Crisi nel settore delle lavanderie:
«Certi giorni non entra un cliente,
non so quante attività sopravviveranno»

ECONOMIA - Il settore, con l'ingresso in zona arancione, è messo ancora di più a dura prova. Confartigianato lancia l'allarme. Angela Crognaletti: «È un controsenso tenere alcune attività in funzione, altre chiuse. Dobbiamo lavorare tutti, con controlli più adeguati per la sicurezza». Beatrice Stefoni: «Mai in 32 anni di attività mi era capitato di stare senza accendere il ferro o un macchinario. E' un disastro»

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Crognoletti

Angela Crognaletti

 

«Per risollevare la categoria delle pulitintolavanderie, e l’economia generale, servono aperture generalizzate, perché i settori sono tutti collegati tra di loro. È un controsenso tenere alcune attività in funzione, altre chiuse. Dobbiamo lavorare tutti, con controlli più adeguati per la sicurezza. Altrimenti viviamo nel caos e non sappiamo come muoverci». È l’appello lanciato da Angela Crognaletti, della lavanderia L’angelo del bucato di Pollenza e vice presidente interprovinciale della categoria. «Il rientro delle Marche in zona arancione aggrava ancora di più una situazione critica per molte categorie. Da questo discorso non è esente il comparto delle pulitintolavanderie: uno dei settori tra i più colpiti dalla crisi economica innescata dalla pandemia, ma del quale si parla forse troppo poco», si legge nella nota di Confartigianato Imprese Macerata-Ascoli-Fermo, che ha voluto dar voce a sei associati delle tre province, per portare ulteriormente all’attenzione di tutti criticità e proposte del comparto. «Il passaggio in zona arancione è deleterio – continua Crognaletti -, con il movimento che è minimo. Le lavanderie lavorano con più settori e con le chiusure si restringe notevolmente il bacino d’utenza. E andiamo in ulteriore difficoltà. I ristoranti e i bar sono chiusi, molti lavoratori sono in smart working, le scuole in dad. Operiamo un po’ nel quotidiano, ma non vediamo prospettive future».

Beatrice-Stefoni

Beatrice Stefoni

Beatrice Stefoni, della lavanderia Jolly di Porto Potenza e presidente interprovinciale della categoria, spiega: «Il nostro settore lavora anche in sinergia con tutte quelle attività che sono chiuse in zona arancione. Prima, in “giallo”, qualche accenno di movimento c’era, ora le prospettive sono zero. Le difficoltà allo stato attuale sono enormi, con i pagamenti che non sono certo stati sospesi. Mai in 32 anni di attività mi era capitato di stare senza accendere il ferro o un macchinario: ci sono giorni in cui non entra nessuno in negozio. Il nostro lavoro era già cambiato: la lavanderia viene scelta per capi più particolari, pregiati. Non essendoci occasioni importanti, lo stop aggrava tutto, ripercuotendosi pure su di noi. Abbiamo chiesto in tante occasioni allo Stato di rivolgere uno sguardo anche verso noi, perché il calo è abbastanza elevato. Non so quanti di noi riusciranno a sopravvivere a questo disastro».

Mandozzi

Jacqueline Mandozzi

Jacqueline Mandozzi, della lavanderia Boutique di Porto Sant’Elpidio e vice presidente interprovinciale della categoria: «Tornare in zona arancione è un cambiamento evidente, si rallenta tutto. Siamo una filiera: se vengono meno bar, ristoranti, cerimonie e il movimento più in generale, il lavoro scende. Nonostante questo, le tasse non si sono affievolite, e dall’altra parte non ci sono arrivati aiuti. Siamo aperti (e lo siamo stati anche nel lockdown per servizi di pubblica utilità) ma lavoriamo per un quarto di quello che faremmo normalmente. Attivare i macchinari ha però lo stesso costo sia per tre che per cinquanta capi. La zonizzazione delle chiusure andrebbe intanto divisa per province e non per regioni, perché un territorio può essere più in sofferenza di un altro. Infine servirebbero ristori seri anche per la categoria. Le nostre attività già soffrivano prima del Covid lo scoppio della crisi, andando avanti sul filo del rasoio. Si è parlato di blocchi di tassazione, ma questi sono palliativi: si ricorrono sempre i pagamenti pregressi, trovandosi poi a dover far fronte ai vecchi e ai nuovi».

Cicerone

Francesca Cicerone

Francesca Cicerone, della lavanderia Lux di Porto San Giorgio: «Come per altri settori, le attività rimaste aperte anche durante il lockdown si sono sentite abbandonate a se stesse. Oltre ad un aiuto generalizzato a tutte le partite iva, non abbiamo visto più nulla, tenendo conto del calo del fatturato. I ricavi in una lavanderia sono inferiori rispetto ad altri comparti. Una perdita del 30% del fatturato corrisponde ad una perdita dell’utile maggiore. Ciononostante i costi non si sono certo rallentati, a fronte di ristori che non ci sono stati. Neanche per gli affitti: si potrebbero rinegoziare, ma comprendiamo anche che alcuni proprietari dei locali vivono grazie all’affitto stesso, quindi si genera una situazione molto complessa. La lavanderia è legata alla vita sociale delle persone, fino a quando potremo resistere nelle chiusure? Noi, ad esempio, abbiamo tantissimi clienti da fuori comune, perché c’è ampia densità del bacino d’utenza. Il costo più alto per molti è legato agli affitti: lo Stato potrebbe dare i ristori al proprietario o far scalare questa spesa dalle imposte».

Filiaggi

Maria Grazia Filiaggi

Maria Grazia Filiaggi, della lavanderia Etilsec di Ascoli: «La nostra lavanderia ha macchinari particolari e speciali, che ci permettono di lavorare per rievocazioni storiche, eventi e per tantissimi negozi della città. Per non parlare degli uffici. Lo stop al movimento e alle manifestazioni ci ha penalizzati. Ho dipendenti in cassa integrazione, con una copertura fino a metà marzo. Poi? Speriamo che vengano riconfermate, altrimenti senza lavoro sarà dura: non abbiamo certezze, mentre siamo sicuri che restando in zona arancione almeno fino a dopo Pasqua tutto si fermerà. Non abbiamo ricevuto aiuti, solo un contributo per le partite iva che non copre nulla. I costi fissi sono invece spese sempre importanti». «Febbraio è un mese particolare per la nostra attività – Catia Piergallini, della lavanderia Il Delfino di San Benedetto -. L’abbigliamento invernale non viene ancora lavato, l’estivo è pronto.

Piergallini

Catia Piergallini

Quindi siamo in stand by. Ma in un anno il fatturato è sceso in maniera vertiginosa. In alcuni mesi di circa il 70% se penso al lockdown completo, che è stata una vera strage. Ma anche i cambi di stagione hanno risentito della chiusura di uffici o scuole. La ripresa non c’è stata e quello che abbiamo perso non è stato recuperato. Siamo rimasti aperti, ma ciò non significa aver potuto lavorare: se fermiamo alcuni settori, altri soffriranno a cascata. In tutto questo scenario, ci siamo dovuti, ad esempio, adeguare alla lotteria degli scontrini, che ha portato ad un costo non necessario: solo due clienti ci hanno partecipato all’oggi. Capisco che bisogna fare sacrifici, comprendiamo la gravità della situazione Covid, ma li dobbiamo fare assieme allo Stato. Gli incentivi devono essere date a tutte le categorie in base al fatturato, aiutandole almeno a coprire i costi fissi. Siamo stati su questo aspetto erroneamente divisi dalle lavanderie industriali: noi attività artigianali abbiamo invece avuto le stesse difficoltà».

 

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