Il procuratore sull’indagine di Pamela:
«Sentenza dimostra bontà del nostro lavoro,
smentito chi mi accusava di gravi errori»

OMICIDIO MASTROPIETRO - Giovanni Giorgio dopo che la Corte d'assise ha confermato l'ergastolo per il nigeriano Innocent Oseghale, torna sull'inchiesta svolta e sulle critiche subite. E puntualizza i perché delle scelte fatte a livello processuale e sull'archiviazione di alcune persone

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Il procuratore Giovanni Giorgio al processo di primo grado in tribunale a Macerata

 

«Al momento è stata attestata la correttezza della motivazione della sentenza dei giudici di primo grado ed, implicitamente, la bontà del lavoro svolto dal mio ufficio», così il procuratore Giovanni Giorgio dopo la sentenza della Corte d’assiste d’appello di Ancona che ha confermato l’ergastolo per Innocent Oseghale, accusa di aver ucciso la 18enne Pamela Mastropietro il 30 gennaio del 2018. Il procuratore, in una lunga nota per fare il punto su tutto quello che è accaduto, ha innanzitutto ringraziato «la procura generale di Ancona per aver sostenuto con passione la validità del lavoro svolto dal mio Ufficio, ai fini della condanna dell’Oseghale. Al momento, quindi è stato smentito l’avvocato Marco Valerio Verni, zio di Pamela Mastropietro e difensore – quale parte civile – dei parenti della stessa. Egli, invero, nel corso di un’intervista rilasciata al settimanale “Panorama” dell’11 marzo 2020, mi additò espressamente come responsabile di gravi errori procedurali in relazione alle notifiche di alcuni atti, sì da provocare – per usare le sue parole – “un vizio che c’è sempre stato nel processo e che i due avvocati di fiducia di Innocent Oseghale (…) hanno costantemente ricordato al procuratore della Repubblica di Macerata, Giovanni Giorgio”. Le dichiarazioni del detto legale si sono collocate nel contesto di un articolo, a firma di Carlo Cambi, intitolato (non a caso) “Vizio di forma, ergastolo annullato”, nel quale sono stati evidenziati “moltissimi dubbi” su come “Il Procuratore avesse condotto l’inchiesta”, per aver “fatto di tutto per escludere che Oseghale avesse dei complici”, avendo altresì “rifiutato l’ipotesi che facesse parte della mafia nigeriana; il che avrebbe comportato un rafforzamento dell’accusa” (come del resto più volte affermato pubblicamente dall’avvocato Verni).

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Innocent Oseghale al processo d’appello

L’articolista, peraltro, si è chiesto – temerariamente – perché l’inchiesta sia stata condotta in fretta”, evidenziando espressamente che “mi sarei chiuso per quattro ore in una stanza”, per parlare con l’allora ministro della Giustizia, onorevole Orlando, venuto a Macerata. Indi, sia pur in forma apparentemente interrogativa, è stato altresì insinuato che mi sarei adoperato per “troncare e sopire” l’indagine, al fine di “calmare le acque” in favore dell’amministrazione comunale di Macerata, allora “sottoposta ad un’offensiva politica”. In questa sede, mi limito ad evidenziare che il giornalista si è reso protagonista di affermazioni gravemente lesive della mia onorabilità, visto che non c’è neanche mai stato il presunto incontro riservato in Tribunale – durato quattro ore – tra me e l’on. Orlando, che, in realtà si trattenne con me ed il Presidente pro tempore del Tribunale per quindici minuti circa, nel contesto di una visita istituzionale di cortesia. Orbene, sta di fatto che al momento quanto dedotto nei miei confronti dall’avvocato Verni è stato escluso dalla Corte di Assise di Appello di Ancona, che – altrimenti – non avrebbe confermato subito il verdetto di condanna di primo grado. Tuttavia, dalla lettura dei giornali ho appreso altresì che i rappresentanti dell’accusa in appello – pur avendo chiesto la conferma della pronuncia di condanna dei Giudici di Macerata – hanno espresso – incidentalmente – vari rilievi critici rispetto all’operato del mio Ufficio, pur non riguardanti apparentemente i motivi di appello presentati dai due difensori di fiducia dell’Oseghale e costituenti l’oggetto del processo di secondo grado.

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Pamela Mastropietro

Invero, si è sostenuto che la convivente dell’imputato Oseghale “avrebbe dovuto essere sentita nel processo di primo grado”, avendo – durante le indagini preliminari – dichiarato di aver parlato nella serata dell’omicidio con l’Oseghale, “ma le avrebbe risposto una donna e avrebbe sentito delle voci di uomini in casa”. Orbene, effettivamente – d’intesa con i difensori di tutte le altre parti processuali – abbiamo prodotto alla Corte di Assise di Macerata tutte le dichiarazioni rese nel corso delle indagini dalla detta signora, perché ne fosse comunque valutata la rilevanza probatoria, così rinunciando all’audizione in presenza della stessa. Infatti, alla luce di tutti gli elementi probatori raccolti – specie dei dati incrociati, ricavati dall’esame dei tabulati telefonici – emergeva il dato dirimente che, al momento del non breve ed unico colloquio telefonico con la sua convivente, avvenuto nella tarda serata del 30 gennaio 2018, l’Oseghale si trovasse (ragionevolmente) a bordo della vettura del taxista che lo aveva condotto nel luogo in cui ha abbandonato le due valigie, contenenti i resti di Pamela Mastropietro, come anche emerso dalla deposizione resa dal detto taxista. Tanto ci ha portato ad escludere – in assenza di specifici elementi probatori di segno contrario – che l’Oseghale fosse nella circostanza in compagnia di donne o di altri connazionali, come del resto ritenuto espressamente dalla Corte di Assise di Macerata, a pagina 5 della sua sentenza.

