Un ringraziamento da parte della redazione di Cronache Maceratesi a Giancarlo Liuti per questo suo commento che segue e lui ci ha inviato in occasione del decennale del nostro giornale. Un grazie, soprattutto, per esserci stato un vero amico sin dal 2009 mandandoci ogni settimana la rubrica “La domenica del villaggio” e talvolta le sue “interviste impossibili” ai grandi del passato.
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di Giancarlo Liuti
L’altra sera ho partecipato a una conviviale di colleghi e amici per il decennale di Cronache Maceratesi, il quotidiano che informa i suoi lettori su fatti e opinioni riguardanti vicende non soltanto locali. Ovviamente la diffusione non è da Corriere della Sera, ma Cronache Maceratesi è stato ed è in Italia tra i primi giornali locali online nel rapporto tra lettori e bacino d’utenza (gli abitanti della nostra provincia sono circa 320mila) coprendo l’intero territorio in tutti i campi del giornalismo, dalla cronaca nera alla bianca, da quella giudiziaria a quella politica a quella economica, da quella culturale a quella degli spettacoli e dello sport. Ma Cronache Maceratesi ha soprattutto una virtù che altra stampa non ha o non ne ha abbastanza: l’indipendenza dai pur legittimi interessi politici e imprenditoriali della propria zona. Vero è che l’informazione è definita il “Quarto potere” ma per tener fede alla propria ragione di esistere deve tenersi lontana dai cosiddetti “poteri forti”. Tant’è che la proprietà di CM appartiene soltanto a due persone soci fra loro: il direttore Matteo Zallocco e Alessandra Pierini, entrambi giornalisti.
Quando nacque questo giornale, il 16 settembre 2008, Alessandra, Matteo e gli altri ragazzi non erano ancora trentenni. Sono passati dieci anni ma la passione è rimasta la stessa, come la stessa è rimasta l’indipendenza da altre “cattedrali” di potere. Il che significa “libertà”, ossia, specie oggi, una “rara avis”, come i nostri progenitori latini definivano le cose fuori dall’ordinario.
E io che c’entro? Ci sono entrato, da giornalista, nel 2009 e se non me ne sono mai pentito è per un’unica ragione: la libertà che vi ho trovato, una “rarissima avis” che oggigiorno, col prevalere sempre e comunque del denaro, è quasi sconosciuta, tanto che si fa fatica a trovarla sia nel giornalismo scritto che in quello televisivo, dove basta un’occhiata e subito si capisce da che parte tira il vento. Esagero? Può darsi, ma non credo di essere lontano dal vero. E comunque, per quanto riguarda la libertà nel giornalismo, immagino che non vi sia qualcos’altro di uguale a Cronache Maceratesi. Siamo nel piccolo, si dirà. Ma l’esperienza della vita insegna che spesso nel piccolo c’è il grande. Basta cercarlo.
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Se l’indipendenza fosse di per sé garanzia di libertà e se l’esercizio di quest’ultima fosse il metro unico per misurare la qualità dell’informazione in termini di garanzie per i lettori e i cittadini, allora non ci troveremmo, ad esempio, a dover fronteggiare il fenomeno delle fake-news… La libertà è bella perché è un rischio, per chi scrive e per chi legge. Quanto al giornalismo che lascia capire subito “da che parte tiri il vento” e che sta in effetti dilagando con un eccesso di compiacimento per i toni forti e la faziosità proclamata, esso tuttavia consente al lettore una difesa più facile e un confronto più aperto, rispetto invece al giornalismo obiettivo e perbene in apparenza.
“La tecnica del poliziotto buono – poliziotto cattivo, conosciuta negli ambienti militari britannici come Mutt and Jeff (dall’omonimo fumetto) oppure come joint questioning o friend and foe è una tattica psicologica utilizzata negli esami.
Consiste in una squadra di due interroganti che si approcciano al soggetto in modo diametralmente opposto. Gli interroganti possono parlare con l’interrogato alternativamente o allo stesso tempo.
Il poliziotto cattivo adotta un atteggiamento aggressivo nei confronti del soggetto, con commenti sprezzanti, giochetti e suscitando in generale un senso di antipatia. A questo punto interviene il poliziotto buono, apertamente amichevole, comprensivo in modo da suscitare simpatia nell’interrogato che viene spesso anche difeso dalle prepotenze del poliziotto cattivo. Il soggetto è dunque spinto a collaborare dal senso di gratitudine verso il poliziotto buono e dalla paura di una reazione negativa del poliziotto cattivo.
La tecnica, se conosciuta, è facilmente riconoscibile, ma rimane utile contro soggetti giovani, impauriti o sprovveduti.