di Matteo Zallocco
Era il 2009 e dopo 442 anni Padre Matteo Ricci tornò nella sua Macerata: Giancarlo Liuti lo incontrò in viale Puccinotti e i due parlarono a lungo. “Ieri sono stato in via Roma, nei pressi del passaggio a livello. Altro che Confucio, quella è proprio Confuciò. Non le dico le bestemmie degli automobilisti. Mi sono fatto più volte il segno della croce, ho dovuto pregare per le anime loro” disse Matteo Ricci. “Ma quel passaggio a livello sarà presto eliminato”, sottolineò Liuti. “Presto? Per utilizzare l’area dismessa del vecchio campo boario ci hanno impiegato più di trent’anni. Il pensiero di Confucio sarà stato lento, ma la Confuciò di Macerata, figliolo, è terribilmente più lenta”. E’ solo un passaggio della prima di una serie di interviste impossibili che Giancarlo Liuti, premiato nel 1987 come miglior giornalista italiano, ha pubblicato in questi anni su Cronache Maceratesi all’interno della sua rubrica “La domenica del villaggio” che ha curato ogni settimana per dieci anni e che avrebbe voluto portare avanti nonostante la malattia. Giancarlo se ne è andato ieri ma i suoi scritti restano attuali. Così come per noi i suoi insegnamenti.
Nel 2010 Liuti si imbattè in uno strano signore che in piazza Garibaldi aveva scavalcato il recinto del monumento e si era sdraiato sotto la statua. Era proprio lui, Giuseppe Garibaldi a cui i maceratesi hanno dedicato una statua, una piazza, una via, un parcheggio, una scuola e un paio di lapidi – ricordò Liuti. Ma anche l’eroe dei due mondi non era soddisfatto di Macerata: “Il mio monumento tanti anni fa stava al centro della piazza, poi l’hanno spostato da una parte e adesso va a finire che lo buttano di sotto, disse. E ancora: “Giorni fa, venendo su da Sforzacosta, dopo il passaggio a livello mi sono imbattuto in una specie di cartello stradale che a lettere cubitali indica Lions Club. Ho sbagliato città, ho pensato, questa è Lions Club, non è Macerata”.
Qualche mese dopo apparve San Giuliano Ospitaliere. “Com’è che l’hanno nominata patrono di Macerata?”. “Nel milleduecento ci fu un gran traffico di reliquie. Così, un pezzo qui e uno là, il mio corpo è finito da queste parti. Il braccio sinistro – ma sarà davvero il mio? – è conservato nel duomo insieme con qualche altro osso”. “La città, comunque, le è molto devota. Sue immagini sono dappertutto, la sua festa, il 31 agosto, richiama migliaia di persone. Lei, insomma, è universalmente considerato l’autentico patrono”. “Certo, e ne sono orgoglioso. Ciò non toglie, però, che io mi trovi in una penosissima crisi d’identità. E non è facile, mi creda, campare così. Per questo, l’altro giorno, ero andato alla grande clinica psichiatrica che si trova lungo la discesa per Pieridipa, in contrada Vallebona. Niente da fare. Mi hanno detto che quella non è una clinica psichiatrica. Forse lo sembra, ma è la sede della facoltà universitaria di scienze della formazione”.
Poi arrivarono Attila, il re degli Unni (“Abbasso l’erba, viva il cemento”), Giacomo Leopardi (per il film il “Giovane Favoloso”), tornarono Padre Matteo Ricci (a cui non piaceva la statua che la Curia voleva dedicargli) e nel 2015 Garibaldi (che si candidò a sindaco). Vennero addirittura lo Yeti (che scappò subito a causa della burocrazia) e il dantesco Caronte (che ce l’aveva coi giornalisti). Sono tanti i personaggi che Giancarlo Liuti ha “incontrato” nel corso della sua carriera iniziata nel 1953 al Resto del Carlino dove è diventato inviato, critico televisivo e opinionista per l’edizione nazionale. Ma ha voluto sempre restare nella sua amata Macerata e per questo motivo rifiutò anche una proposta del Corriere della Sera. Giancarlo ha raccontato la società, e anche Macerata con uno sguardo sempre attento a percepire il presente e ad intuire il futuro.
Oggi abbiamo riletto alcuni suoi articoli e alcune interviste impossibili pubblicate negli ultimi anni su Cronache Maceratesi e che riproponiamo nei correlati qui in basso. La sua sagacia, la sua ironia e il suo stile sono ancora attuali. Per noi è stato un privilegio.
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Mi piace qui ricordare, oltre alla maestria giornalistica, l’uso attento, e preciso oltre ogni limite, delle parole, pregio che Giancarlo evidenziava in ogni suo scritto.
D’altra parte, cosa che forse pochi sanno, Giancarlo in casa sua aveva più di 100 (cento) dizionari della lingua italiana.