IL CASO CACCAMO
Dove sono le istituzioni?

CORRIDOMNIA SHOPPING PARK - La società civile pretende risposte serie e rapide sulla provenienza dei prestiti personali

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bommarito-giuseppedi Giuseppe Bommarito *

Tutti, salvo alcuni che più o meno strumentalmente hanno cercato di deviare la discussione, hanno capito qual è la questione centrale dello strano “affaire” Caccamo. Qui non si tratta di mettere in discussione la decisione di un imprenditore non marchigiano di venire ad investire a Corridonia o a Piediripa o a Tolentino o dovunque sia (ce ne fossero di imprenditori disposti ad investire in questo momento di grave crisi economica!), così come in questa vicenda non è in rilievo l’ormai annosa contrapposizione – comunque assurda – tra Macerata e Corridonia in merito alla viabilità, agli svincoli della superstrada e ai centri commerciali ospitati nei reciproci territori, questioni sicuramente molto importanti, ma questa volta non pertinenti rispetto al cuore del problema.

Il cuore, il succo del problema, non da poco in verità, per chi ancora facesse finta di non aver capito è questo, e solo questo: l’Alba s.r.l., la società che ha realizzato CorridoMnia Shopping Park, evidenzia nei propri bilanci depositati presso la Camera di Commercio prestiti personali infruttiferi, versati in un breve arco di tempo dai soci, non per pochi spiccioli ma per circa due milioni e mezzo di euro (oltre ad altri cinquecentomila euro circa per un’altra società del gruppo, la Voghera Est s.r.l.). E ad oggi non è ancora riuscita a giustificare la provenienza e la tracciabilità di tutti questi soldi.

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Una veduta dall’alto del CooridoMnia Shopping Park durante la fase di ultimazione dei lavori (foto di Guido Picchio)

Una cifra così rilevante, come si è visto, non trova infatti giustificazione alcuna nei bilanci, anche riferiti agli anni precedenti, non solo dell’Alba s.r.l., ma pure di altre società del gruppo Caccamo (tenendo anche conto degli ulteriori acquisti immobiliari nel frattempo effettuati), così come non si giustifica in alcun modo secondo le normali prassi commerciali quell’anticipazione sotto forma di opzione fatta per lo stesso enorme importo dalla B Consulting s.r.l. (la società di Brescia costruita secondo lo schema delle scatole cinesi, la cui improvvisa richiesta di rientro ha poi costretto Caccamo e soci a tirare fuori quasi da un giorno all’altro tutti quei soldi di tasca propria), per cui gli interessati non possono cavarsela – pretendendo di essere creduti sulla parola – con la generica affermazione secondo cui si tratterebbe solo di risparmi personali.

I soci dell’Alba s.r.l., pertanto, come impone espressamente la normativa antiriciclaggio (che punisce chi ricicla e/o reimpiega capitali di provenienza illecita, conoscendone la provenienza e ostacolando le indagini che cercano di ricostruirne l’intera storia e tutti i vari passaggi) hanno l’obbligo, in base ad una sorta di inversione dell’onere della prova, e non la facoltà, di fornire alle autorità competenti informazioni precise e dettagliate circa la provenienza di questa montagna di soldi.

Le forze dell’ordine, in questi casi, cercano sempre, in via autonoma, di ricostruire i percorsi della moneta senza né padre né madre, quasi sempre tortuosi, predisposti da menti sopraffine e fatti apposta per confondere le acque, ma i soggetti interessati devono comunque essi stessi giustificare e provare la provenienza dei soldi sospetti (senza potersi nascondere nemmeno dietro il riparo dello scudo fiscale, perché la normativa antiriclaggio non lo consente). E allorchè essi non riescono a fornire una credibile e documentata giustificazione, esiste anche la possibilità di un sequestro preventivo dell’attività imprenditoriale nel corso delle indagini preliminari (misura efficacissima e fortemente voluta proprio da Pietro Grasso, Procuratore Nazionale Antimafia, che su di essa si dilunga nel suo recente libro: “Soldi sporchi. Come le mafie riciclano miliardi e inquinano l’economia mondiale”).

