L’informazione nazionale
non conosce Banca Marche

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liuti giancarlo

 

di Giancarlo Liuti

Come funziona l’informazione televisiva e cartacea a diffusione nazionale lo si può dedurre dalle sue cronache, dalle sue immagini, dalle sue interviste e dai pareri di suoi autorevoli esperti circa la misera sorte di quattro istituti di credito (Banca Marche, Banca Etruria, CariFerrara e CariChieti), i cui correntisti-investitori sono stati tratti in inganno e hanno subito la falcidia dei loro risparmi. Oltre ad essere la brutta storia del fallimento delle suddette banche senza alcuna significativa differenza dell’una dall’altra, questa è la pessima storia abbattutasi sui correntisti-investitori senza alcuna significativa differenza degli uni dagli altri (nel complesso i risparmiatori che hanno perso l’intero investimento sono 10.500 per le obbligazioni subordinate e 130.000 per le azioni).
E come s’è comportata l’informazione a livello nazionale? Occupandosi esclusivamente delle vicende di Banca Etruria, dei suoi amministratori e dei suoi correntisti. Sono circa due mesi, infatti, che ogni qual volta un giornale o un telegiornale dà spazio al fallimento di quelle quattro banche salta fuori soltanto la vicenda dell’ Etruria. Infuriate manifestazioni pubbliche dei correntisti ingannati? Certo, ce ne sono dovunque. Ma nelle prime pagine e nei titoli di testa s’è dato risalto solo a quelle riguardanti l’Etruria. Severi giudizi sul comportamento degli amministratori? Certo, ma solo di quelli dell’Etruria. Immagini di corredo? Tante, ma, sempre, a caratteri cubitali, Banca Etruria, Banca Etruria, Banca Etruria. E le altre? Come se non ci fossero. Una massiccia pressione mediatica, dunque, grazie alla quale l’opinione pubblica italiana è indotta a ritenere che i correntisti beffati siano solo quelli dell’ Etruria. La qual cosa, per le reciproche influenze fra informazione, politica, governo e magistratura, potrebbe determinare – le vie del Signore sono infinite – provvedimenti in soccorso soprattutto degli “ingannati” di Banca Etruria. A che si deve questa smaccata parzialità del giornalismo nazionale?

La protesta dei risparmiatori a Roma

La protesta dei risparmiatori a Roma

La ragione principale sta nel fatto che le vicende di Banca Etruria fanno più notizia perché “godono” di tre importanti “vantaggi mediatici” che sono causa ed effetto dell’enorme esposizione negli organi d’informazione. Il primo “vantaggio” è politico: uno degli ex amministratori di tale istituto si chiama Pier Luigi Boschi ed è il padre di Maria Elena Boschi, ministro delle riforme nel governo Renzi, la qual circostanza ha dato luogo a un’accesa lotta parlamentare contro la Boschi accusata di conflitto di interessi e perciò colpita da una mozione di sfiducia personale che poi si è faticosamente risolta a suo favore. E purtroppo per Banca Marche nessuno degli ex amministratori ha una figlia ministro e neanche sottosegretario e nemmeno deputato e nemmeno senatore e nemmeno portaborse. Quando si dice la jella!
Il secondo “vantaggio” è tragico: il 28 novembre scorso, a Civitavecchia, un correntista di Banca Etruria che aveva perso i propri investimenti in obbligazioni subordinate si è tolto la vita e quest’orribile episodio, cui sono seguite indagini giudiziarie per il reato di “istigazione al suicidio”, ha gettato benzina sul fuoco del già incandescente interesse dell’informazione per l’Etruria. Nell’area di Banca Marche, invece, non ci sono stati suicidi e questa è certamente una buona notizia, ma con la pessima aria che tira nell’universo mediatico non ha certo giovato alle vicissitudini dei correntisti marchigiani perché se un suicidio, magari solo tentato, ci fosse stato pure fra di loro le cronache nazionali si sarebbero degnate di parlare anche di Banca Marche (ovviamente mi scuso per una così paradossale e sarcastica considerazione, nella quale non manca però un commosso pensiero alla memoria di quella povera vittima della disperazione, ma, ripeto, è questa l’aria che tira nell’universo dei media).
Il terzo “vantaggio” è recentissimo: il ritrovamento, coll’immediato e facile disinnesco effettuato dai carabinieri, di un rudimentale marchingegno esplosivo, quasi un residuo dei botti di fine d’anno, davanti alla filiale perugina di Banca Etruria, la qual cosa è naturalmente finita, con “esplosivo” risalto, nell’informazione nazionale (titolo a tutta pagina: “Banca Etruria, allarme attentato. Una bomba davanti alla filiale”, e vien da pensare ai terroristi che hanno funestato Parigi). Anche stavolta – e ironicamente ripeto purtroppo – a nessuno, nella nostra regione, è venuta l’idea di piazzare almeno un petardo davanti, poniamo, a una filiale maceratese di Banca Marche ed ecco un ulteriore motivo del perdurante silenzio che incombe sul ferale destino dei risparmiatori-investitori di questa dimenticata terra adriatica.

