Franco Gazzani, ex presidente della Fondazione Carima, ha ripercorso questa mattina le vicende di Banca Marche mettendo in luce il punto di vista della fondazione
Franco Gazzani con l’attuale presidente Rosaria Del Balzo
di Alessandra Pierini
(Foto di Lucrezia Benfatto)
Il crac Banca Marche dal punto di vista della Fondazione cassa di risparmio di Macerata, socia al 22% dell’istituto jesino. A ripercorrere quanto accaduto con gli occhi dell’ente e per averlo vissuto in prima persona l’ex presidente Franco Gazzani, con la benedizione dell’attuale presidente Maria Rosaria Del Balzo Ruiti, seduta al suo fianco nella nuova sede di palazzo Ricci.
L’imprenditore documenta con verbali di consigli di amministrazione, lettere e persino sms, «tutti atti già consegnati alla procura due anni fa» quanto detto e fatto a nome del Cda e dell’organo di indirizzo della Fondazione dal 2006 al 2013 prima del commissariamento. «La Fondazione Carima è diversa dalle altre fondazioni – ha voluto sottolineare Gazzani – e chi attacca il sistema delle fondazioni sbaglia a non distinguere. In primo luogo la Fondazione Carima non è mai intervenuta nella gestione mentre le altre lo hanno fatto in maniera pesante. Solo noi nell’aprile 2013 abbiamo chiesto all’assemblea dei soci l’azione di responsabilità e siamo stati messi in minoranza. Solo noi a giugno del 2013 non abbiamo sottoscritto il prestito subordinato e per finire solo noi a gennaio 2014 abbiamo avviato un’azione di risarcimento danni alla Pricewaterhouse che ha rilasciato le certificazioni per l’aumento di capitale del 2012».
Oltre alle azioni intraprese senza l’appoggio delle altre fondazioni, Gazzani sottolinea la visione differente su ulteriori questioni quali la dismissione del patrimonio immobiliare di Banca Marche, la politica dei dividendi «secondo noi – continua Gazzani- troppo generosa rispetto alle reali possibilità della banca» e per finire il ruolo dell’ex direttore generale Massimo Bianconi. Punti sottolineati pubblicamente all’assemblea dei soci di aprile 2013 quando Fondazione Carima chiese di votare l’azione di responsabilità.
L’ex presidente ripercorre i momenti cruciali nella storia dell’istituto jesino.
VENDITA NEL 2007 – «Ci siamo trovati – racconta Gazzani – tra l’opzione “stand-alone” e quella dell’aggregazione. Noi non abbiamo voluto la vendita, rappresentando così una volontà diffusa sul territorio. E’ anche da dire che tutti parlavano di vendita ma nessuno ha realmente fatto un prezzo per acquistarla».
L’EX DIRETTORE GENERALE MASSIMO BIANCONI – «Non ne ero molto soddisfatto tanto che sono stato tagliato fuori dal rinnovo del contratto. A luglio del 2009 scrissi una lettera all’allora presidente Michele Ambrosini – e mostra la missiva protocollata – in cui chiedevo perché nessuno mi aveva informato tanto che lo avevo saputo dallo stesso Bianconi quando mi aveva chiamato per ringraziarmi. Almeno la proprietà doveva essere informata. Ambrosini mi rispose che aveva detto a Lauro Costa di informarmi e che pensava me lo avesse riferito».
Il segretario della Fondazione Renzo Borroni
NOMINA DI FRANCESCO CESARINI E GIUSEPPE GRASSANO NEL CDA – «Oggi c’è stata una rivoluzione nella Fondazione ma prima era governata dalle categorie. Io stesso sono stato presidente su indicazione di Confindustria. Nel 2011 cominciarono a diffondersi dei rumors sulle condizioni di Banca Marche. Nell’estate di quell’anno Giuseppe Grassano, che era già stato consulente della Fondazione mi disse che a Milano si diceva che diverse cose non andavano. Fu nominato consulente della Fondazione. A novembre riuscì a farmi avere due relazioni piuttosto preoccupanti. Le portai in Consiglio ma ci tranquillizzarono dicendoci che la Pricewaterhouse stava facendo le certificazioni. Nel dicembre 2011, durante un’assemblea il vice presidente Roberto Massi (ora venuto a mancare) chiese come andava la banca e Lauro Costa, nostro rappresentante nel Cda rispose Tutto bene. A gennaio 2012 arrivò la famosa lettera di Bankitalia che chiedeva di inserire persone competenti nel Cda. A quel punto abbiamo inserito Francesco Cesarini e Giuseppe Grassano, escludendo Germano Ercoli e Mario Volpini. Due mesi dopo Cesarini e Grassano non votarono la famosa semestrale che prevedeva due milioni di utili che si sono poi rivelati tutt’altro a fine anno».
