di Giancarlo Liuti
L’altro pomeriggio, dopo pranzo, stavo facendo il solito sonnellino sul divano di casa quando all’improvviso è venuto a sedersi accanto a me un misterioso signore vestito di bianco. “E lei chi è?”, gli ho chiesto fra lo stupito e l’irritato. “Io sono Caronte – ha detto lui – quello che con troppa fantasia Dante Alighieri nel terzo canto dell’Inferno chiamò ‘Caròn Dimonio con occhi di bragia’, cioè di brace”.
“E che vuole da me?”
“Smentire un sacco di fandonie, quelle che settecent’anni fa scrisse Dante e quelle che voi giornalisti continuate a scrivere oggi”.
“Mi faccia capire. Il poco o molto che sappiamo di lei, signor Caronte, l’abbiamo appreso soltanto dalla Divina Commedia. Tutto sbagliato?”
“Quasi tutto. Dante scrisse che io traghettavo le anime dei malfattori defunti attraverso il fiume Acheronte e le consegnavo al giudice Minosse che poi le spediva ai vari gironi infernali secondo una graduatoria di gravità”.
“Falso?”
“Son passati, ripeto, sette secoli e può anche darsi che la mia memoria abbia qualche falla. Sta di fatto, comunque, che io sono arcisicuro di non avere svolto quel ridicolo ruolo. Traghettatore? Via, non ho mai remato in vita mia, non so neanche come si fa. Quindi ne va della mia dignità e ho il sacrosanto diritto di ribellarmi”.
“E che c’entrano i giornalisti di oggi?”
“Fidandovi della stravagante immaginazione poetica di Dante insistete nello scrivere che il gran caldo del mese di luglio ve l’ho portato io traghettandolo attraverso l’Acheronte, che poi sarebbe il Mediterraneo”.
“Falso pure questo?”
“Certamente. I quarantadue gradi all’ombra ve li hanno inflitti gli immigrati africani che a bordo dei barconi degli scafisti sono approdati in Italia portandosi dietro le temperature roventi del Sahara. Mi dica allora per quale assurdità dovrei entrarci io, che non sono mai salito su un barcone e non sono mai entrato in contatto con gli scafisti. E voi, invece, proseguite imperterriti: Caronte, Caronte, Caronte …”
“C’è un paio di cose, comunque, che faccio fatica a capire: per quale motivo lei, oggi, ha importunato proprio me e per quale motivo lei, oggi, si trova proprio a Macerata”.
“Perché lei è un giornalista e a chi dovrei dare le smentite contro i giornalisti se non a uno di loro? E per quanto riguarda Macerata, poi, questo attiene al mio lavoro attuale. Ecco, lasciamo stare Dante, un grandissimo poeta, sì, ma del Milletrecento, e concentriamoci sull’attualità, ossia sul presente, sul Duemila”.
“E quale sarebbe il suo lavoro attuale?”
“Da qualche anno io sono un altissimo funzionario dello Stato in rappresentanza di tutte le forze dell’ordine, carabinieri, polizia, guardia di finanza, e in questa veste vado in cerca di coloro che hanno commesso reati per poi condurli davanti alla magistratura giudicante, che prende atto delle prove trovate da me ed emette sentenze variabili secondo la gravità dei fatti, dalle semplici ammende alla reclusione domiciliare oppure al carcere”.
“Ma questa magistratura somiglia moltissimo al Minosse dantesco. Lo vede che, gira gira – e lei stesso me lo conferma – torniamo alla Divina Commedia?”
“La differenza è enorme, caro signore. Io non mi occupo delle anime dei peccatori defunti ma di delinquenti vivi e vegeti, in carne e ossa”.
“E chi gliel’avrebbe dato, quest’incarico? Quale governo, quale parlamento?”
“Non posso dirglielo, è un segreto di stato”.
“Non ha risposto all’altra mia domanda, cioè alla ragione della sua presenza a Macerata e nel Maceratese, gente che tutto sommato sembra relativamente più onesta di tante altre in Italia”.
“Questa è la vostra sensazione, ma è sbagliata. Ed io ci son venuto proprio per smentirla, ossia per dovere di verità”.
“Lei esagera, signor Caronte, lo ammetta”.