 

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Alfio Caccamo

Quello di giustificare la provenienza di beni e contanti quando il loro valore risulti sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, è peraltro un obbligo che grava su qualsiasi imprenditore, non solo sugli imprenditori siciliani o calabresi o campani, ma anche su quelli provenienti da una qualunque delle altre regioni italiane e perfino da stati esteri. Pertanto l’equazione Sicilia uguale Mafia qui, così come in tutti i casi del genere sparsi un po’ in tutta Italia, non c’entra nulla, io non l’ho sostenuta nel mio precedente articolo e personalmente la trovo improponibile.

Sì – ha scritto qualcuno – questo discorso può essere vero, ma perché mai il sig. Alfio Caccamo e i suoi soci dovrebbero fornire queste spiegazioni ad un giornale come Cronache Maceratesi o ad un rompiballe qualsiasi? Semmai le forniranno alle forze dell’ordine e alla magistratura!

E invece le cose non stanno così, e ciò per più di un motivo. In primo luogo perché un giornale, in questo caso Cronache Maceratesi, con i suoi cento lettori – come, bontà sua, li ha quantificati il buon Caccamo – rappresenta comunque una fetta importante dell’opinione pubblica, che ha il diritto-dovere di controllare, di sapere, di verificare, di cercare di prevenire in zona possibili infiltrazioni mafiose e malavitose, tanto più quando le istituzioni preposte (il Comune di Corridonia e la Provincia di Macerata in prima battuta) hanno di continuo assunto nella vicenda atteggiamenti chiaramente e assurdamente collaborativi oppure, nel migliore dei casi, hanno dormito sonni tranquilli. E poi anche perché il signor Alfio Caccamo, volente o nolente, non è più un semplice privato cittadino, ma ormai è divenuto un personaggio pubblico e come tale deve rispondere all’opinione pubblica (onori e oneri a questo punto gravano su di lui). Basti pensare, per comprendere il significativo rilievo pubblico di fatto assunto dal valente imprenditore di Paternò, alla rilevanza dell’opera realizzata in quattro e quattr’otto dall’Alba s.r.l., all’entità dell’investimento effettuato, ai riflessi di CorridoMnia Shopping Park sull’intero tessuto produttivo e commerciale della zona, al ruolo politico che egli si è autonomamente dato sbacchettando durante la cerimonia di inaugurazione diversi esponenti politici che avevano osato criticare l’intera operazione sin da quando la stessa ha iniziato a prendere forma.

 

CORRIDOMNIAE a questo punto – aggiungo io – una comunicazione di reale chiarezza e di verità appare ancora più indispensabile, considerato che un’azienda del gruppo Caccamo (la Voghera Est s.r.l.) sta riproponendo un’operazione analoga, sia pure più in piccolo, a Camerino e forse anche su Ancona, mentre altri interessi del gruppo già si sono estesi tramite una nuova società costituita appositamente anche a centrali idroelettriche nell’Anconetano. Allora ben venga qualunque imprenditore disposto ad investire, ad intraprendere e a crescere qui in zona e dove gli pare, ma, quando questo imprenditore si porta sul groppone una montagna di soldi dei quali non riesce a fornire una credibile giustificazione, prima che si consolidi e si allarghi troppo con l’una o l’altra impresa del gruppo non sarebbe opportuno, nell’interesse primario della collettività ma anche delle stesse imprese interessate alla vicenda, fare luce definitiva su una situazione che oggettivamente si presta a dubbi, perplessità, sospetti, illazioni?

E qui si allarga il problema della scarsa attenzione su una vicenda che avrebbe meritato sin dall’inizio occhi ben più vigili e concentrati, perché, se ai più è apparso inspiegabile l’atteggiamento di sudditanza degli enti territoriali coinvolti, il Comune di Corridonia e la Provincia, che hanno letteralmente fatto a gara per inchinarsi, anche con atti amministrativi profondamente discutibili, dinanzi alle richieste del pifferaio magico Alfio Caccamo, altri interrogativi sorgono comunque spontanei.

