di Giancarlo Liuti
Secondo una sentenza apparentemente inoppugnabile dei tecnici romani e ministeriali “Home Aedes” l’edificio che si trova a Macerata in piazza Battisti è a rischio per un “molto alto” danno strutturale causato dal terremoto e va abbandonato. Ebbene, nel mio piccolo io non contesto tale sentenza ma non la ritengo inoppugnabile e penso che se ne possa discutere. Il mestiere del “tecnico” consiste nel prendere atto del problema “concreto” – quello reale, quello che si vede e si tocca con mano – e nel proporre soluzioni altrettanto “concrete”, cioè, per l’appunto, “tecniche”. Ma non sempre i problemi possono essere risolti con la sola concretissima mentalità del “tecnico”. Spesso, infatti, i problemi hanno più facce: una affrontabile al modo dei “tecnici” (questo va fatto quest’altro no, e si proceda), le altre più complesse e nel rispetto di valori umani più alti. Con ciò non intendo sottovalutare la funzione anche sociale dei “tecnici”, che di molte cose sanno molto più di noi poveracci che “tecnici” non siamo.
Ma, ripeto, vi sono dei casi nei quali il “tecnicismo” non basta. E quello, a Macerata, di Piazza Battisti, è uno di questi (leggi l’articolo). Per quale ragione? Ce ne sono diverse. La prima è che l’edificio di Piazza Battisti si trova nel centro storico della città, il cui decoro, la cui bellezza, la cui vivibilità e la cui frequentabilità sono carte da giocare per la sua salvezza, il suo commercio e il suo turismo. Non si dimentichi, infatti, che al piano terra di tale palazzina cinquecentesca vi sono le migliori boutique di Macerata: Di Pietro, Cicconetti, Alex, la gioielleria Medori. Se poi saliamo i gradini della storia e della cultura faremmo un torto a noi stessi ignorando che lì nacque Padre Matteo Ricci, il maceratese che fu e da secoli resta il più famoso nel mondo. Per il centro di Macerata, insomma, Piazza Battisti è una perla. E per il “cuore” della città la sua perdita sarebbe un brutto passo verso un anonimato da periferia. Che significa questo? Che i “tecnici” hanno le loro ragioni ma soprattutto che Piazza Battisti merita un “occhio di riguardo” a prescindere dai danni del terremoto e dai provvedimenti necessari per arginarli.
Occorre allora che la questione diventi per così dire “politica” in senso alto, ossia che il sindaco Carancini si metta in contatto coi “tecnici” e verifichi con loro la possibilità non solo “tecnica” di salvare la “casa” di Matteo Ricci ad esempio con lavori di consolidamento interno. E, insomma, che si valuti ogni ipotesi diversa dalla mera e sbrigativa abolizione della “perla” di Piazza Battisti. Può darsi, intendiamoci, che la già pronunciata “sentenza” dei “tecnici” non sia più modificabile per il fatto nudo, crudo e feroce che un’altra sentenza, stavolta indiscutibile, è stata pronunciata da quel maledetto signore delle viscere che si chiama “Terremoto”. Ma cerchiamo di non alzare la mani in segno di resa senza aver prima tentato di usare le armi della ragione e del fattivo confronto fra la “politica” (la buona politica, quella del bene comune) e l’apparente, cioè non vera, intoccabilità della “tecnica”.
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I motivi per salvare la palazzina sono due, il primo è l’esistenza delle boutique, il secondo – solo il secondo – è il fatto che vi nacque Matteo Ricci.
Pur non capendo, come sempre da parte mia, il senso generale dell’articolo e qui , specialmente, dell’ultimo periodo ” Ma cerchiamo di non alzare la mani in segno di resa senza aver prima tentato di usare le armi della ragione e del fattivo confronto fra la “politica” (la buona politica, quella del bene comune) e l’apparente, cioè non vera, intoccabilità della “tecnica” – ma questo sarà certo un mio limite, che non so proprio come si possa stare con un piede di là e uno di qua della riva , ovvero, come si possa dubitare dei tecnici che parrebbe qui vogliano far torto a qualcuno nel dichiarare pericoloso lo stabile in questione…mah…boh, chissà per quale oscuro motivo non tecnico, ma sottinteso, politico – sposo la causa di Liuti in difesa della casa natìa di Padre Matteo Ricci, non foss’altro perchè quella è una, la sua sola casa natale, a differenza , che so, delle tante locande sparse in tutt’italia e di cui sono piene le fosse tra storia e mito, dove si leggono targhe in cui ” Qui soggiornò Giuseppe Garibaldi” .
Però, mi perdoni dott. Liuti: ma ancora con questo ” bene comune” ? ma è stantio, un mero luogo comune superato! Ma iniziamo a parlare piuttosto di ” SENSO COMUNE”, così imparando la lezione del pastore sardo Gaetano Piras come narrata la sua storia nel film del 1993 di Roberto Locci ” Una casa sotto il cielo” dove alla fine della storia, il pastore Piras , con la massima semplicità afferma un principio che dovrebbe essere per tutti noi vangelo:
“Tutti abbiamo la stessa casa sotto il cielo. Questa terra la sento mia, ma allo stesso tempo anche degli altri. Tutti ,ci sediamo allo stesso masso quando ci passiamo vicini. Tutti , andiamo alla stessa sorgente quando abbiamo sete. Tutti, d’estate, ci ripariamo all’ombra della stessa quercia. Insomma: abbiamo un senso comune delle cose. “
L’interesse di bottega è basso, l’interesse di boutique fa invece parte dei valori umani più alti.