DIMISSIONI DI GIULIANO BIANCHI – La carrellata di carte continua con le dimissioni di Bianchi correttamente protocollate. «Giuliano Bianchi si è dimesso il 15 dicembre del 2012 ma le sue dimissioni non sono mai state ratificate fino alla fine».
PERIZIE – «Abbiamo la testimonianza di un ingegnere che si è autodenunciato e in una lettera ha fatto presente che le perizie dovevano essere fatte come diceva la banca».
PRESIDENZA DI MASERA – «Dopo le dimissioni di Lauro Costa rivendicavo la presidenza a Macerata. Avevamo il candidato ideale, era Mario Girotti di Bnl. Dall’altra parte saltò fuori il nome di Rainer Masera. Espressi tutte le mie perplessità ma Pesaro e Jesi fecero l’accordo. Allora inviai un sms a Gianfranco Sabbatini della fondazione di Pesaro dove gli dicevo – e legge – che aveva interrotto un rapporto di 18 anni. Anche noi abbiamo votato Masera, era un atto dovuto perchè doveva avere la forza di rappresentare tutti. Poi però Masera, deluso dalla mancanza di una cordata di imprenditori che gli era stata annunciata, si dimise».
Gazzani conclude commentando l’azione di salvataggio di Banca Marche operata dal governo: «E’ la prima volta in Europa che succede una cosa del genere. Si è salvato persino il Monte dei Paschi di Siena e per noi potevano inventare qualcosa di questo genere. La Fondazione Carima è vittima. Per fortuna non sottoscrivendo la subordinata al 12,5% oggi la Fondazione ha 10 milioni di euro in più». Conclude con un appello alla magistratura: «La vicenda Banca Marche è così grave che spero la procura ci metta le mani in maniera forte. Qui stiamo parlando di miliardi di euro scomparsi, non può essere stata la crisi, c’è chi ha lucrato. Si rintraccino i responsabili in modo rapido. La Fondazione è stata messa in minoranza perchè voleva scoprire la verità».
A sostenere il rigore del comportamento l’attuale presidente Del Balzo: «Abbiamo incontrato tutte le altre fondazioni italiane coinvolte e noi siamo gli unici ad avere una maggiore prospettiva futura. Non saremo più le fondazioni di una volta con grandi erogazioni ma questo non vuol dire che con una progettualità interna non riusciremo a sostenere iniziative importanti».
Conclude il segretario generale Renzo Borroni: «Abbiamo fatto tutto il possibile per salvaguardare l’ente. Azioni che oggi sembrano scontate avevano un peso completamente diverso nel momento in cui venivano messe in atto. Se qualcuno ci considera complice è anche perché non abbiamo potuto sbandierare quello che facevamo, una riservatezza necessaria».
Domani i soci della Fondazione Carima si riuniranno per confrontarsi su Banca Marche.
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Egr. Dott. Gazzani,
capisco che l’argomento è complesso e non può essere sviscerato con un tweet, tuttavia riporto un virgolettato delle sue dichiarazioni: ” Nel dicembre 2011, durante un’assemblea il vice presidente Roberto Massi (ora venuto a mancare) chiese come andava la banca e Lauro Costa, nostro rappresentante nel Cda rispose Tutto bene.” E le chiedo: quale azionista si rivolgerebbe ad un amministratore – tra le altre di cose – di sua nomina con questa domanda e, per di più, accontentandosi della suddetta risposta?
Se la fondazione aveva avuto sentore di una situazione di pericolo, forse avrebbe dovuto fare di più per difendere i risparmiatori? Si sarebbe potuto evitare di arrivare a questo punto?