; palesandogli la gravissima offesa subita e – al contempo – l’intenzione di non lasciar “cadere lì” quella turpe azione; quest’ultimo, di fronte ad una così inaspettata reazione della ragazza aveva deciso di risolvere il problema aggredendola fisicamente con le due coltellate sino a portare a termine l’azione omicidiaria mediante le modalità e le forme già incontrovertibilmente accertate; dedicandosi poi, con fredda lucidità, a cercare di far scomparire totalmente le tracce biologiche che avrebbero potuto ricondurre alla sua persona». Per i giudici quindi «A violenza conclusa, il progressivo scemare degli effetti droganti aveva determinato una graduale ripresa di coscienza di Pamela che non aveva esitato a ribadire il proprio aperto dissenso a siffatte modalità dell’atto sessuale, incorrendo però nell’abnorme reazione di Oseghale che non aveva esitato ad ucciderla».

Lo scorso 22 febbraio i legali di Oseghale, gli avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, avevano annunciato che avrebbero letto le motiziazioni della sentenza con cui il loro assistito veniva condannato all’ergastolo, e avrebbero valutato ricordo in Cassazione (a Perugia il processo era tornato solo per valutare l’aggravante della violenza sessuale). Quel giorno ad ascoltare la sentenza c’erano la mamma di Pamela, Alessandra Verni, lo zio Marco Verni, che è il legale della famiglia, parte civile al processo, e anche il papà della 18enne, Stefano Mastropietro, tragicamente scomparso a Roma il 14 maggio scorso, a 44 anni.

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Alessandra Verni con Stefano Mastropietro il giorno della condanna di Oseghale al tribunale di Macerata


(Clicca qui per ascoltare la notizia)

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