Macerata sommersa,
il rifugio antiaereo in via Piave

GROTTE - La rubrica si concentra sugli antichi nascondigli costruiti tra le due guerre per offrire riparo ai maceratesi in caso di bombardamento. Il progetto prevedeva anche una galleria mai realizzata in viale Leopardi che secondo l'architetto avrebbe potuto essere ripensata come parcheggio ad impatto zero
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Una foto d’epoca dell’edificio Onimi, oggi sede dell’Ersu in viale Leopardi

 

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Uno degli accessi su via Piave

 

Dalle fonti ai rifugi antiaerei: le vie della Macerata sommersa sono infinite. Il focus dell’architetto Silvano Iommi si sposta dai percorsi d’acqua sotterranei agli antichi cunicoli costruiti tra le due guerre mondiali per offrire riparo ai maceratesi. Una galleria lunghissima che si snodava sotto l’attuale via Piave collegata all’esterno con una serie di cunicoli. L’esplorazione come sempre è guidata da Iommi cultore dei tesori nascosti del capoluogo.  

di Silvano Iommi

Quando all’inizio degli anni trenta si costruì l’innovativo edificio dell’Onimi (Opera Nazionale Maternità e Infanzia), oggi sede dell’Ersu, non c’era ancora l’attuale via Piave e non si immaginava nemmeno che dopo circa un decennio, quello stesso dirupato luogo dovesse servire a proteggere anche parte della popolazione in caso di bombardamento aereo. Nell’ottobre del 1943, infatti, uno dei due progetti gemelli di rifugi antiaerei pubblici previsti per Macerata fu costruito sotto viale Trieste, con un accesso aperto proprio sul retro di quella modernissima “casa della mamma e del bambino”. Un ulteriore accesso fu realizzato poco più a valle sempre nascosto da un edificio, mentre il previsto terzo accesso centrale non venne realizzato per sopraggiunti  imprevisti geologici. Il secondo progetto era previsto sotto viale Leopardi ma non venne realizzato perché lì si preferì utilizzare le ampie grotte già esistenti sotto via Armaroli, con accesso diretto dalle mura.

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La planimetria del rifugio

Naturalmente non sapremo mai le ragioni che portarono gli strateghi del ministero della guerra a scegliere il sito di via Piave, con un ingresso accessibile solo attraverso il cortile dell’asilo nido. Si può pensare alla necessità di assicurare un rapido rifugio agli ospiti dell’asilo, ma anche che l’asilo stesso fosse considerato come scudo protettivo, oppure ambedue le cose. In ogni caso, il rifugio era costituito da un’ampia galleria sotterranea che si estendeva per 85 metri sotto il sovrastante viale, con doppia fila di sedute continue addossate alle pareti e atta a contenere fino a cinquecento persone. Gli accessi alla grande “galleria” erano costituiti da piccoli cunicoli che entravano in  profondità sotto la scarpata, innestandosi perpendicolarmente alla galleria stessa.

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L’accesso alla galleria attualmente murato

Gli imbocchi, aperti direttamente sul fronte della scarpata a livello di via Piave, erano protetti da una barriera antischegge e da un vano dotato di camino “antisoffio”, oltre che essere forniti di un locale wc.  Questa struttura sotterranea, la più grande del suo genere realizzata in provincia, è stata murata e resa inaccessibile a metà degli anni sessanta, quando passò  definitivamente dal demanio statale a quello comunale. Sino a quel periodo, o almeno sino a tutta la consiliatura del sindaco Otello Perugini (quello delle fontane ndr), il Comune provvedeva ancora alla sua manutenzione con particolare riguardo per l’impianto elettrico. I maceratesi più anziani ancora ricordano quel rifugio antiaereo mentre altri ricordano solo quei grandi comignoli di sfiato che sino a poco tempo fa si vedevano emergere dalla scarpata sino a raggiungere quasi il livello di viale Trieste. Curiose presenze che hanno alimentato la favola di una ulteriore, grande e antica galleria proveniente dai sotterranei del centro storico.

 

 

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Il prospetto di viale Leopardi

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Uno dei cunicoli di accesso

 

D’altra parte, la mancata realizzazione del rifugio gemello sotto viale Leopardi, sembra essere stata vissuta dalle generazioni successive come una non meglio definita mancanza di un qualche cosa che avrebbe potuto migliorare la cronica fragilità della mobilità urbana in quella zona. In questo senso mi piace cogliere l’occasione per ricordare una interessante idea del compianto collega architetto Franco Palmieri che, a cavallo del 2000, propose un’interessante progetto di “parcheggio-passante” ad impatto zero sotto viale Leopardi. Un progetto poi da me ripreso e implementato con l’idea di un “parco delle fonti” da realizzare nell’area sottostante.

 

 

 

 

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Secondo accesso dal garage del condominio Impresa Lattanzi

 

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Il parco delle 4 fonti

 

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