di Gianluca Ginella
Il protocollo per curare il Coronavirus è un progetto appena partito ma che già in Usa e Canada è pronto ad entrare negli ospedali. La chiave è un vecchio farmaco la L-Asparaginasi che elimina un amminoacido cui il virus si lega. A definire il protocollo è stato un ricercatore dell’Università di Camerino, Giacomo Rossi, 52 anni, toscano di Livorno. Il docente della Scuola di Bioscienze e Medicina veterinaria di Unicam ha spiegato a Cronache Maceratesi la sua scoperta. «Si tratta di un mix di farmaci, la parte fondamentale, quella efficace, è L-Asparaginasi. È questa la vera innovazione. È un enzima che elimina, per un certo periodo, l’Asparagina dall’organismo» dice Rossi. Il docente ha iniziato la sua carriera a Pisa e nel Duemila ha vinto la cattedra a Unicam e da allora lavora a Camerino. La scoperta non è nata per caso, perché il docente stava studiando il Coronavirus dei gatti. «Lavorando a Veterinaria abbiamo patologie simili, ho fatto delle tesi, studiando queste patologie ho studiato l’interazione tra cellula che ospita e virus» spiega Rossi. Che aggiunge di aver studiato a fondo le caratteristiche del virus in base alle pubblicazioni dei medici cinesi. «E’ così che mi è venuta l’intuizione, i recettori a cui si lega sono gruppi di zuccheri semplici legati alle proteine, ma tutti sono legati sempre come ultimo aminoacido all’Asparagina – spiega Rossi –. Visto che abbiamo il farmaco che l’Asparagina la toglie di mezzo (L-Asparaginasi, ndr), mi sono detto che poteva essere l’approccio migliore per eliminare il virus. Togliendo l’Asparagina i recettori si staccano e il virus non ha punti di attacco». Il ricercatore aggiunge che gli altri due farmaci sono necessari perché «Ci sono poi altre problematiche, un solo prodotto magari riduce la carica virale, per cui ho pensato questa triplice terapia: la Clorochina agisce in successione alla L-Asparaginasi e l’Eparina ha effetto sia antinfiammatorio che antitrombotico». Il docente comunque chiarisce: «Restiamo calmi e attendiamo i risultati. Ci dovrebbero essere penso massimo in un mese. Vediamo. Di certo c’è che diversi pazienti negli Usa si sono iscritti all’utilizzo del protocollo e so che anche dei nosocomi italiani hanno chiesto informazioni». Il protocollo è stato brevettato dall’imprenditore farmaceutico Francesco Bellini, ex presidente dell’Ascoli. E inizierà ad essere utilizzato in alcuni ospedali Usa e del Canada. Importante in questo il rapporto tra ateneo e impresa. «L’università di Camerino è un incubatore molto importante. Qui si può passare da una idea come questa e attraverso un collega medico ad arrivare ad avere il grande imprenditore che nasce nelle Marche e dice: “ci investo, si parte”. Abbiamo tanti esempi di grandi gruppi, come Fileni, Merloni, che spesso ci aiutano, vogliono sapere cosa stiamo studiando, e quando c’è una idea buona si fanno in quattro per metterla in pratica. E questo è un modello vincente che altrove non ho trovato».
In Francia, la clorochina dà problemi cardiaci!!!
bravissimi
Forza..bravi!
Camerino ❤️
Speriamo nella ricerca e sperimentazione!
Magariiiii
Buon lavoro
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Complimenti Dottor Rossi, sarebbe da inventarsi chessò un azionariato diffuso, anch’io nel mio piccolo ci metterei qualche migliaio di euro
Speriamo vivamente che funzioni, così potrà evitarci la vaccinazione e il microchip di Bill Gates.
Da ricercatore elogio e difendo la ricerca, sempre. Ma quando la si divulga lo si deve fare con attenzione.
Se ho ben capito, i fatti descritti parlano della sperimentazione effettuata con un virus diverso dal Sars-Cov-2 (FeCoV) su un organismo diverso dall’uomo (il gatto), e delle ipotesi di trasferibilità dei risultati al Sars-Cov-2 ed all’uomo.
L’articolo parla a lungo di brevetti ed imprenditorialità, interessanti speculazioni, ma non fornisce informazioni a mio avviso più importanti, soprattutto in questo momento, come:
– Quali sono i risultati attesi tra un mese?
– In caso di esito positivo, quali sono le fasi successive ed i tempi previsti per l’adozione del protocollo (anche in Italia)?
– Su quanti pazienti inizierà la sperimentazione?
– Quali sono i “vari nosocomi” in Italia ed all’estero?
– Quando si può prevedere una sperimentazione in Italia e come vi si potrà accedere?
– Quali sono gli effetti del brevetto sulla sperimentazione ed applicabilità del protocollo?
Ben due articoli di questa illustre testata non chiariscono questi aspetti.
Ricordo che proprio a Camerino c’è un Covid hospital, dove ci sono malati anche gravi, perdite purtroppo, e medici, infermieri ed altro personale sanitario che rischiano la vita per combattere concretamente questa emergenza.
A maggior ragione, in un momento come questo, ritengo che la scienza e la ricerca, uniche nostre vere speranze in questo periodo, debbano essere comunicate in modo ineccepibile per non alimentare false speranze.
Speriamo che sia vero, che non ne possiamo proprio di questo terribile virus e che rivolgiamo uscire di casa.