Il Pd resiste, ma Ceriscioli non è Bonaccini:
con un segnale di discontinuità
nelle Marche la partita è aperta

IL COMMENTO - Da oggi termina la fase del tripolarismo introdotta per circa un decennio dal M5S. Gli errori della Lega in Emilia Romagna, Zingaretti che si ritrova un aumento di consenso inaspettato e la ricaduta sul voto di primavera nella nostra regione

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di Fabrizio Cambriani 

Caricato da snervanti attese e da decisive aspettative, il voto in Emilia-Romagna si è rivelato uno straordinario successo per il Partito Democratico. Un pesante contrappasso per quanti, media in testa, già ne prefiguravano una sua sonora ed esiziale sconfitta. La narrazione mediatica da tempo predisposta e, dai giornali acriticamente rilanciata, di sfida all’Armageddon, ne ha paradossalmente esaltato ogni merito. Molto più prosaicamente mettiamola così: il culo di Zingaretti ha funzionato anche stavolta. E dire che, nei colloqui riservati con esponenti locali del partito, relativi alle elezioni regionali, lo Zinga lasciava trasudare solo pessimismo e rassegnazione. Una sorta di amara presa d’atto di un imminente collasso che, bene che sarebbe andata, avrebbe salvato dal tracollo solo la Toscana. Forse…

Invece il Pd tiene e, in termini assoluti aumenta considerevolmente il proprio consenso. Assediata da un manipolo di fanfaroni capaci solo di baciare cotechini o minacciare giornalisti: vi faremo un culo così! (copyright del vicesindaco leghista di Ferrara, Nicola Lodi), l’Emilia si è silenziosamente mobilitata andando alle urne per confermare la continuità di governo. Se gli spin doctor leghisti avessero letto i libri dell’indimenticabile Edmondo Berselli, sicuramente non avrebbero commesso la sequela di errori che invece hanno infilato. Resta presente e pressante un problema che vale in tutto il territorio nazionale: l’aver trasformato, nel tempo, la provincia in periferia. Se le città, i centri urbani premiano il centrosinistra, i piccoli paesi, i sobborghi sperduti, votano tutti a destra. Evidentemente qualcosa non funziona più. L’abolizione delle amministrazioni provinciali, e delle comunità montane – approvate sull’onda emotiva dell’antipolitica e di favolosi risparmi – deve aver trasformato il cittadino in suddito, sempre più abbandonato a sé stesso.

Con il voto di queste regionali termina la fase del tripolarismo introdotta per circa un decennio dal Movimento 5 Stelle. La loro spinta propulsiva si arresta su percentuali ormai risibili per chi, solo due anni fa, poteva vantare il gradimento di un terzo dell’intero elettorato. Casomai volessero sopravvivere – cosa di cui dubito, poiché le decisioni, nonostante gli impietosi numeri, restano in mano a pochi e impreparati pasdaran – dovranno accontentarsi di fare la ruota di scorta. Il confronto politico futuro è ormai segnato: si ritorna a un bipolarismo tra destra e centrosinistra. E infatti non è un caso che il fenomeno di piazza delle Sardine abbia completamente ignorato i 5 Stelle, che delle piazze e della partecipazione avevano fatto, un tempo non remoto, la loro bandiera.

Da oggi tutto diventa più contendibile. Specialmente in vista delle regionali di maggio. Adesso, la Lega di Salvini accusa tutti i contraccolpi della crisi di governo aperta in agosto. I suoi candidati perdono. Le strategie studiate per le campagne elettorali sortiscono effetti contrari. Tutti segnali incoraggianti per chi sta dall’altra parte dello schieramento politico. Ma anche per gli alleati storici della Lega che vorrebbero approfittarne per marcare le differenze e piazzare le proprie bandierine.

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Luca Ceriscioli e Nicola Zingaretti

Questo vale anche per le Marche. Il dibattito sin qui stanco e prevedibile è facile che subisca, nei prossimi giorni, un’improvvisa accelerazione. Il punto da cui partire è che la partita è tutta aperta. E va giocata con estrema attenzione. Con i risultati di ieri è finito il tempo del tattico attendismo. Bisogna adesso marcare il terreno e tracciare un evidente segnale di discontinuità. Individuare il perimetro delle alleanze e le individualità che possano il più possibile allargare questo perimetro. A differenza dell’Emilia-Romagna, Ceriscioli non può rivendicare la tendenza favorevole del buon governo di Bonaccini. Ciò, non solo per colpe proprie, ma anche per sfortunate circostanze. Occorre una nuova stagione, con nuovi protagonisti che sappiano pescare consenso nel mare aperto della società civile, ormai refrattaria alle decisioni delle segreterie di partito. Perfino di quelle, come nel caso dei 5 Stelle, che si sono preclusi con una decisione verticistica – salvo poi dimettersi, come ha fatto Di Maio dalla guida nazionale e dopo pochi giorni – l’opportunità di poter svolgere un ruolo di assoluto protagonista in questa fase di rinnovamento. Anche nel loro interno è giunto il momento di prendere in seria considerazione l’eventualità di disobbedire alle demenziali leggi del branco che in due anni li hanno portati all’estinzione. Con il risultato che il loro ex capo politico, in un ora di discorso, abbia tenuto a sottolineare quanto le truppe siano state sleali e traditrici, mentre non abbia nemmeno speso un nanosecondo per fare una doverosa autocritica.

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