Marche anello debole del Centro Italia,
e Macerata rischia di rimanere indietro
tra le conseguenze di sisma e pandemia

L'ANALISI - Nell'entroterra c'è chi lamenta: «Stiamo peggio di 5 anni fa, hanno chiuso gli sportelli bancari, le farmacie come i negozi di generi alimentari sono lontani». Chi sta peggio poi sono gli allevatori alle prese con la carenza d'acqua. Intanto la Svimez (associazione per lo sviluppo dell’industria del mezzogiorno) mette in rilievo il divario che si sta formando tra regioni come Toscana ed Emilia e la nostra. Nel mezzo c’è il Maceratese dove sono più le aziende artigiane che chiudono che quelle che aprono (meno 40 lo scorso giugno) e dove il progetto per una fiscalità privilegiata non è mai partito

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Ugo Bellesi

 

di Ugo Bellesi

In queste settimane di caldo torrido che ha tormentato le nostre città certamente in molti avranno pensato che ben peggiori erano le condizioni di vita dei nostri fratelli terremotati costretti a vivere in casette di 40 metri quadri, spesso esiliati in zone lontane da servizi essenziali e privati anche della presenza di un bar, di qualche punto di ristoro e addirittura di un salone riunioni dotato di aria condizionata. Più d’uno di quei terremotati ci ha inviato messaggi che dicevano quasi tutti le stesse cose: «A cinque anni dal terremoto ci troviamo a vivere come allora anzi forse peggio. Infatti ci hanno chiuso gli sportelli bancari, le farmacie come i negozi di generi alimentari sono lontani, vogliono chiudere anche le scuole perché ci sono pochi alunni, e non abbiamo neppure una chiesa vicina in cui pregare». La condizione peggiore è quella degli allevatori che non hanno l’acqua per i loro animali e i rifornimenti sono assicurati soltanto dalle autobotti. E questa situazione non può andare avanti all’infinito in quanto occorre risolvere il problema alla radice, una volta per tutte.

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Marco Rinaldi

«Il problema acqua – ci aveva scritto a suo tempo l’ex sindaco di Ussita, Marco Rinaldi – purtroppo non viene risolto con visione d’insieme per trovare una soluzione definitiva dei problemi (cioè captazione, distribuzione, posizione degli abbeveratoi) ma con soluzione tampone di alto costo ed assolutamente temporanea». Poi aveva aggiunto: «La disoccupazione la fa da padrona e soprattutto aumenta la desertificazione non solo delle persone ma soprattutto del ‘pensiero’». La fuga dei giovani e l’allontanamento delle famiglie dall’area terremotata costituiscono problemi che appaiono irrisolvibili. E proprio Marco Rinaldi ci ricorda che a suo tempo l’Università di Macerata e il Comune di Ussita avevano dato il via ad un progetto finalizzato alla creazione di un territorio a fiscalità privilegiata riguardante tutti i Comuni terremotati del 2016. Si era parlato di una fiscalità “più umana” in grado non solo di rilanciare il sistema imprenditoriale del territorio ma capace anche di attrarre nuovi investimenti grazie alla detassazione da applicare al reddito prodotto in queste aree.

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Ussita

Il progetto, che venne chiamato “modello Ussita”, era stato presentato, nel corso di un convegno del gennaio 2017, da Giuseppe Rivetti, docente di diritto tributario all’Università di Macerata, ed ebbe i complimenti del Quirinale. Le linee guida erano finalizzate alla creazione di una “area a fiscalità agevolata” in cui concentrare programmi di defiscalizzazione e decontribuzione rivolti alle imprese, con la finalità di favorire la ripresa e lo sviluppo di territori colpiti da calamità naturali e quindi in situazioni di grave disagio sociale, economico e occupazionale. Il tutto per agevolare non solo le imprese presenti nella zona ma anche quelle che volessero investire sul territorio con detassazione limitata ai redditi prodotti.

Il criterio della fiscalità privilegiata nel frattempo è stato adottato nel vicino Abruzzo (e non va dimenticato che questa regione, sul tema della ripresa economica, è in diretta concorrenza con le Marche), ma anche in Ungheria e Polonia e i risultati sono positivi per loro come dimostra il fatto che molte aziende italiane vogliono trasferirsi in queste aree privilegiate o vi si sono già insediate. I vantaggi sono notevoli per gli imprenditori ma anche per chi fornisce queste agevolazioni, cioè lo Stato, perché avrà minori introiti fiscali ma in cambio il privato creerà lavoro e quindi diminuirà la disoccupazione dando una spinta notevole alla ripresa economica.

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Una casa distrutta di Ussita (ottobre 2020)

Infatti dobbiamo tener conto che dopo il terremoto abbiamo avuto (e l’abbiamo anche ora) la pandemia con conseguenze gravissime per il tessuto economico e sociale del nostro territorio. I dati Istat, elaborati dalla Cgil, ci dicono che nelle Marche le famiglie in condizioni di povertà relativa sono il 9,3% del totale, mentre nelle altre regioni del centro Italia la media è soltanto del 6,4%. Invece le persone che nelle Marche vivono in famiglie in condizioni di povertà rappresentano il 14,6% della popolazione totale, mentre nelle altre regioni del centro Italia la media è dell’8,9%. Tutto questo è la conseguenza dei posti di lavoro persi e del più frequente ricorso agli ammortizzatori sociali. I nostri lettori ricorderanno gli articoli dedicati alle occasioni perdute che hanno avuto le Marche e soprattutto i “treni persi” dalla provincia di Macerata, che ci hanno condannato ad una condizione di retroguardia non solo con l’Italia del Nord ma anche nei confronti delle altre regioni del Centro Italia. Ebbene, oggi a quelle “occasioni mancate” dobbiamo aggiungere anche il non essere riusciti a creare un’”Area a fiscalità agevolata”; o diciamo meglio «il non aver voluto realizzare una zona a fiscalità privilegiata» come ha fatto il vicino Abruzzo.

