di Luca Patrassi
La giovane dottoressa si sfoga al telefono con una amica, sfinita dopo un turno di lavoro di 12 ore: «Stiamo messi peggio dell’aprile scorso, la metà dei colleghi è positiva, manca il personale, siamo carne da macello». La dottoressa si sfoga ma questa mattina è ripartita per un altro turno massacrante, per dare risposte a chi è in attesa di un tampone. Quelle famose squadre Usca che forse domani saranno potenziate, forse. La certezza è che, nonostante l’esperienza precedente, nulla finora è stato fatto per potenziare risorse e personale. Però la dottoressa in questione non è nemmeno sfiorata dall’idea di “marcare visita”, buttarla in lite. Fa un lavoro, probabilmente sta facendo e rischiando più di quello che dovrebbe essere richiesto. Specie a fronte di una seconda ondata, in qualche modo annunciata. C’è la dottoressa che ci mette la faccia, magari fa il lavoro che ha sempre sognato di fare e si mette a disposizione in silenzio del prossimo.
Stessa giornata, cambio di rotta. Non si parla di quelli che rischiano di essere messi in mezzo alla strada perché le aziende chiudono, non si parla delle partite Iva che con le aziende e i negozi chiusi non hanno lavoro e non hanno alcuna copertura. Si parla di quelli che il lavoro ce l’hanno, tranquillo e blindato. Lavoratore pubblico. Nella stessa giornata il lavoratore pubblico in questione – un dipendente dell’Ateneo – ha un altro problema e prende carta e penna per renderlo pubblico. Il problema è che non vuole lavorare in ufficio, ma chiede lo smart working. Si parla di un’azienda – Unimc – dove chi lavora in presenza lo fa molto distanziato – in genere un lavoratore per stanza – e dotato di tutti i possibili e immaginabili dispositivi di sicurezza. Nessun positivo finora tra i lavoratori, una barca di soldi investiti per rispettare tutte le misure di sicurezza, non ultimo l’affitto di parecchie sale cinematografiche per fare lezioni in presenza rispettando il distanziamento. Uno sforzo economico, culturale e sociale sottolineato prima dal ministro dell’Università Gaetano Manfredi e di recenti dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Una dottoressa che chiede di potenziare la sua squadra per continuare a lavorare per gli altri, un dipendente pubblico che chiede lo smart working in una situazione apparentemente iper blindata. Chissà cosa ne pensano i sindacati. L’interrogativo è retorico perché, in un caso, sono già intervenuti a sostegno di una delle posizioni indicate.
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Gentile Direttore,
mentre di questo articolo non si può che apprezzare la doverosa solidarietà con il personale sanitario, la contrapposizione ad affetto con la comunità universitaria dell’Ateneo di Macerata risulta a dir poco ingenerosa e rivela una conoscenza molto limitata della normativa e delle condizioni di lavoro all’Università. Docente da più di 25 anni in questo Ateneo, non posso esimermi dal manifestare il mio dissenso e la mia delusione per la sua pubblicazione nella Sua testata.