Ad esempio, la Confindustria di Macerata, così come la Confcommercio, la Confartigianato e il CNA di Macerata, non hanno spiegazioni da pretendere su questa vicenda? Non hanno nulla da dire? Eppure – tutti lo sanno – proprio la Confindustria in Sicilia ha intrapreso una battaglia all’ultimo sangue contro il riciclaggio che inquina il mercato legale e schiaccia le aziende sane, contro le infiltrazioni mafiose nelle aziende, contro le imprese della mafia che cercano di darsi una parvenza di legalità lavando e risciacquando soldi sporchi provenienti in gran parte dal traffico di droga. Ebbene, quando dalle nostre parti appare in tutta evidenza una situazione di grandissimo rilievo come CorridoMnia, che, per quei tre milioni di euro sinora orfani di genitori legittimi, sembra riproporre anche da noi scenari non del tutto tranquillizzanti, i nostri imprenditori, sia pure nel rispetto del garantismo e della presunzione di innocenza, non sentono il dovere di scendere in campo, anche e soprattutto a tutela dei propri associati (che in verità, almeno quelli che operano in zona, sono estremamente preoccupati), non certo per emettere giudizi sommari o superficiali patenti di mafiosità, ma quanto meno per richiedere sin d’ora prudenza e comunque accertamenti seri e approfonditi da parte delle autorità politiche, amministrative e giudiziarie competenti? Diciamo le cose come stanno: è troppo semplice in queste situazioni, e anche un po’ comodo e comunque non conforme al modo di fare delle associazioni imprenditoriali siciliane, dire che ci penseranno le forze dell’ordine, che bisogna attendere la magistratura, e intanto limitarsi ad aspettare gli eventi. D’altra parte, gli imprenditori di tante regioni del nord ed anche del centro (pensiamo alla vicinissima Romagna), proprio a forza di aspettare e di attendere si sono trovati in breve tempo avvinghiati nella morsa della criminalità organizzata che da qualche anno sta risalendo dal sud come una mala pianta.

 

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(foto Picchio)

E che vogliamo dire dei partiti, zitti e chiotti sino ad oggi, praticamente non pervenuti, specialmente a sinistra (cari amici e compagni, quanti disastri ha creato a Macerata e in provincia l’ingorda e spregiudicata sinistra del mattone, pronta ad allearsi per un pugno di denari – mi dispiace dirlo – anche con il diavolo)? Il PDL, punto nel vivo dalle ridicole e controproducenti accuse di Caccamo il giorno dell’inaugurazione, in questo caso ha reagito, e pure in precedenza qualcosa in verità aveva fatto per cercare di frenare la marea montante e incontrollata, anzi, agevolata in tutti i modi possibili, del cantiere di CorridoMnia. Ma il PD provinciale e di Corridonia dov’è, dove stava e dove sta, e soprattutto: da che parte sta? E’ obbligato a questo umiliante silenzio perché esso è parte determinante nella precedente e nell’attuale Giunta Calvigioni e perché in Provincia sedeva e siede un esponente di rilievo del PD di Corridonia, oggi anche assessore ai Lavori pubblici e alla Viabilità presso il Comune di Corridonia? E la sinistra radicale, quella che gioiosamente nelle manifestazioni urla in piazza: “Chi non salta, mafioso è” e altre banalità simili, perché ora è chiusa nel mutismo più assoluto e lascia andare allo sbaraglio quei cittadini che in tantissimi su questo giornale hanno richiesto coerenza da parte delle istituzioni, controlli e verifiche accurate? Certo, è facile per i responsabili locali dei partiti e delle istituzioni partecipare alla sfilate antimafia, magari con il gonfalone del Comune e della Provincia bene in vista, è semplice riempirsi la bocca con il sacrificio di Falcone e Borsellino e zompettare su una piazza urlando slogan, ma poi, quando si tratta di vedere quello che sta succedendo a casa nostra, di metterci la faccia e di assumersi le proprie responsabilità personali e politiche, tutti (salvo qualche lodevole eccezione) che si girano dall’altra parte e fanno finta di niente, magari poi lamentandosi dell’antipolitica che si appresta giustamente e inevitabilmente a mandarli a quel paese.

corridomnia-rotataria-palmeSlogan per slogan, consentite allora anche a me di usarne uno, sia pure molto abusato: se non ora, quando? Se non vi svegliate adesso, se non iniziate finalmente a pretendere – sì, proprio a pretendere – a gran voce credibili spiegazioni dal Comune di Corridonia e dalla Provincia sui reali motivi per i quali in questa vicenda essi si sono di fatto trasformati in veri e propri tappetini per Caccamo e compagnia bella, se non scendete in campo almeno nell’ultimo minuto utile per reclamare iniziative forti e convincenti da parte da parte delle istituzioni tutte, anche giudiziarie, quando mai lo farete?  Questa non è una provocazione, queste sono domande serie che si pongono migliaia e migliaia di cittadini e che attendono risposte convincenti.

