di Laura Boccanera
«Non farò ricorso elettorale per il riconteggio dei voti». Francesco Micucci si è preso del tempo e ha fatto passare qualche giorno da quando ha appreso ufficialmente che per 18 voti non sarebbe tornato a sedere fra gli scranni del consiglio regionale. Al suo posto, per una verifica sui verbali, è andato Romano Carancini, ex sindaco di Macerata. A caldo Micucci aveva preferito non commentare e ha scelto, alla fine di una decisione maturata in seno al partito, ma soprattutto a livello personale di non procedere in tribunale per un riconteggio delle schede: «la prima persona a cui l’ho comunicato questa mattina è stato Carancini – ha detto – mi sono preso dei giorni per pensarci per mettere intanto distanza con una delusione cocente, arrivata a distanza di giorni, quando già erano stati affissi manifesti di ringraziamento. Da amici ho scoperto che c’era un riconteggio in corso che ci ha tenuti a bagnomaria per diversi giorni. Ma al di là di questo diversi motivi mi hanno spinto a lasciare oltre questa vicenda».
Micucci spiega che ci sono ragioni di carattere personale: «recuperare il tempo in famiglia, col lavoro e con altri interessi», l’aleatorietà di un risultato che non è comunque certo e infine anche una ragione politica: «in questa fase di profonda crisi del Pd a livello regionale e locale credo che il Partito democratico non abbia bisogno di aule di tribunale, ma di tornare a fare politica nei territori. Nel mio piccolo io credo di averlo sempre fatto, ma è necessario anche dare l’esempio oltre che discutere con le parole. Quindi credo che un ricorso che avrebbe tenuto sulla corda tutti non sarebbe stato utile a nessuno, né per me e Carancini e neanche per il consiglio regionale».
Ma Micucci interviene anche in merito al caos all’interno del partito e alle posizioni di alcuni esponenti del pd maceratesi, tra cui i “riformatori” riuniti qualche giorno fa all’hotel Grassetti. In quell’occasione lo stesso ex consigliere regionale era stato preso di mira da Giorgio Berdini come figura di potere che nulla aveva riversato sul territorio nel suo ruolo regionale. «La crisi è sotto gli occhi di tutti e che il risultato del Pd non sia stato soddisfacente è evidente. Ma faccio due riflessioni: la prima è verso i nostri alleati. Se tutti ci limitassimo a dire è colpa del Pd, del segretario, del candidato, non coglieremmo il messaggio che è arrivato dal voto. Se è vero che il Pd debba fare una riflessione è altrettanto vero che anche tutti gli alleati del Pd dovrebbero fare una profonda riflessione interna. Tutte le scissioni non hanno portato un grosso giovamento agli scissi. E penso a Italia Viva e Articolo 1, ai civici che frequentavano le aule di partito e poi sono divenuti civici. E anche i loro risultati elettorali sono altrettanto eloquenti quanto quelli del Pd. La seconda riflessione è che se è vero che in questi anni abbiamo gestito più il potere che i rapporti con gli elettori e questa ala riformista vuole aprire le finestre, beh, queste finestre vanno spalancate. Chi ha responsabilità apicali nel Pd non credo possa chiamarsi fuori e fingersi puro. Io in questi anni di tragedie per le Marche dal terremoto, Banca Marche passando per il Covid non ho visto questo grande aiuto da parte dei parlamentari o senatori del Pd e dal partito nazionale. Quindi se dobbiamo fare autocritica va bene, ma la devono fare tutti, sennò chi ha avuto o ha un ruolo apicale e si spaccia per nuovo rischia di far perdere credibilità verso gli elettori».
Ma in molti già pensano che Micucci possa essere figura spendibile a livello comunale come candidato sindaco per la prossima tornata elettorale. Lui al momento non nega e afferma che sia prematuro: «io non mi sono mai proposto o autocandidato – conclude – ma la mia scelta personale ha sempre coinciso con una scelta condivisa. In questa fase avrei voglia di occuparmi di altro, quindi direi di no. Ma non sono né talmente ambizioso che devo starci per forza, né talmente superiore da tirarmene fuori perché c’è anche un senso di riconoscimento nei confronti di chi mi ha permesso di fare delle esperienze e quindi darò la mia disponibilità al partito per fare ciò che serve. Se serve attaccare i manifesti lo farò, se serve dare una mano dietro le quinte lo farò, se serve tirarsi indietro perché sono troppo ingombrante anche. Ma non è una decisione da prendere a breve, Ciarapica finirà il mandato e ora è prematura come discussione».
Carancini al posto suo, avrebbe fatto ricontare i voti fino al 2030
Un signore, complimenti
Datevi una guardata intorno, no delle poltrone, ma della gente umile che ha votato sempre PD e che in questi ultimi anni è rimasta delusa. Ritornate tra la gente a parlare, no dalle poltrone, ma dalle sezioni come una volta, se volete prendere i voti, altrimenti se né stanno a casa invece di andare a votare.
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…e già…Micuccia!! Del resto, avrebbe probabilmente avuto solo un’altra conferma di aver perso il posto in regione, quindi ha evitato il “verdetto” negativo per la seconda volta e a livello di immagine, ma non solo, ha fatto bene. gv
Complimenti, Francesco. Bella lezione di umiltà.
Anche nel PD ci sono persone competenti e di buon senso – le colombe – da contrapporre agli altri, i falchi: Micucci, Gostoli e tanti altri.
Non conosco Micucci e non sono un iscritto PD,ma in questa fase della nostra vita politica nella quale molto più che la passione alla ricerca di una poltrona spinge un ritorno economico di tutto rispetto,la decisione di non fare ricorso per accertare se realmente c’era uno scarto di soli 18 voti mi convince che c’è ancora qualche speranza per un recupero della buona politica,che deve tornare ad essere un servizio,in particolare oggi che siamo alle prese con una crisi devastante capace di riportarci indietro di secoli.Spero e mi auguro che tutta la sinistra,con una spinta finalmente unitaria,ritrovi la sua aspirazione culturale dei primi tempi,andata largamente dispersa.
Riconosce, Micucci, che il PD ha privilegiato il potere rispetto al rapporto con gli elettori e che, se è così, non possono chiamarsi fuori parlamentari del territorio e partito nazionale. Non nega le sue colpe, quindi, ma accusa tutti gli altri come coimputati. A cercarla, tra le righe, la verita e la confessione vengono fuori chiare.