«Mio padre curato col plasma»
Ora la figlia va a caccia di “Iper-eroi”

COVID - Valentina Matteucci racconta l'esperienza vissuta a fianco del papà e la campagna social creata per sensibilizzare alla donazione nelle Marche. «Era in una situazione tale che non potevano usare il farmaco Remdesivir, con il trattamento si è ripreso»

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Valentina Matteucci

 

di Francesca Marsili

«Quando mi hanno comunicato che avevano finalmente trovato le sacche di plasma iperimmune per curare mio padre ho tirato un respiro di sollievo. Ma a quel punto la banca era rimasta quasi a secco, non ne restava per molti altri, ed è stato in quel momento che ho capito che dovevo fare qualcosa per aiutare a reperire quell’emoderivato così prezioso». Ora che Giuseppe Matteucci, per tutti Pino, di Montegranaro, malato di covid con una polmonite interstiziale bilaterale è fuori pericolo grazie anche alle infusioni di plasma iperimmune, sua figlia Valentina, ha deciso di raccontarne la storia e di come questa esperienza l’abbia segnata e persuasa al punto di creare una campagna social volta alla sensibilizzazione della donazione del superplasma in tutte le Marche. Matteucci ha 63 anni, nessuna patologia pregressa e mai stato fumatore. Il 29 ottobre dopo aver rilevato una temperatura corporea di 38,5 ed una saturazione che iniziava a sfiorare i livelli di allerta, contattato il suo medico di base, l’uomo si è sottoposto ad una radiografia ai polmoni il cui referto ha evidenziato segni riconducibili al Covid. Matteucci ha iniziato immediatamente la terapia domiciliare con eparina, cortisone, antipiretico e antibiotico alla quale sembrava rispondere bene e nel frattempo è arrivata anche la conferma della positività al virus col tampone molecolare. Ma domenica 1 novembre la situazione precipita: l’ossigenazione del sangue tocca l’86 per cento, Matteucci è in sofferenza polmonare.

iperimmune-1-325x325«Se ci siamo accorti della gravità della situazione – racconta Valentina – è stato solo grazie alla scrupolosità del medico di base, Letizia De Angelis che ci aveva suggerito di non perdere mai di vista l’ossigenazione tramite il saturimetro». Dopo aver attivato il team Usca, l’uomo viene trasportato d’urgenza in pronto soccorso e sottoposto ad emogas che ne evidenzia le difficoltà respiratorie. Il giorno successivo, 2 novembre, viene ricoverato in terapia subintensiva del reparto malattie infettive dell’ospedale Murri di Fermo, supportato dalla ventilazione meccanica con ossigeno ad alti flussi. Da quel momento la porta della sua stanza resta sigillata, accessibile solo al personale sanitario. Matteucci presenta una respirazione troppo compromessa ed in questi casi la terapia con il Remdevisir, farmaco antivirale utilizzato per combattere il Covid-19, non viene somministrata. «Suo padre è un soggetto che potrebbe essere curato con il plasma iperimmune, ma bisogna trovarlo, lo abbiamo messo in lista- dicono i medici – nel frattempo può migliorare o essere intubato». Alla figlia e i suoi familiari, sospesi e angosciati da un grande senso di impotenza, senza alcun contatto umano con l’uomo, non resta altro che sperare che quelle sacche di plasma arrivino. Poi finalmente la bella notizia che la famiglia aspettava: «Abbiamo trovato le sacche di plasma iperimmune – annuncia la dottoressa – arriva da Pesaro» e Matteucci il 5 novembre inizia la terapia. «Dopo la seconda infusione mio padre ha iniziato a respirare decisamente meglio – racconta sollevata la figlia – ora ha terminato il protocollo che prevedeva tre infusioni ed è stato trasferito in degenza e gli viene somministrato ossigeno a flussi ogni giorno più bassi. La strada – aggiunge la ragazza- sarà lunga ma sembra finalmente essere in discesa».

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Il letto di Pina Matteucci

Ma Valentina non si ferma qui. Sebbene abbia il cuore sollevato perché la paura di perdere suo padre sembra pian piano lasciare spazio alla speranza, a lei non basta. Qualcuno da qualche parte ha donato permettendo a Matteucci di poter essere curato ed ora la figlia, sente il bisogno di fare qualcosa per sensibilizzare alla donazione di quel plasma ricco di anticorpi che sembra restituire risultati incoraggianti nella lotta al Covid-19. Così, attraverso la sua esperienza non solo personale ma professionale Valentina – che nella vita è una consulente marketing- lancia la campagna social “IperEroi”. Il plasma iperimmune è una delle terapie proposte nell’ambito della pandemia innescata dal Coronavirus Sars CoV2. Questa, prevede l’utilizzo del plasma di pazienti guariti dall’infezione, al fine di fornire ai malati gli anticorpi utili a contrastarne gli effetti. Ma non tutti i guariti possono donare, tra loro ad esempio ci sono le donne che hanno avuto una gravidanza anche se non portata a termine. «Già a maggio, successivamente all’attivazione del protocollo di attuazione della Regione Marche, io e mio marito, entrambi freschi di anticorpi dopo aver contratto il virus, sentivamo il bisogno di donare ma non riuscivamo a capire se idonei – spiega l’ideatrice della campagna -. Poi attraverso Giuseppina Siracusa, primario di medicina trasfusionale del Murri di Fermo, sono venuta a conoscenza della carenza di plasma, mi sono decisa a muovermi in sostegno alla sensibilizzazione». Con il suo progetto di comunicazione non convenzionale la giovane sottolinea che non vuole scavalcare nessun ente ma essere di supporto alla sensibilizzazione, e lancia un messaggio che invita ad essere più che un supereroe, ma un IperEroe grazie al plasma iperimmune. La campagna è online sia su Facebook che Instagram al nome “IperEroi_donatoriDiPlasmaIperimmune”. Nelle Marche, per chi è guarito dal Coronavirus, dopo un tampone negativo e vuole donare plasma i poli di riferimento sono il Servizio di medicina trasfusionale di Ancona, di Pesaro e di Fermo, perché qui sono agganciate le unità operative di Malattie infettive. «Abbiamo poche armi – conclude Valentina – una è nelle vene dei volontari». Dal suo letto d’ospedale Matteucci, ora che si sente meglio, i primi pensieri sente il dovere di rivolgerli a tutti coloro lo hanno assistito e curato fin dal primo momento. Con un telefonino in mano, attraverso le sua figlia Valentina dice: «Nel pronto soccorso del Murri di Fermo, prima di essere ricoverato, nonostante fossimo agli inizi di questa seconda terribile ondata era un campo di battaglia. I sanitari gestivano una mole significativa di pazienti senza farmi sentire abbandonato nemmeno per un istante – racconta l’uomo- in terapia intensiva sei soltanto tu, fisicamente già provato ed una porta che attendi soltanto che si apra. Anche qui, il supporto medico e psicologico del personale è stato fondamentale. Il mio grazie – conclude – va a tutti loro».

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