Scusate se insisto nel divagare dall’interesse principale che preme difendere ( la casa di Matteo Ricci comprese le botteghe sotto), ma senza voler dare lezioni a nessuno, che non basta una vita intera prenderne in qualche modo da tutti, ci provo: visto mai che anche il raglio dell’asino arrivi in cielo? Cosè, oggi, qual è l’attualità di questo tanto sbandierato e in bocca a tutti – da sinistra al Movimento 5 Stelle a destra- ” bene comune” ? ha ancora senso parlare in termini di bene comune, o questo vecchio concetto di ambito filosofico-religioso come concepito da Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae scritta tra il 1265 e il 1274,è stato abbondantemente superato a partire dal secolo scorso con la nascita delle Scienze Umane e in particolare della Sociologia? Io penso di sì, perchè da Durkheim a Weber è stato introdotto un concetto più moderno : quello dell’agire sociale, della condivisione di senso nei fatti sociali. E allora, perchè parlare ancora di ” beni ” come se i valori fossero oggetti materiali e che in quanto tali possono anche non essere avvertiti da tutti come preziosi , ma piuttosto concentrarsi su tutto ciò che ha ” un senso comune” , come l’acqua, per esempio, “bene comune” per eccellenza nel linguaggio politico (e anche referandario). L’acqua, come l’aria, l’ambiente, il patrimonio artistico,architettonico, storico, sono beni comuni, oppure hanno un senso comune che ne comprende il necessario rispetto perchè di ognuno e di tutti?
Per Moroni. Il suo secondo commento è molto colto ma di difficile leggibilità, tan’è vero che non si capisce quale è l’assunto di fondo. Mi scusi.
L’unica soluzione per vederci più chiaro, è convocare una nuova perizia tecnica, perizia che potrebbe dare risultati completamente diversi, perché potrebbe nascondersi interessi di qualche palazzinaro, pensate un nuovo immobile nel centro di macerata? Fidarsi è bene, ma non fidarsi è molto meglio.
In effetti Matteo Ricci è stato un genio gigantesco, colombiano (in realtà nettamente superiore a Colombo che scoprì l’America solo per un errore nel calcolare la grandezza della terra), che avrebbe cambiato la storia dell’umanità, cristianizzando la Cina, se un papa eccezionalmente ottuso e ignorante non gli avesse vanificato tutto l’immenso lavoro pretendendo dall’imperatore una sottomissione inconcepibile e inaccettabile. Dunque sembrerebbe cosa assai rozza che la sua casa natale anziché sede di un museo gnomico-celebrativo sia sede di pantalonai e camiciai per giunta di lusso. Ed è flebile speranza che il terremoto possa servire ad attenuare il tradizionale e sempiterno grottesco della realtà maceratese.
Iacobini, provo a chiarirmi meglio, ma andiamo per ordine. Premesso che non so a chi appartenga l’immobile cinquecentesco in questione, se pubblico o privato, penso però che per il solo fatto che abbia più di 600 anni sia comunque compreso fra i beni culturali e che dunque sia soggetto ai vincoli di legge in materia, così come recita l’articolo 20 del Codice dei beni culturali.“I beni culturali non possono essere distrutti, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione” , e l’articolo 30, “lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico hanno l’obbligo di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza”. Ma non sono gli unici. Anche i privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali, sono tenuti a garantire la conservazione del bene. Nel caso in cui il privato volesse avviare un intervento conservativo di sua iniziativa deve rivolgersi al soprintendente che valuterà se l’intervento è ammissibile o meno. Se la legge prevede per quell’intervento agevolazioni tributarie o concessioni informerà il privato. Il Ministero può anche imporre gli interventi necessari per assicurarne la conservazione. In questo caso funziona così: il soprintendente redige una relazione tecnica in cui dichiara la necessità degli interventi, la relazione viene inviata ai proprietari che hanno 30 giorni di tempo per presentare delle osservazioni. Il soprintendente dà un termine al proprietario per la presentazione del progetto e segna una data di inizio dei lavori. Ma cosa succede nel caso in cui il possessore del bene si rifiuti di fare gli interventi conservativi? Si procede con l’esecuzione diretta degli interventi e, in caso di particolare urgenza, il soprintendente può adottare immediatamente le misure conservative necessarie.
Ciò detto, ecco perchè ho esordito dicendo che non comprendo il senso dell’appello rivolto da Liuti alla politica e al Sindaco, il quale ha l’obbligo di intervenire a seguito del parere espresso dai tecnici per la messa in sicurezza e la sua conservazione . Fin qui ci siamo? Se però sbaglio nel dire che quello sia un bene culturale da trattare come tale, mi corregga. Poi sono andata anche oltre, soffermandomi al periodo finale dell’articolo ” Ma cerchiamo di non alzare le mani in segno di resa senza aver prima tentato di usare le armi della ragione e del fattivo confronto fra la “politica” (la buona politica, quella del bene comune) e l’apparente, cioè non vera, intoccabilità della “tecnica” , e questo perchè in primo luogo sembra superfluo un tale appello se l’immobile è un bene culturale e che quindi al di là del parere tecnico lo stabile non corre alcun rischio di scomparire per essere rimpiazzato da una più moderna palazzina come azzardato da Romano Compagnucci , e poi ancora per concentrarmi sulla differenza di concetto fra ” Bene comune e ” Senso comune”. Ma questo è un altro discorso e merita un diverso sviluppo .Semmai ci tornerò sopra, se vuole.
Ma infatti, Pavoni, più in alto di quello colombiano c’è solo il genio pistacoppiano.