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Visso

La Svimez (associazione per lo sviluppo dell’industria del mezzogiorno) ha fornito nei giorni scorsi le stime del nostro futuro economico per il 2021/2022 dalle quali si evidenzia che non solo aumentano le distanze tra il Nord e il Sud d’Italia, ma che anche tra le regioni del centro Italia si sta creando un vero e proprio “distacco”: da un lato Toscana e Lazio, dall’altro Marche e Umbria. Nel 2020 il Pil della Toscana era -10,1, quello del Lazio -7,8; per le Marche era -11,2 e per l’Umbria -8,5. Nel 2021 risulta 5,1 per la Toscana e 4,6 per il Lazio; mentre per le Marche 4,4 e per l’Umbria 4. Nel 2022 sarà 4,1 per la Toscana e 3,9 per il Lazio, mentre per le Marche e l’Umbria sarà 3,8.

Analoga la situazione per quanto riguarda l’occupazione. Nel 2020 in Toscana risultava -1,6 e nel Lazio -2,4; mentre nelle Marche era -2,9 e per l’Umbria -1,4. Nel 2021 risulta 1,7 in Toscana e 1,5 nel Lazio; mentre nelle Marche è pari a 1,2 e nell’Umbria 1,4. Nel 2022 sarà 3,2 in Toscana e 3 nel Lazio; mentre nelle Marche sarà 2,6 e in Umbria 2,5. Quindi mentre fino ad ora si parlava di una “questione meridionale” oggi è tempo di sollevare il problema della “questione Centro Italia” dal momento che anche autorevoli economisti sostengono che “quella del Centro Italia è un’area dalla quale Marche e Umbria sembrano staccarsi scivolando verso sud”.

banca-ditalia-356-650x433-650x433Proprio su questo tema nei giorni scorsi è stata pubblicata l’analisi fatta da cinque studiosi della Banca d’Italia i quali insistono sui problemi collegati alla carenza di infrastrutture sostenendo che le aree collocate lungo le arterie stradali e ferroviarie sulla direttrice Est-Ovest nell’Italia settentrionale, come quelle site sia sul versante tirrenico che quello adriatico per i collegamenti Nord-Sud risultano favorite. Il che penalizza non soltanto il meridione ma in particolare le zone appenniniche interne dell’Italia centrale. Analogamente per quanto riguarda la rete in fibra ultraveloce, come anche la penetrazione della banda larga mobile con tecnologia 4G, ci sono ritardi per le aree appenniniche e anche per la Sardegna. Ma l’analisi si sofferma anche sulle perdite idriche in certe zone del Centro dovute a impianti vecchi e a lesioni nelle tubature. E si denunzia pure la “situazione di sofferenza delle aree appenniniche interne delle aree centrali” per quanto riguarda il fronte dell’elettricità. I cinque studiosi della Banca d’Italia si sono soffermati anche a denunziare il fatto che il livello complessivo degli interventi dello Stato si è ridotto di oltre il 30% (il che risulta superiore ad un punto e mezzo in rapporto al Pil) dal 2009 al 2019. Contrazione che ha colpito tutta l’Italia «ma in maniera maggiore proprio quelle aree in cui il ritardo era più marcato».

A questo punto ci corre l’obbligo di fare una considerazione terra terra. Se c’è una marcata differenza tra i progressi economici compiuti da alcune regioni dell’Italia centrale (Toscana e Lazio) sicuramente, facendo le opportune analisi, ci saranno delle province che, nell’ambito delle Marche, siano già in fase di rilancio economico, mentre altre sono in sofferenza. Così è logico pensare che dove l’industrializzazione è più avanzata (azzardiamo Ancona e Pesaro che hanno anche il vantaggio di più stretti collegamenti con la vicina regione Emila Romagna che è all’avanguardia in Italia) ci siano dati statistici molto più favorevoli rispetto a quelli che si riscontrano nelle altre province. Ad esempio anche nel settore dell’artigianato in provincia di Macerata si è registrata, al 30 giugno, l’iscrizione di 165 nuove imprese, ma poiché le cessazioni erano state 205 il risultato è che abbiamo oggi 40 aziende in meno. Al contrario l’Ascolano ha fatto registrare un incremento di 17 imprese e il Fermano addirittura un aumento di 43 nuove aziende.

Già questi semplici dati parziali ci fanno comprendere facilmente quanto sia erroneo pensare che se ci sono province “locomotiva” ciò farebbe da traino a quelle che rimangono indietro. Infatti lo sviluppo diseguale di una regione ne condiziona lo sviluppo complessivo. Mentre la riduzione dei divari contribuisce alla crescita regionale. Quindi bisogna che si affermi il concetto che «Nessuno deve rimanere indietro», tanto meno le aree terremotate dei Sibillini. Non per niente la cancelliera Angela Merkel ha espresso questi concetti: «L’economia tedesca va molto meglio se Italia e Francia ripartono…La crescita delle aree deboli è la vera locomotiva in una economia integrata».

In questo clima di incertezza sul futuro della nostra economia è da sottolineare che Confartigianato imprese di Macerata-Ascoli-Fermo ha evidenziato con rammarico «il mancato inserimento delle Marche tra le regioni che accederanno alla Decontribuzione del 30%». La conseguenza sarà che questo provvedimento di ausilio alle imprese, poiché sarà applicato a macchia di leopardo, creerà inevitabilmente una ulteriore disparità concorrenziale tra le aree d’Italia, in particolare «penalizzando il nostro Distretto della calzatura già in forte crisi».

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