C’è poi il discorso, ancora più delicato, delle forze dell’ordine e della magistratura. Io immagino che le forze dell’ordine stiano indagando e stiano dandosi da fare seriamente per cercare di ricostruire i flussi di denaro riferibili a Caccamo e soci (“segui i soldi …”, raccomandava d’altra parte proprio Giovanni Falcone) ed anche gli strani meccanismi con i quali sono stati eccessivamente rivalutati i terreni compravenduti per l’edificazione di CorridoMnia Shopping Park. Le forze dell’ordine ci stanno lavorando, non può essere diversamente considerato l’importo delle cifre in questione, delle quali si parla da mesi. E queste sono di certo indagini complesse e delicate, con tempi necessariamente lunghi.

Ma se le forze dell’ordine e di polizia giudiziaria pensano di condurle con le tempistiche e le metodiche delle ordinarie pratiche investigative utilizzate nell’ambito delle usuali situazioni di evasione fiscale, se accantonano tutte le possibilità offerte dalle misure preventive patrimoniali e personali previste per la repressione dell’antiriciclaggio anche nella prima fase delle indagini (misure di competenza della Direzione Distrettuale Antimafia, che in queste situazioni dovrebbe essere obbligatoriamente allertata proprio perché la possibilità di perseguire il reato di riciclaggio costituisce uno strumento preziosissimo nella lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso) e per il contrasto a tutto campo contro i rischi delle infiltrazioni della malavita organizzata con il colletto bianco, beh, allora forse qualcuno nelle forze di polizia (Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia di Stato) non ha capito a fondo il grido di allarme lanciato anche di recente dal Presidente della Corte di Appello di Ancona e poco tempo fa dallo stesso Comandante Regionale della Guardia di Finanza, che, sollecitando espressamente l’apporto attivo della società civile nella vigilanza e nelle segnalazioni, hanno denunziato la presenza già in atto nelle Marche di infiltrazioni mafiose e paventato il rischio di ulteriori arrivi e presenze di questo tipo, anche e soprattutto nell’ambito del riciclaggio di capitali sporchi, quelli che provengono principalmente dal traffico di droga e portano il marchio indelebile della morte e della infelicità di tanti ragazzi.

Un’ultima cosa, prima di chiudere, a proposito del rischio di esondazioni, allegramente sottovalutato, se non del tutto ignorato (insieme a tante altre cose), in questa sconcertante vicenda dagli enti territoriali competenti. Ma qualcuno con la testa sulle spalle è andato a vedere sul posto, si è reso conto che i lavori effettuati dall’Alba s.r.l. in caso di eventi metereologici di particolare rilevanza rischiano di essere insufficienti e comunque, ammesso che siano sufficienti, possono come effetto a cascata rovesciare sugli insediamenti abitativi e produttivi appena più a valle vere e proprie montagne di acqua? Ci vuole il morto come a Genova perché qualcuno vada seriamente e finalmente a verificare la regolarità del progetto, l’effettiva e sicura idoneità del progetto ad evitare eventi tragici e luttuosi, la conformità di quanto realizzato rispetto al progetto? Diversi geologi hanno già espresso in pubblico e in privato forti preoccupazioni, tanto più che proprio dalle nostre parti, che sembravano immuni da rischi del genere, poco più di un anno fa a causa della piena del fiume Ete (di minor portata rispetto al Chienti), per di più in un tratto non ripido ma del tutto pianeggiante, i morti già ci sono stati. L’Ordine Provinciale dei Geologi che cosa può dirci al riguardo?

* Avv. Giuseppe Bommmarito (Presidente onlus “Con Nicola, oltre il deserto di indifferenza”)

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