“Dice? A parte il fatto che pure da voi, ogni tanto, c’è un omicidio, basta pensare all’aumento impressionante dei furti, all’evasione fiscale, all’usura, all’inquinamento dei corsi d’acqua, alle aggressioni sessuali, ai falsi bilanci aziendali, agli imbrogli sull’urbanistica e alle vostre lamentele di essere poveri a causa della crisi economica ma andate a ingozzarvi nei ristoranti che poi non vi danno la ricevuta fiscale. E guardi che, come giustamente spiega Dante, il peccato di gola merita l’inferno, coi golosi stesi a terra, immersi nel fango, sotto una pioggia di gelida grandine”.
“Sarà, ma qui non abbiamo la mafia …”
“E i riciclaggi paramafiosi nei supermercati dove li mette? E poi, mafia a parte, vogliamo parlare del cemento selvaggio? E degli oscuri affari col biogas? E degli incendi dolosi? E degli inquinamenti con le diossine? E dei danni che ne stanno derivando all’agricoltura?”
“Roba vecchia, signor Caronte. Lei mette insieme tante cose del passato e le addebita tutte al presente …”
“Vecchia? Guardi che pochi mesi fa il presidente di un’importante commissione consiliare, a Macerata, è stato indagato per corruzione. E, sempre a Macerata, la magistratura si sta ancora attivamente occupando di un ex consigliere comunale che aveva incarichi di notevolissimo rilievo”.
“Lo sappiamo, lo sappiamo. Ne hanno diffusamente parlato i giornali, con tanto di nomi e cognomi, ma sono vicende circoscritte, limitate, del tutto occasionali, il resto della nostra società è sano”.
“E a Civitanova? Si bruciano auto e negozi, il livello della sicurezza è percepito molto basso, la gente comincia a parlare di ‘allarme criminalità’. E accade adesso, signore, mica anni fa”.
“Ma non mi pare che lei, nonostante gli immensi poteri che le sarebbero stati affidati, riesca a mettere un freno a tutto questo. Per un verso esagera, mescolando passato e presente, e per l’altro verso esalta se stesso ma poi, alla resa dei conti, gira a vuoto”.
“Ho forse detto cose non vere?”
“Ne ha dette molte ma ne ha fatte poche. E poi questo Dante, che una volta ha torto e un’altra ha ragione. Infine l’incredibile storia del funzionario di stato. Mi perdoni, ma sa che le dico? Che ha montato una tal confusione da farmi venire il sospetto che lei sia un imbroglione”.
Lui stava per replicare ma a un tratto è comparsa una suora che con tenerezza gli ha mormorato: “Su, Carontì, devi rientrare in ospedale per la solita Tac al cervello e se arrivi tardi il primario diventa una bestia”.
Così, in un attimo, il Caròn Dimonio con occhi di bragia è sparito.
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Bèh, non è quel venne rimproverato in lungo e in largo a Berlusconi, quando disse ” la crisi non c’è , i ristoranti sono pieni e gli aereoporti anche? Aveva torto Berlusconi allora a negare la crisi, ce l’ha chi sostiene la stessa tesi oggi; la crisi c’era allora e ancora di più c’è oggi, ed il segnale di forte crisi è, che solo i ristoranti sono pieni, gli altri negozi vuoti o semivuoti. Quando c’è forte crisi economica, infatti, gli economisti coi loro grafici insegnano, che il desiderio d’acquisto sfoga in ciò che è accessibile al potere d’acquisto, cioè poco, niente, tutti beni non durevoli, a basso prezzo, di immediato godimento ( vedi Argentina ai suoi tempi di crisi) come cibo, bevande, turismo mordi e fuggi. Questa è la triste realtàal di là delle file ai ristoranti o a Milano Expò che offre , ancora, tutto mangereccio.
Non solo ai ristoranti… Alberghi pieni, bar pieni con relativi aperitivi e apericene, discoteche, balneari stracolmi… Vogliamo parlare dei bancomat dove da mattino a notte inoltrata c’è la fila per prelevare??? Stai a vedere che tocca dar ragione al Berlusca…. Ma è la realtà purtroppo…
Andate nei ristoranti dal lunedì al giovedi….e vedete quanto sono pieni……
Nn è crisi xche x definizione la crisi è uno shock che colpisce tutti in maniera indiscriminata (ad esempio la mancanza di benzina)….questo è un periodo di speculazione dove c’è chi ha i soldi e si arricchisce sulle spalle di chi soffre…ed ecco perché il lavoro viene pagato meno, il valore delle case in vendita si dimezza ecc….
