Il primo presidente di Banca Marche, 
Alfredo Cesarini: “Sono pieno d’amarezza”

INTERVISTA - “Eppure il modello c’era: la via regionale del credito ed esisteva, con i sette anni di crisi economica, il laboratorio ideale per esercitarlo”. Intanto i risparmiatori ‘traditi’ chiedono che si accertino responsabilità e che i colpevoli paghino. ‘Resa dei conti’ in Veneto Banca: chi ha voluto ‘affibbiare’ azioni che negli ultimi tre anni non è stato possibile, data la crisi, per l’ex Popolare liquidare?

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La sede di Banca Marche a Macerata, in corso della Repubblica

La sede di Banca Marche a Macerata, in corso della Repubblica

 

di Maurizio Verdenelli

La ‘mercedes’ color argento parcheggia a pochi passi (in linea d’aria) di quella che fu la ‘Casa Rosada’, quartier generale dell’Armada finanziaria della provincia di questa terra già orgogliosa capitale del ‘miracolo economico marchigiano’, l’autentica ‘Fiat’ di un capoluogo ora in declino, la Cassa più patrimonializzata ed importante del Centritalia: in una parola, la Cassa di Risparmio della provincia di Macerata, negli ultimissimi anni Carima e basta. Poi ‘Banca delle Marche’ perché si rifiutò, con scelta coerente, di tornare seppur solo semanticamente all’antica denominazione di Cassa per percorrere la via nuova e moderna degli istituti di credito, già segnalata dalla legge Amato (che divise le antiche ma solidissime ‘banche’ papaline in Spa e Fondazione). Si è visto com’è finita…

Alfredo Cesarini al centro tra Ermanno Pupo e Ugo Bellesi

Alfredo Cesarini al centro tra Ermanno Pupo e Ugo Bellesi

“Sono pieno d’amarezza” dice, uscendo dalla lucente ‘mercedes’ il dottor Alfredo Cesarini, primo presidente, riconfermato per due mandati della Banca delle Marche che in appena vent’anni ha chiuso la sua esistenza destinata ad essere millenaristica, formata per resistere ai ‘tempi nuovi’, all’integrazione europea ed ancora, bla bla, all’assalto dei colossi finanziarie europei (tipo Deutsch Bank) che avrebbero altrimenti fatto del credito regionale una sola polpetta. Invece in appena due decenni, più nulla è rimasto della triplice alleanza formata da Macerata, Pesaro e Jesi – quest’ultima Cassa aderì per amor di Fontedamo (un centro direzionale abnorme per le esigenze di una sola banca) altrimenti sarebbe rimasta con Cariplo che rilanciò in extremis ma ormai senza successo nel tentativo d’opporsi all’accorpamento che gli sottraeva la florida cassa jesina. Vent’anni, niente rispetto alle storie centenarie di quelle delle tre contraenti.
Già, dottor Cesarini, ma quello che è accaduto…? (taglia corto) “Siamo il passato, solo il passato…”

Volevo dire: poteva andare peggio di così, dopo tante speranze, dopo tanta diplomazia per mettere insieme (almeno tre) sorelle inconciliabili, le casse marchigiane tutte gelose della propria autonomia e scelte? Peggio di così, difficile…eppure il modello c’era: la via marchigiana del credito. C’era inoltre uno scenario ideale per percorrerla: questi sette, otto anni di crisi economica generale hanno rappresentato un laboratorio per verificare questo modello che nasceva dalla fatica, dalla laboriosità e dall’idea del risparmio. Tutti principi ugualmente fortissimi nel lavoratore ed imprenditore della nostra terra.  Altri tempi, ricorda, c’era anche lei come cronista a seguire, a nutrire quel sogno…”