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Il dolore della mamma di Pamela

Inoltre, la giovane donna – nel corso delle sue audizioni – non aveva neanche riconosciuto fotograficamente una delle valigie usate dall’Oseghale per il trasporto del cadavere smembrato, benché essa – sulla base di un’inequivoca documentazione fotografica e delle dichiarazioni rese dallo stesso Oseghale – fosse da tempo ed ancora il 30 gennaio 2018 all’interno della casa abitata dai due. Senza contare che al momento dei fatti (e non solo) detta ragazza era in una condizione di documentata difficoltà psicologica. Per noi, quindi, si trattava di una testimone di dubbia attendibilità. Tuttavia, producemmo i verbali delle dichiarazioni da lei rese nella fase delle indagini, sì da consentire alla Corte di Assise di valutarne la rilevanza. Orbene, osservo che – attesa la ritenuta importanza delle dette dichiarazioni – i rappresentanti dell’accusa in appello ben avrebbero potuto sollecitare ,ai sensi dell’art. 603, comma 3 del codice di procedura penale, l’ascolto diretto della teste, omesso in primo grado. Ma tanto non hanno fatto, limitandosi, quindi, ad esprimere una valutazione critica sull’operato mio e dalla collega Ciccioli, che ha partecipato alle indagini e poi al processo di primo grado. Quanto poi alle segnalate “opacità” delle indagini svolte da me e dalla citata collega (indagini, per vero apparentemente non collegate direttamente al processo svolto a carico dell’Oseghale, avente ad oggetto solo le responsabilità del medesimo per i reati contestatigli), evidenzio che: primo, la posizione processuale del taxista che accompagnò in macchina l’Oseghale nel luogo in cui furono depositate le due citate valigie, già indagato per favoreggiamento personale in favore dell’Oseghale, è stata archiviata per infondatezza della tesi accusatoria, (non solo da me, ma dal giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale. Secondo: altrettanto è accaduto per il cittadino nigeriano Antony Anyanwu, indicato come “il Santo”, già indagato per concorso nell’omicidio della Mastropietro insieme all’Oseghale e ritenuto (non solo dalla Procura, ma dal gip di questo Tribunale non perseguibile, per assenza di prove significative a suo carico. Tanto premesso , ai sensi dell’art. 414 del codice di procedura penale, le dette decisioni possono essere messe in discussione solo a seguito di un provvedimento di  riapertura  delle indagini  ad opera  dal giudice per le indagini preliminari  di questo Tribunale.  Tanto può accadere solo dopo una formale motivata domanda di questo Ufficio, in presenza di  sopraggiunti  nuovi elementi di prova a supporto della tesi accusatoria. Sicché, se emergeranno nuove circostanze in tal senso verrà prontamente e doverosamente avanzata la citata richiesta nei confronti dell’uno o dell’altro o di ambedue. Peraltro, a proposito della presunta ecchimosi sull’avambraccio sinistro della Mastropietro, constatata dal consulente medico legale dott. Tombolini in sede di prima visita ispettiva cadaverica e ritenuta sintomo “di un intervento di una persona, come se l’avesse voluta tenere ferma”,  c’è da dire che – in realtà – detto professionista – nel corso della sua audizione nel corso del processo di primo grado – non ha più confermato la sua prima valutazione, perché non confortata dalle successive indagini specialistiche  (“tutto cade” egli ha detto espressamente, a mia precisa domanda: pagina 16 del verbale di udienza del 20.3.19). Né sul punto – dopo detta precisazione – vi è mai stata alcuna specifica contestazione, anche da parte dei consulenti medico legali della famiglia Verni. Peraltro, all’esito di approfondite indagini, gli esperti del Raggruppamento Investigazioni Speciali dei Carabinieri di Roma non hanno rinvenuto la presenza – nella giornata dell’omicidio – di tracce visibili di altri soggetti all’interno dell’abitazione già occupata dall’Oseghale.

Non diverse sono state le conclusioni degli esperti in materia informatica e telefonica, appositamente nominati. A questo punto, mi sia consentito ricordare che io e la collega Ciccioli abbiamo chiesto ed ottenuto la condanna dell’Oseghale anche per il delitto di violenza sessuale per induzione mediante abuso (con conseguente irrogazione della pena dell’ergastolo), insistendo anche in dibattimento circa la sussistenza di detto delitto, pur non ritenuta fondata a livello gravemente indiziario – durante le indagini preliminari – dai competenti giudici (di Macerata e del Tribunale per il riesame di Ancona); abbiamo chiesto ed ottenuto la condanna (confermata in secondo grado) per spaccio continuato di droga dei cittadini nigeriani Lucky Awelima e di  Lucky Desmond (quest’ultimo anche per la cessione della dose di eroina effettuata – insieme all’Oseghale – nei confronti della Mastropietro. I due (tuttora detenuti), che in un primo momento avevamo ritenuto coinvolti nell’omicidio commesso in danno della Mastropietro, sono stati prosciolti (su nostra richiesta) dal competente giudice per le indagini preliminari (nonostante l’opposizione del legale dei parenti della Mastropietro), tenuto conto dell’esito   esito negativo delle   indagini svolte in loro danno; -abbiamo  chiesto ed ottenuto, in precedenza,  la condanna di Luca Traini per il delitto di strage, aggravato dalla commissione del fatto per odio razziale,  proprio alla pena da noi  richiesta , confermata anche in secondo grado. In ultimo – last, but non least -, auspico che le indagini avviate dalla Procura Generale di Ancona (anche a carico di una donna, soprannominata “La maga”, mai emersa nelle nostre indagini) possano portare a  proficui risultati, sì da colmare le dedotte lacune investigative».

 

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