Si, Caronte parla parla, ma l’altra sera stava a Civitanova, in un noto ristorante del lungomare, che si ingozzava come un dimonio in compagnia del sindaco, vicesindaco e presidente del consiglio. Quest’ultimo ubriaco fradicio cantava: ” La mia banda suona il rock ” e con un grosso scampone in mano imitava un direttore d’orchestra. Il vice, rincoglionito più del solito cantava a squarciagola: ” Bandiera rossa la trionferà, evviva il vino rosso e la libertà “, ripreso ogni tanto dal fantomatico direttore d’orchestra per cercarlo di accordarlo sulle note della ” mia banda “, fino a quando un calamaro fritto non gli andava per storto e tra colpi di tosse che disturbavano gli altri avventori, con gli occhi che gli uscivano dalle orbite veniva soccorso dal sindaco che fortunatamente con la testa ancora continuava a passare da quelle parti. Afferrandolo da dietro, scherzosamente imitando un rapporto erotico, con le mani incrociate sul diaframma le premeva ripetutamente fino a fargli uscire il calamaro fritto che finiva nel bicchiere di una giovane avventrice. Al che un giovanottone in compagnia della giovine si alzò dirigendosi verso il tavolo dell’allegra brigata pronunciando frasi irripetibile che rallegrarono il vice che con la trachea libera dal calamaro che si mise a ridere smodatamente fino a che una tranvata non lo colpiva sui denti.Il sindaco per essere all’altezza della situazione e dell’alto giovanottone salì con un sol balzo sulla tavola facendo cadere le quindici bottiglie vuote di Verdicchio che si frantumavano sul pavimento. Il sindaco sferrò un colpo micidiale che venne però prontamente schivato dal energumeno che afferrato il sindaco per la cintola lo scagliava contro una delle vetrate del locale che sebbene di vetro corazzato si frantumò in una miriade di schegge che caddero a pioggia su alcuni clienti che mangiavano all’aperto. Fu subito il caos, gli ospiti di Caronte lui compreso venivano assaliti da tutti i presenti stanchi del comportamento poco ortodosso dell’allegra fino allora brigata. Un insieme di colpi più o meni proibiti si riversarono sui quattro. Ci volle l’intervento delle forze dell’ordine e dei vigili del fuoco per districarli. Il locale appariva completamente distrutto mentre il presidente continuava ancora a ridere, anche se senza denti, possiamo dirlo, non era un gran spettacolo, il vice chiedeva in giro dove si trovasse e se era successo qualcosa. Il sindaco attaccato alla spada di un pescione imbalsamato appeso al muro, con gli occhi persi nel vuoto dichiarava chiusa la riunione di giunta, mentre Caronte con le vesti stracciate ed ogni osso dolorante, si dileguo sparendo nel nulla appena un poliziotto gli chiese i documenti. Nel frattempo arrivava un cellulare e dopo le formalità di rito i tre venivano fatti salire sul automezzo, mentre il locandiere consegnava al ridente presidente un conto lungo due metri e mezzo. Poi il cellulare scortato dai tutori dell’ordine si allontanava lentamente con i lampeggianti accesi, mentre all’interno ancora si sentivano le note della banda suonata a suon di rock. e da quella sera non si hanno ancora notizie dei tre. Per informazioni, telefonare alla trasmissione televisiva: ” Nessuno li cerca “.
Siamo nel 2015. non si risparmia come nel 1970. Antichi
Di cosa ci lamentiamo gli italiani sono così piangono e fottono
Appoggio l’interpretazione dell’amica Tamara sui ristoranti che si riempiono maggiormente proprio in tempo di crisi. Pensate alla Belle Epoque, proprio a ridosso della prima guerra mondiale…
Io piuttosto – se fossi Caronte (e aggiungendo una “i” al mio cognome potrei esserlo) – andrei a stanare gli evasori fiscali: non quelli che vanno a mangiarsi una pizza o un panino, ma quelli che hanno i macchinoni e contemporaneamente una dichiarazione dei redditi da fame o quasi; quelli che in Italia hanno le aziende in prefallimento, ma poi aprono le filiali all’estero; quelli che non spendono un centesimo nemmeno per il quotidiano ma poi hanno palazzi interi; insomma, mi sorprende che a Caronte – con tutto il campo d’azione che ha a disposizione – gli vien voglia di stigmatizzare un poveraccio qualunque che decide di spendere i soldi che non ha (sennò che cosa non ce li ha a fare??) per attutire almeno un po’ la sensazione di fallimento a sé e/o alla sua famiglia in una trattoria. Quest’uomo qualunque è un povero diavolo. Caronte, invece, è proprio un demonio!