BANCA MARCHE 97‘Avevamo cuori sinceri, dottor Cesarini’. L’ex n.1 di Banca delle Marche se ne va a passo lesto: è stato sempre riservatissimo. Foto personali, ai suoi tempi, quasi zero (per di più strappate dall’abilità di un fotoreporter che si chiamava Pietro ‘Briscoletta’ Baldoni) dichiarazioni e interviste, idem. La riservatezza fatta persona, Cesarini, espansioni al massimo nei confronti di chi, trovandosi lì solo per caso, e cioè in forza al suo curriculum – direttore generale dell’Onu, in Italia, per ultimo – era stato come presidente della Fondazione Carima, il motore diplomatico della coesione fra le ‘tre sorelle’. Parliamo del compianto Giorgio Pagnanelli. Intanto la ‘piazza’ (ma pure il Palazzo) per troppo tempo cloroformizzato reagisce e ‘ruggisce’ chiedendo la restituzione dei capitali affidati in mani ritenute sicure, fino a ieri. Storia vecchia. Nel precedente ‘buco’ della Carima (13 miliardi di vecchie lire) a metà degli anni 80, a pagare –si disse- furono ‘gli stracci’. Ma SuperCassa superò brillantemente l’iceberg e i risparmiatori non ne ebbero pena. Era un segnale che venne sottovalutato, data la fiducia di cui godeva giustamente la Cassa. Tuttavia non si comprese appieno che qualcosa era cambiato nel costume e nella storia finanziaria marchigiana. Così l’Armada, un po’ penalizzata nei meccanismi interni dalla nascita del nuovo ‘soggetto’ non fu più l’Armada e la Casa Rosada non più al centro di tutto, in fondo al Corso.


Per dare discontinuità a questa storia da ‘crediti deteriorati’ (senza speranza) occorre, come dice il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ‘tutelare il risparmio’, occorrono ‘un accertamento rigoroso e attento delle responsabilità”,
dunque niente ‘sconti o impunità, “trasparenza, correttezza ed etica degli intermediari bancari e finanziari” che evidentemente sono mancati nei casi recenti. E mentre Bankitalia assicura che negli anni del commissariamento non sono stati venduti prodotti ‘pericolosi’ come le obbligazioni subordinate, anche dall’assemblea di Veneto Banca, sabato scorso (che tanto doloroso riverbero ha avuto sull’economia marchigiana con la trasformazione dell’ex popolare in Spa) è arrivata la richiesta di fare chiarezza e di perseguire i responsabile di una situazione che vede 7,1 miliardi di ‘crediti deteriorati’. In particolare alcuni soci hanno chiesto se fosse vero che le azioni del capitale sociale ‘inesigibili’ (dunque non pagate negli ultimi tre anni a causa della crisi) fossero state liquidate in realtà ad alcuni privilegiati ed eventualmente a chi.

pierluigi bolla

Pierluigi Bolla

Il presidente Pierluigi Bolla ha assicurato ‘rottura completa con il passato’ annunciando il ricorso al giudice per ottenere il risarcimento del danno. Altri interventi –un refrain sentito in situazioni similari- hanno richiesto di sapere l’entità dei gettoni di presenza degli attuali amministratori, succeduti a quello dello ’sbilancio’. La risposta –ancora un refrain- è stata questa: i ‘gettoni’ sono nella media. Peccato che in altre medie significative, ad esempio quella dell’indice Npl  (scarsa qualità del credito) Vb non ci sia, attestandosi al valore 70 rispetto a quello medio del 16. Tant’è! ‘In cauda venenum’ ha ricordato l’ottimo nuovo Ad di Veneto Banca, Cristiano Carrus che ha promesso un ‘repulisti’ dirigenziale tra le prime misure anticrisi. Interrogativi girano nell’aria ed inquieta fosca della crisi di questa superbanca: chi ha venduto azioni che hanno perduto l’81% del proprio valore? E, soprattutto, chi ha fatto pressione sui dipendenti per farle vendere? Qualche nome trasvolava alto all’interno della mega tensostruttura, sabato scorso, di Volpago al Montello all’ombra della palladiana villa Spineda circondata da un doppio cordone di cani, carabinieri e Ps in tenuta antisommossa, cani poliziotto e metal detector. Tanto rumore, fortunatamente per nulla, considerata la civiltà degli oltre seimila soci di Venetobanca che complessivamente ne conta ottantottimila: veneti, marchigiani e pugliesi, una grande popolazione italiana di lavoratori e risparmiatori ‘traditi’.



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