Manifestazione a palazzo Chigi

Manifestazione a palazzo Chigi

Ma ora lascio perdere “Banca Etruria” e passo a un argomento più generale che anch’esso riguarda l’informazione nazionale. Il “Sole 24 ore”, il “Corriere della Sera”, la Repubblica” e i telegiornali di Rai e Sky hanno ospitato pareri di esperti secondo i quali i correntisti-investitori dei quattro istituti di credito falliti avrebbero dovuto sapere, prima di investire i loro risparmi in obbligazioni subordinate e in azioni, l’alto rischio di quelle operazioni, per cui l’avere accettato tali proposte da parte delle banche è frutto della loro ignoranza. E, come dice un antico proverbio, chi è causa del suo mal pianga se stesso. Da questa teoria risulterebbe perciò che una banca ha il diritto di perseguire interessi tutt’affatto diversi e addirittura opposti a quelli dei propri correntisti e in sostanza è una loro “controparte”. Così, nel mio piccolo di vecchio e mediocre laureato in giurisprudenza, ho preso un vocabolario e ho cercato la definizione letterale della parola “controparte”. Eccola: “Controparte è la parte avversaria in un giudizio civile, in una controversia o in una trattativa”. Una banca, dunque, sarebbe la “parte avversaria” di chi le affida i propri risparmi!
Un esempio terra terra di “controparti”. Tizio si rivolge a Caio per l’acquisto di un’auto usata ed è logico che in tale trattativa Caio esalti oltremisura i pregi della macchina da vendere e ne nasconda i difetti, mentre Tizio, per non cadere in inganno, metta a frutto la propria esperienza e prima di concludere l’affare accenda il motore dell’auto propostagli , ne ascolti il suono, verifichi il funzionamento dei freni e dei fari, controlli l’usura delle gomme e lo stato dell’abitacolo interno. Caio, insomma, è controparte di Tizio e Tizio è controparte di Caio. Perfetto.
Ma i “soloni” dell’alta finanza, alcuni dei quali sono proprietari di giornali e televisioni, affermano che lo stesso rapporto di “controparte” vi sia fra una banca e i suoi correntisti. Si crede cioè che per una banca sia corretto perseguire i propri interessi contro gli interessi dei correntisti – che oltretutto potrebbero esser considerati i “finanziatori” della banca – fino a ridurli sul lastrico. Prima di affidare i loro risparmi a una banca, quindi, i correntisti dovrebbero “informarsi” – da chi, dove, quando, nei bar, per strada? – sui rischi delle proposte che gli vengono fatte dalla banca , i cui dipendenti – come è ripetutamente accaduto – hanno l’ordine, impartito in malafede dai loro superiori, di garantirle sicure e persino convenienti. E i correntisti, magari dopo un pluriennale e sperimentato rapporto di totale fiducia con la “loro” banca, non dovrebbero crederci? Può darsi, intendiamoci, che io sia incorso in qualche sciocchezza e in tal caso mi cospargo il capo di cenere. Concludo però con una mesta domanda: ma in che razza di mondo viviamo?



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